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Associazione ArcheOlbia
Promozione e Valorizzazione dei Beni Culturali

Guida turistica - Accompagnatore turistico - Attività didattiche - Corsi di formazione - Progettazione di attività culturali

ArcheOlbia
Piazza San Simplicio c/o Basilica Minore di San Simplicio
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C.F. 91039880900


“Aprire il passato significa raccontarlo. Alla comunità scientifica sì, ma soprattutto alla comunità dei cittadini cui il lavoro degli archeologi e, più in generale, degli operatori dei beni culturali deve rivolgersi.”.
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giovedì 13 maggio 2021

Direzione Didattica 1° Circolo Olbia: Concorso FAI a.s. 20/21: “Ti racconto un posto”


San Simplicio Olbia

“Identità ritrovate”

Alla riscoperta del patrimonio di storia, arte, natura e delle tradizioni civiche italiane

Gli anni 2020 e 2021 nei libri di storia verranno ricordati come un periodo complesso, segnato da una profonda pandemia da COVID-19 (SARS-CoV-2); un lungo periodo di privazioni individuali e collettive nel corso del quale le attività didattiche sono state caratterizzate da un cambiamento. Tra maestri e alunni, spesso, sono venuti a mancare i rapporti umani, sostituiti dalla “DaD” Didattica a Distanza -Una tecnologia da tanti di noi poco conosciuta-. Eppure, tutti siamo diventati più “tecnologici”, ci siamo dovuti catapultare in questo nuovo modo di fare lezione, basata su una webcam che in maniera quasi invasiva, è entrata nelle nostre case, nelle nostre aule.

A seguito di questo periodo, l’anno scolastico in corso si è prefigurato come un periodo complesso, in cui docenti e studenti hanno dovuto collaborare per ri-costruire un nuovo modo di fare didattica. In questo contesto è stato ancora più determinante il ruolo dei progetti inseriti nella Programmazione Scolastica.

Il nostro Circolo ha aderito al Bando promosso dal FAI – Fondo Ambiente Italiano denominato: «Identità ritrovate. Alla riscoperta del patrimonio di storia, arte, natura e delle tradizioni civiche italiane» che invitava le classi a scoprire (e riscoprire) il proprio territorio. L’azione iniziale, per la buona riuscita dei Progetti in concorso, è stata quella di mettere in campo le conoscenze e le competenze degli alunni sapientemente guidati dalla Dott.ssa Durdica Bacciu – Archeologa e Guida Turistica RAS nonché Operatore del Marketing Culturale e Turismo Integrato, che, attraverso sette ambiti tematici, sviluppati all’interno di sette classi, ha approfondito la storia e l’identità di questa città e dei suoi abitanti.

Vi è stato così un susseguirsi di elementi legati all’aspetto culturale-artistico-enogastronomico; a principi di grande valore identitario; ad attività legate all’accoglienza e al rispetto del prossimo, con lo scopo d’infondere negli studenti un senso di appartenenza e una maggiore consapevolezza del proprio patrimonio. 

Gli argomenti trattati sono stati:

  • Olbia attraverso i suoi usi, costumi e tradizioni
  • I suoi personaggi
  • La sua enogastronomia
  • Gli stazzi della Gallura – Rudalza
  • Olbia, attraverso la sua archeologia – Acquedotto Romano
  • La Basilica di San Simplicio attraverso i nostri occhi
  • La marineria antica

Il progetto ha richiesto l’impegno dei docenti, degli alunni, degli esperti esterni per molti mesi. Un particolare ringraziamento va alle famiglie degli studenti che hanno, in questo lasso di tempo, supportato i bambini nelle diverse richieste e attività.

Vi invitiamo a prendere visione dei Progetti… Buona ri-scoperta a tutti!

Aprire link: https://www.ddprimocircoloolbia.edu.it/concorso-fai-a-s-20-21-ti-racconto-un-posto/

https://fondoambiente.it/il-fai/scuola/progetti-fai-scuola/concorsi-per-le-scuole


lunedì 19 aprile 2021

Centro storico di Olbia e le sue iscrizioni - da Dionigi Panedda ad oggi

di Durdica Bacciu
Ph Durdica Bacciu

Iscrizione 1771

Nessuna altra città, antica o non antica, ha cambiato il proprio nome quanto la “città felice”: Olbìa, Fausania, Civita, Terranova, Terranova Pausania sino ad arrivare al nome attuale di OLBIA. Olbìa è il suo nome più antico. Il poleonimo è greco: Olbìa (che viene trasformata in Olbia passando alla lingua latina). Nel lessico greco, Olbìa è il femminile dell'aggettivo “olbios” e significa “felice”, “ricco”, “splendido”. Questa ricchezza è testimoniata anche dalle varie genti che si sono susseguiti nei secoli, che hanno trovato nel territorio olbiese un ottimo scalo per il commercio e i rapporti sociali, a partire dai fenici dell'VIII secolo, ai greci del 630 a.C., passando per i punici e romani, arrivando al periodo aragonese e ritrovando una ripresa della "Città felice" nel XVIII. In questo scritto ci occuperemo dell'edilizia principalmente settecentesca ma troveremo anche delle testimonianze seicentesche.
Oggi, come al tempo del Panedda, non si ha particolare cura per la conservazione e valorizzazione dell'edilizia del centro storico, patrimonio dal grande potenziale ma abbandonato e senza una seria regolamentazione identitaria dal punto di vista architettonico .

1759
Questo ha portato alla quasi scomparsa delle caratteristiche strutture e ad un utilizzo dell'intonaco (e dei colori) al quanto discutibili. 
Una delle caratteristiche identitarie, identificativa della cronologia storica ed edilizia, del nostro centro storico, assolutamente da preservare, è quella delle architravi dotate di iscrizioni poste agli ingressi delle abitazioni, segnali dell'edilizia dei secoli precedenti al XXI. 
Lo scopo di queste iscrizioni era quello di dare una identità alle case e invocare la particolare benevolenza per la famiglia che la occupava. La formula iscrittoria si articola generalmente: iniziali del nome e cognome del proprietario, monogramma di Cristo (IHS) - J(esus) H(ominum) S(alvator) ovvero "Gesù Salvatore degli uomini" e in conclusione l'anno di fondazione dell'edificio. A questa formula generica, testimoniata numerosissime volte in altre località, si integra un solo caso dove l'invocazione è rivolta alla Vergine Maria e si trova attualmente in via Olbìa.
1642

Negli scritti dello studioso Panedda, intorno agli anni Quaranta, si potevano contare circa trenta iscrizioni, mentre negli anni Cinquanta, con la catalogazione di Benito Spano, se ne possono annoverare ventotto (28), infine negli anni ottanta ne residuano diciasette (17) ed oggi ne possiamo ammirare ventidue (22).
"...delle trenta da me lette negli ultimi anni Quaranta, venti epigrafi erano del sec. XVIII; delle ventotto lette dallo Spano, ventiquattro risalivano a quel secolo; oggi le epigrafi superstiti del Settecento, sono dodici..." (Panedda). 

Allo data odierna, in considerazione che tali elementi architettonici testimoniano dei processi storici e degli accadimenti tali da costituire la memoria storica cittadina, si rende necessario monitorare lo stato di conservazione o di scomparsa di tali elementi. Si è compiuta perciò una piccola ricognizione, una catalogazione delle suddette architravi, rilevandone il riferimento urbano, la varietà iscrittoria e annotandone la datazione. Lo scopo di ciò è conservare una traccia architettonica e fornire un semplice strumento di valutazione per i futuri interventi sul centro storico della cittadina.

Censimento in data 25 marzo 2021 a cura di Durdica Bacciu (Archeologa)
  1. Corso Umberto: 1763, 1820 (Panedda)
  2. Via Cavour: 1727, 1759, 1642 (Panedda) 1725 (Bacciu)
  3. Via Garibaldi: 1670, 1723, 1760* (Panedda) *La recente ricognizione ha permesso a chi scrive di leggere la seguente datazione 1766
  4. Via Romana: 1799 (Panedda)
  5. Via Olbia: 1833, 1771,1773, 1769 (Panedda) 1752, 1778, 1763, 1654 (Bacciu)
  6. Via Amsicora: 1744, 1747 (Panedda)
  7. Via Tempio: 1740 (Panedda)
  8. Via Piccola: 1759 (Bacciu)








domenica 27 dicembre 2020

Santu Paulu Calta - La sua storia (Arzachena)

 di Durdica Bacciu

Ph Durdica Bacciu

Agli inizi di dicembre, parlando con la cara amica Veronica Chiodino in merito ad un progetto su Rudalza, vengo a sapere che il bisnonno ha lavorato una vita presso il Rifornitore (IGM 1943), come capostazione, nella stessa località. Poi, cercando di capire un po' gli spostamenti della sua famiglia, nel passato,(in modo da capire per quali motivi avessero vissuto tra Rudalza e Arzachena) e come si chiamassero i suoi nonni, mi confermava che tutt'ora è in vita solamente il nonno, di 94 anni! Dio lo benedica. All'improvviso Veronica mi chiede: "Sei mai andata a vedere la chiesa di Paulu Calta?" - conoscendo bene le mie passioni- "No!" Le risposi, "Ti invio una storia...li c'è raccontata una vicenda legata a mio nonno". Improvvisamente si aprì un mondo mentre il racconto di Veronica continuava con "Lì vicino c'è anche uno stazzo, nonna mi aveva raccontato una storia", ecco, ora ha colpito la mia attenzione al mille per mille! 

Santu Paolu Calta:

La chiesa campestre di Santu Paolu si trova nel territorio di Arzachena in località Piredda e, secondo la tradizione fu costruita da "mastru Zappoli ed Ernesto Frau" con i manovali Salvatore Spanedda e Michele Varrucciu. La sua nascita si deve alla visione di una pia donna che avrebbe sognato il Santo sotto un bellissimo Leccio (ancora presente). Presenta una navata unica absidata. Ha un altare stile barocco in muratura, bianco con contorni celesti. Al suo interno sono custodite le statue de la Madonna del Buon Cammino  e San Paolo Eremita. Nelle pareti laterali sono conservate le statue di San Maurizio e di San Sebastiano. Presenta due ingressi, l'ingresso frontale presenta una piccola finestra a semicerchio ed è sormontata da una campanile a vela con una piccola croce. I suoi lavori sono iniziati nel 1909 e finito nel 1911, come ricorda la targa posta sull'architrave. 


Invocata a 
San Paolo Eremita

Per grazia ricevuta da San Paolo Eremita.
Il giorno 4 Dicembre 1932, il bambino Chiodino Francesco di Giovanni di anni 7 mentre si avvicina ad un gioco di buoi che mangiavano nelle apposite mangiatoie visto che un bue si aveva rovesciato la mangiatoia senza che il padre se ne fosse accorto, si avvicinava per accomodare la detta mangiatoia. Allorquando il bue si avventò al bambino infilandogli un corno in bocca e tenendolo penzoloni per aria.
Al gridare disperato del bambino, il padre esclamò invocando da San Paolo Eremita la salvezza del bambino. Infatti il corno strappò la guancia fino a qualche millimetro dall'occhio con una ferita di 20 punti. Ricoverato subito nell'ospedale militare marittimo di La Maddalena, il bambino vi rimase per ben 100 giorni, sotto le cure del colonnello medico Germani.
Invocate pertanto il gran Santo che vi salverà dai grandi pericoli !!
Il Padre del Bambino - Giovanni Chiodino
Stazzo Piccariddoni - 5 Agosto 1933

Di seguito invece vi lascio la storia dello stazzo (di Veronica Chiodino raccontata dalla nonna Giovanna Nieddu) 

 La Casa stregata

L’entroterra gallurese è ricco di luoghi misteriosi legati a fenomeni paranormali. Vecchie abitazioni diroccate e isolate sono le protagoniste di queste testimonianze ricche di misteri. Fanno da cornice ai macabri racconti i nuraghi millenari, ginepri piegati dalla furia del maestrale, le rocce granitiche dalle forme più bizzarre, quasi surreali, tanto da indurre la mente umana ad animarle e a trasformarle fantasiosamente prima in aquila, poi in una maestosa sfinge egiziana o un orso minaccioso. Storie di anime vaganti sospese tra i due mondi: l’aldilà e la vita terrena. Tutti questi elementi ruotano attorno alle vicende della casa stregata di Stazzu Muru. ‘Intorno alla fine dell’800 due fuorilegge di Silanus, appartenenti alla nobiltà tanto da meritare il titolo di “Don”, furono condannati nel loro paese per aver commesso vari omicidi e conseguentemente trasferiti nel carcere di Tempio per essere poi portati al patibolo ad Occhji ad Agghjiu. Ben presto si sparse la voce in città e tutti decantarono le qualità estetiche dei due “belli e dannati”, provocando la curiosità delle due nubili figlie del Giudice che li vollero vedere a tutti i costi. “Noi vulemu idè chisti dui cioani”. Il padre acconsentì alla visita in prigione da parte delle due giovani. L’incontro fu amore a prima vista: le ragazze rimasero folgorate dal fascino ammaliante dei due marghinesi, i quali suscitarono un magnetismo tale da indurle imperativamente a richiedere la loro grazia: “buchetini chisti da galera chi ci li spusemu noi”. Il padre, assillato dai continui capricci delle cocciute ragazze, acconsentì alla richiesta liberando i due criminali. Poco dopo, le due coppie convolarono a nozze. Il giudice era un ricco proprietario terriero e possedeva diversi stazzi in Gallura, tra i tanti quello di Muru, ubicato nei pressi della chiesetta campestre di San Paolo Carta a pochi km da Arzachena, che divenne ben presto il nido d’amore delle due improbabili coppie. I miracoli succedono di rado e la redenzione ebbe i giorni contati. Il matrimonio non fu proprio idilliaco e venne macchiato di rosso e di vendetta dai due malavitosi, che continuarono a spargere un’incessante scia di sangue commettendo diversi delitti e seppellendo le vittime vicino alla loro casa. La famiglia andò in disgrazia e dopo la morte dei delinquenti quell’abitazione divenne ben presto un luogo maledetto, infestato da anime penitenziali.’ Parte della maledizione di questo posto fu attribuita alla supposizione della presenza di “lu suiddhatu”, un tesoro composto da oro e denaro, nascosto dagli antichi. Una leggenda narra che se qualcuno avesse nascosto nella propria casa ingenti quantità di monete d’oro e poi non avesse potuto confidare il segreto ai famigliari o discendenti, il diavolo si sarebbe impossessato del patrimonio. Da allora nella stanza contenente il gruzzolo, nessuno avrebbe più ritrovato pace e riposo, perché il demonio, diventato padrone e custode di esso, si sarebbe mostrato spesso, sotto forma di diverse personificazioni terrificanti. Qualcuno provò a trovare il tesoro, passando la notte nella camera da letto di quella casa. Fu la notte peggiore della sua vita: schiamazzi e lenzuola che scivolavano ripetutamente dal suo letto costrinsero l’uomo ad abbandonare l’impresa. Negli anni successivi la casa fu abitata dalla moglie di uno dei figli dei due delinquenti, deceduti alcuni anni prima. Divenne presto vedova con un figlio piccolo da crescere e le anime resero la sua esistenza un vero e proprio inferno: una sera la réula mise al centro del salotto una cassa da morto mentre lei riposava con il suo bambino. Perseguitata da un destino avverso, passò la sua triste vita a combattere con visioni e fantasmi, arrivando esausta alla morte. Altri raccontano che una volta la casa era abitata da una famiglia di pastori. Era un posto macabro e malandato che incuteva panico e terrore tanto che alcuni uomini evitavano di passarci con il carro a buoi anche nelle ore diurne. Una sera Ziu Pascali e suo nipote Ciccheddu si recarono a Stazzu Muru per ritirare un pacco postale. Arrivati a metà strada, Pascali mandò il nipote alla casa stregata per prendere il pacco. Bussò alla porta e fu aperto dalla moglie del pastore, che invitò il ragazzo ad entrare e ad accomodarsi in attesa del marito. Tutto a un tratto udì un branco di cavalli selvaggi che correvano davanti all’aia: Ciccheddu, incuriosito, si alzò tempestivamente dalla sedia, si affacciò al balcone ma non vide nulla di insolito. Ritornò a sedersi poco convinto e dopo qualche minuto udì nuovamente lo scalpitio di zoccoli, ma la padrona di casa con occhi severi intimò il giovane a restare seduto.  Una volta arrivato il pastore e ritirato il pacco, il ragazzo ritornò dallo zio. Desideroso di capire cosa fosse successo, gli domandò se avesse visto o sentito qualcosa di strano. Pascali, totalmente estraneo ai fatti, rispose di non aver visto nulla. Dopo qualche tempo si venne a sapere che i Pastori avevano abbandonato quella casa, esasperati dalle incessanti incursioni delle anime vaganti. L’ossessione di immagini demoniache e spettrali che diventano incontrollabili nonostante varie contromisure. Personaggi realmente esistiti che testimoniano con convinzione i fatti appena raccontati. I misteri degli abitanti degli stazzi continuano ad appassionarci in un’altalena di emozioni che oscilla tra mito e realtà, storia e leggenda.

Consigli: https://www.facebook.com/Sulla-strada-di-Vera-del-Sol-114538473235692/


Il
Rifornitore, citato all'inizio, si presenta ancora eretto a pochi metri dalla linea ferroviaria, in prossimità della regione denominata "Campo Majore". Le murature sono realizzate prevalentemente in cantoni di granito mentre gli archi e gli stipiti di finestre e porte sono realizzati in laterizi. Il tetto risulta completamente crollato e i segni sulle murature mostrano che era impostato su travi di legno. Si presentava soppalcato in legno con una scala che saliva al primo piano addossata alla parete settentrionale.

All'interno dell'ambiente al piano terra, opposto all'ingresso principale ed affiancato da una finestra, trovava spazio un camino con cappa intramuraria, ora completamente crollato. Il piano superiore mostra la presenza di una finestra e di un armadio a muro. All'esterno abbiamo la presenza di un ambiente aggiunto a settentrione, a unico spiovente mentre nel fianco occidentale ancora residua l'imboccatura dell'enorme cisterna dell'acqua.













venerdì 11 dicembre 2020

"Il Natale" di Terranova secondo Francesco De Rosa

 di Durdica Bacciu

Photo https://autonomiademocraticaolbia.jimdo.com


Negli anni anche la festa di Natale ha subito varie trasformazioni, dovute alla tecnologia, al momento storico e al consumismo. 

Pillole di ricordi: "Quando ero piccola, per Natale era tradizione andare da Nonna Rosina. Tutta la famiglia si riuniva intorno a lei ed era il nostro centro, sia per i grandi che per i piccini. Andare da Nonna era festa, era rivedere gli zii, giocare con i cuginetti e gli amici del paese, mangiare cose buone come la zuppa gallurese di Zia Peppina, sentire la porta del salone aprirsi e chiamare "Peppì" (come chiamavano zia). Il Natale era anche fare il "giro" dei parenti, in un paesino di poche anime ma con tanti ricordi, Cuzzola, il paese di mia madre e delle sue sorelle. Era sentire l'odore del vino offerto dagli zii a mio padre, rigorosamente vino rosso fatto in casa, era sentire sempre mia madre un po' in ansia richiamare "Titino devi guidare" e la risposta di papà "Cosa vuoi che mi faccia un bicchiere di vino ?" Il Il Natale erano le luci dell'albero in ogni casa, il panettone e il pandoro, i pacchi colorati e quel magnifico "maneggiare" di soldi che solo le nonne e le zie sapevano fare (senza essere viste): "...con questi ti compri le caramelle". Il Natale aveva l'odore delle cose buone, della gente allegra e in quei giorni il tempo sembrava non passare mai. Tutti erano felici...tutti erano uniti. Poi, cosa non doveva mancare? La Messa di Natale, si quella era d'obbligo. Si andava in chiesa dopo la cena di Vigilia del 24 notte oppure la mattina del 25, in ogni caso si era contenti perché il significato era chiaro: avrei visto nonna, le zie e i cugini! Diventavo improvvisamente grande fan della messa 😊"

L'unica cosa che non è cambiata in tutto questo tempo è l'emozione e i ricordi che lascia il Natale ed è proprio leggendo il libro di Francesco De Rosa "Tradizioni popolari di Gallura" possiamo rivivere il Natale della vecchia Terranova oggi Olbia.

Basilica di San Simplicio

"La notte di Natale, più che alla commemorazione della nascita di Gesù viene dedicata al dio Ventre e a Bacco sitibondo" scrive De Rosa, spostandosi dalle proprie case alle taverne, mangiando cibi tipici e frutta secca per quanto riguarda gli uomini, mentre le donne stavano tranquille in casa intorno al fuoco raccontando storie e fiabe per i più piccoli, cercando di tenerli sveglia per la messa notturna in onore del Divin Bambino. I giovani invece seguono la tradizione della messa più per svago che per interesse perché è tutto fuori controllo. Riprende il De Rosa "Molti giovanotti portano le saccocce piene di coccole di mirto, di cui i galluresi sono ghiotti, e ne tirano manate in aria facendole piovere sulle persone; altri portano noci, nocciole e mandorle che schiacciano ivi, e sgusciano per mangiarne i semi ed i gherigli, offrendone alle ragazze", gesti che non sempre erano apprezzati, "...altri fichi ed ampolline di Vermouth, di vino o di liquori che bevono e fanno bere agli amici ed ai conoscenti."

Terranova Pausania 

 I discorsi comuni tra un bicchiere di vino e un ficco   secco erano sempre gli stessi, gli sposalizi del paese,   quelli finiti, di femmine galanti e di donne generose,   di scampagnate e feste, di campagne con i relativi   animali, di pesca e caccia, sparlando della vita delle   persone non presenti e di quelle presenti con vanti o   critiche sempre con cuore allegro e aria di festa.   Tutta questa allegria però non è sempre consona al   momento o al luogo dove si svolge la santa messa e   quindi "...i sacerdoti, veduta la mala parata, non   sapendo a quale santo votarsi, sono costretti a fare appello alla Benemerita, perché voglia ristabilire alquanto la calma". Tutta questa allegria raggiunge la sua massima esplosione alla mezzanotte con l'intonazione del Gloria in excelsis Deo che annunzia la nascita del Divino, "...battendo le mani, percuotendo coi piedi il pavimento, dando pugni al confessionale o alle panche..."  

Finita la messa si torna allegramente nelle proprie case dove si mangiano i piatti prelibati della tradizione come "...pan'e sabba, cuccjuleddi melati, origlietti, niuleddi, turroni, ecc..." e nulla viene lasciato sulla tavola e tantomeno con la pancia vuota, specialmente ad Aggius e Bortigiadas dove, secondo una leggenda, chi rimaneva a pancia vuota sarebbe stato visitato da Palpaccja, una figura oscura con il compito di riempire la pancia vuota con dei grossi sassi. 

Albero di Natale Olbia 2020


Leggendo queste poche righe del De Rosa possiamo notare come sia cambiato il modo di festeggiare il Natale, molto più sobrio e silenzioso ma non per questo meno sentito. 

(Francesco DE ROSA, Il Natale in Tradizioni popolari di Gallura,Ilisso edizioni, Nuoro 2003, a cura di Andrea Mulas, pp. 136-138)


venerdì 23 ottobre 2020

Bacciu Durdica e Meloni Francesca le prime OMCTI della Sardegna

 

Operatori di Marketing culturale e di turismo integrato (OMCTI)


Si stanno tenendo on line (con collegamenti da diverse regioni come Sardegna, Liguria, Basilicata, Campania, Lazio e Sicilia) i corsi di formazione per Operatori di Marketing culturale e di Turismo Integrato (OMCTI), promossi da Formatemp E-Work e Forma Service, i quali progetti sono curati da Fernanda Ruggiero, docente del corso e consulente di Nuovi Turismi. Le discipline sulle quali si adoperano e si misurano, con dedizione, una quindicina di giovani
 sono: i marchi di qualità italiani, alberghi diffusi, web marketing, progettazione turistica integrata in particolare sport natura, costituzione di società e cooperative, cineturismo, organizzazione eventi e comunicazione. Hanno partecipato con profitto anche Durdica Bacciu, Archeologa e Guida Turistica di Olbia e Francesca Meloni, di Monti, vice presidente dell’Associazione Culturale Erèntzia e membro del Gruppo Folk San paolo di Monti. Le due dottoresse sono le prime OMCTI a livello regionale e si occuperanno di marketing culturale e turismo integrato nella nostra bella Isola.

La comunicazione del territorio è dunque al centro del dibattito condotto dal giornalista Armando Lostaglio. “Essa rimane fra le priorità di una comunità” asserisce Durdica, derivando dal latino cum=con e munire=legare, mettere in comune, aggregare. È un fenomeno complesso ma che permette di trasmettere informazione in modo diretto, semplice ed efficace. 

La comunicazione, sempre in continuo mutamento – è passata dalla sola stampa alle informazioni su mezzi tecnologici - è ormai parte di noi, ne veniamo a contatto quasi inconsapevolmente ma è grazie ad essa che possiamo far emergere quell’atto, chiamato sponsorizzazione, che tanto ci è caro nei confronti dei nostri borghi. La tecnologia, oggi, ci permette di coinvolgere un pubblico sempre più ampio e non prettamente legato al territorio. “Ecco che qui cresce l’importanza della valorizzazione delle nostre tradizioni e della nostra cultura, da poter trasmettere ai visitatori, suggerendo e presentando i luoghi a noi più cari con una corretta informazione nel sistema turistico-culturale” sostiene Francesca. E intanto veniamo subissati da notizie e immagini in ogni momento della giornata, siamo addirittura influenzati nelle nostre scelte quotidiane, “Ecco perché una corretta informazione resta molto importante nel settore turistico” testimonia Eufemia. 


Ogni realtà dovrebbe investire maggiormente nella comunicazione al fine di promuovere al meglio le bellezze e gli attrattori del proprio territorio, facilitando così le opportunità di crescita occupazionale onde evitare lo spopolamento dei nostri borghi attirando giovani professionisti.

“Sono tante le potenzialità del mio paese (in Basilicata) nonostante l'emergenza sia tangibile sotto molti punti quali lo spopolamento, l'emigrazione, l'arrendevolezza giovanile”, esprime la corsista Mariangela, “per questo dobbiamo puntare sulla diffusione delle nostre conoscenze e competenze”.

La necessità di comunicare per noi abitanti dell’Alta Irpinia” afferma Angelica  è fondamentale perché siamo nel cuore dei Monti Picentini arroccati sulle montagne, isolati e poco conosciuti, dove la comunicazione interna, da parte degli abitanti più attivi socialmente, avviene quasi esclusivamente aggregandosi alle varie associazioni. Quindi una comunicazione efficace e chiara è il perno essenziale per chi intende promuovere lo sviluppo e valorizzare la ricca cultura dei nostri borghi rurali, evidenziando la conservazione delle tradizioni tipiche”. Tutto questo non è possibile se non si attua la valorizzazione del territorio attraverso un'approfondita conoscenza storica. Per comprendere a fondo i processi storici, si deve ricercare quell'identità composta nei luoghi e nei personaggi che abbiano avuto un’importanza specifica in quel contesto, in modo da individuarne l'anima e valorizzare quelli ciò che resta invisibile. “La storia è dunque la tutela del nostro immesso patrimonio culturale” sostiene Michela. 

Durdica Bacciu
Proprio per questa necessità di conoscere e vivere personalmente la storia dei luoghi, nasce il turismo esperienziale, il modo in cui il visitatore si confronta con le comunità che visita. Il patrimonio di una destinazione non è rappresentato solo dai suoi luoghi fisici, ne fanno parte anche elementi immateriali quali la cultura e le tradizioni. La comunicazione gioca un ruolo chiave nell’attirare l’attenzione, creando un viaggio “emotivo” nell’immaginazione della persona ancora prima che questa parta, è su questo principio che si basa il web marketing turistico:

Francesca Meloni

“Il viaggiatore visita un luogo non solo per vedere qualcosa, bensì per vivere una nuova esperienza in tutta la sua complessità” dichiara Francesco. Bisogna raccontare la propria destinazione con doveroso impegno; ogni luogo di interesse dev’essere fruibile nella maniera migliore e reso accessibile a un livello più metafisico. Un museo splendido rimane vuoto, se non viene fatto conoscere, la destinazione che non sa raccontarsi è destinata a essere dimenticata. Ecco che comunicare rimane di primaria importanza, anche attraverso i social o mediante un sito web efficace, con l’identica priorità dedicata alla gestione del luogo stesso, rendendo tutti protagonisti del territorio consentendo aggregazioni giovanili in grado di stimolare l’operatività degli enti territoriali.

(Durdica Bacciu, Francesca Meloni, Eufemia Telesca, Mariangela Re, Angelica Boccia, Michela Metallo Francesco Iannì)

sabato 3 febbraio 2018

Il castello di Pedres e la bella Isabella


 Risultati immagini per pedres archeolbia

di Durdica Bacciu

Durante il 1300, il castello fu abitato da Donna Sibilla di Moncada, vedova di Giovanni d'Arborea, di origine aragonese e dalla sua bellissima figlia Isabella. Isabella, essendo la diretta discendente al trono e una delle principesse più belle, era sempre piena di corteggiatori e pretendenti. Due in particolare fecero di tutto per conquistarla, suo zio Jago, fratello di Donna Sibilla e Jacopo, figlio del conte D'Istrana. Tra loro scoppiò una forte rivalità e Jago vietò a Jacopo di avere contatti con il castello e ancora meno con Isabella, pensando cosi di avere il campo libero ma fù sempre rifiutato. A questo punto, Jacopo dovette inventarsi qualcosa per vedere la sua bella, che non nascondeva una simpatia nei suoi confronti, e si inventò una battuta di caccia ai piedi del monte Prebi, invitando tutta la nobiltà, compresa Isabella e i suoi famigliari. Durante la battuta di caccia Jago si ferì e subito pensò fosse per colpa del suo rivale. Accecato dalla rabbia, pensò subito alla vendetta.
 "Hortus Deliciarum" di Herrade

Finita la convalescenza, radunò intorno a se un contingente di soldati e organizzò l'assalto al castello di Istrana..."assalì il castello d'Istrana, che perciò cadde in suo podere. Nella mischia rimasce ucciso il padre di Jacopo" mentre il figlio "fu condotto pringioniero nel castello di Pedres e rinchiuso nei sotterranei, senza che alcuno sapesse niente".
Isabella, venuta a sapere della prigionia di Jacopo si scagliò contro Jago, uccidendolo, e subito accorse a liberare il suo amato nelle segrete del castello. Appena liberato si diressero verso l'uscita ma furono sorpresi da due sentinelle, che essendo all'oscuro di tutto, li scambiarano per impostori e vennero uccisi.
Dopo questo dolore, Donna Sibilla non volle più abitare nel castello di Pedres e si trasferì nella sua terra natale con la tristezza nel cuore.

(da prof. Giulio Lorrai De Murtas 1930)



domenica 28 gennaio 2018

Quando il tempo si ferma...Badu Andria

di Durdica Bacciu
Ph D.Bacciu

Archeolbia
Ingresso villaggio
Situato nell'odierno territorio del Comune di Padru, a circa 15 km da esso, si trova, immerso nella vegetazione e nei graniti, il villaggio abbandonato di Badu Andria. Il toponimo Badu Andria traduce letteralmente dal sardo il termine Guado di Andrea e ci indica un gruppo di circa 10 unità abitative poste in prossimità di un guado sul rio Liestru, in regione Su Parisi de Sa Massa, a circa 403 m s.l.m.
Le prime testimonianze riguardanti il sito abbandonato, ci vengono documentate da uno scritto di Enrico Costa, datato al 1892, dove si testimonia una popolazione pari a 50 unità. Gli abitanti di questo sito erano originariamente pastori provenienti da Buddusò per la transumanza, ma poi fermatisi per il contratto di "mezzadria", cambiarono radicalmente il loro lavoro e si dedicarono alle attività legate alla coltivazione della terra. Questa veniva concessa da un proprietario terriero insieme al foraggio e ai buoi, mentre il contadino metteva a disposizione la manodopera cosi che tutti i prodotti e i frutti ricavati venivano divisi tra le parti. Attraverso questa nuova forma, il villaggio acquisiva una certa importanza e estensione rientrando in quelli che venivano chiamati "I salti" (Sos Saltos de Josso), una regione assai vasta che negli anni della sua fondazione, fine 1700 inizi 800, vedeva una sua porzione occupare il territorio comunale di Buddusò.
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Il primo nucleo dell'abitato è formato da una costruzione di pianta rettangolare, senza il tetto, la cui costruzione richiama parecchio la tipologia degli stazzi galluresi: orientamento delle principali porte e finestre verso il sole nascente, alzato fatto di cantonetti regolari di granito, tanti ambienti disposti in maniera longitudinale. Un settore della casa non presenta intonaco esterno ed interno (pietra a vista) e il tetto è crollato. Nelle pareti laterali possiamo osservare i classici armadi a muro o semplici ripiani su mensole di legno ormai segnate dal tempo. 
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Particolare porta ingresso con lunotto
La parte finale, del primo complesso, risulta ancora coperta da coppi sardi di colore rosso con evidenti tracce di licheni e un ingresso alla struttura con un architrave sormontato da due cantonetti a mò di lunotto.
Il gruppo abitativo successivo sembra appartenere al medesimo nucleo famigliare sia per l'elevato delle costruzioni che per la vicinanza tra gli edifici. Innanzitutto sono strutturalmente differenti dalla prima costruzione descritta e presentano un'architettura a palazzina su due piani. Gli ingressi e le finestre del primo edificio si aprono, anche in questo caso, nel lato orientale della struttura confermando una caratteristica tipica della regione. Frontale a questa si trova un altro edificio a due piani con le aperture principali, questa volta, aperte verso occidente quasi a voler mostrare una  pertinenza o comunque un legame con la prima palazzina o di proprietà della stessa famiglia. Da una prima analisi visiva queste costruzioni parrebbero successive alla prima descritta , il che fa supporre un primo impianto di tipo agro pastorale a cui poi è succeduto un ampliamento dovuto ad una crescita del nucleo famigliare o una crescita socio-economica.
Prima Palazzina
La palazzina a est mostra una facciata di corsi regolari in granito, un uscio rifinito da elementi ben sagomati e sormontato da una finestra ormai obliterata. Il piano terra della palazzina si presenta intonacato e imbiancato, con a destra un'ampia camera con camino, finestre e un ripostiglio.
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Seconda Palazzina
Attraverso una scala in muratura di poderosi parallelopipedi di granito si sale al primo piano dove a destra si apre una camera ormai spoglia ma con il tetto ancora integro impostato su una lunga trave su cui poggiano le traverse ormai anneriti dal tempo e dall'abbandono. Ancora sul  piano del tetto, impostato a doppio spiovente, residuano coppi e tegole sarde, ma non ci è dato sapere se il controtetto era reso in canne oppure in pannelli di legno. Sulla sinistra del primo piano si apre un altro spazio a cui non si può accedere.
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Complesso finale
Continuando la stradina in leggera salita, compare una nuova struttura impostata di nuovo in maniera longitudinale sviluppata in un unico livello con aperture principali sul lato orientale. Il circondario mostra la chiusura, con muretti a secco, di vari settori probabilmente destinati al contenimento del bestiame. Il nucleo abitativo si presenta assai importante e ben chiaro, mostrando, quasi congelate nel tempo, le fasi edilizie e cronologiche che hanno caratterizzato la nascita e la crescita dell'agglomerato e il suo successivo abbandono. Abbandono che, dalla lettura dei contorni e degli interni è verosimilmente avvenuta gradualmente, senza catastrofici eventi naturali o umani, dato che le ultime attività antropiche sono ricordate sino alle fasi finali degli anni 60 del XX secolo attraverso la celebrazione di un matrimonio.

Non importa quanto il tempo passa,non importa cosa prende posto provvisoriamente, ci sono cose che non verranno mai assegnate all'oblio, memorie che nessuno può rubare.
Haruki Murakami

domenica 7 gennaio 2018

Terranova - Il Porto nella seconda metà del 1800


Trascrizione Durdica Bacciu
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da Itinerario dell'isola di Sardegna 
Alberto La Marmora

"...Fin dal mese di Dicembre del 1867 fu in questo villaggio impiantato l'utilizio del telegrafo, lo che deve rendere un gran benefizio ai commercianti e ai passeggeri, perchè in questo modo non avranno da perdere il tempo aspettando nella spiaggia il vapore per ore e ore, mentre in questo modo potranno essere assicurati della partenza e dell'ora in cui si troverà nel porto.
Fin dal 5 aprile 1868 a rimorchio d'un vapore fu portata una caracca ossia cavafango destinata all'escavazione della bocca del porto per cui si era bilanziato la somma di L. 45,150, per pulire il canale della lunghezza di metri 575 per 15 o 20 metri di larghezza. Essa lavorò  lentamente per qualche tempo, ma sarebbe stata un opera più lesta , se fin dal principio vi avessero mandato una draga a vapore come si è faito in questi ultimi anni. Fatta questa operazione si dovrebbe pensare a far deviareil corso del fiume, altrimenti coll'andare degli anni il canale sarà riempito nuovamente di sabbia.

Carta del Golfo di Olbia, allora Terranova, del 1739 opera del Craveri

Il porto è ora accessibile, secondo la confessione dello stesso Ministro, fatta in Parlamento nel Dicembre 1873, mediante un canale scavato fino alla profondità di sei metri alle navi di portata di 600 tonnellate. I vapori però non rishiano finora di accostarsi alla cala.
Nell'uscir dal porto si trova un' isola detta delle Colonne, che si crede il sito da dove i romani estrassero le colonne per i templi di Olbia, che poi servirono per le Chiese. Terranova è sempre in progresso, vi hanno eretto tante cose signorili nel formarsi le quali vi hanno scoperto i pozzi antichi, che contengono l'acqua potabile di ottima qualità. I pozzi sono rotondi nelle bocche, che poi si slargano in quadratura, vi erano pure delle cisterne che i proprietari hanno utilizzato..."

lunedì 13 novembre 2017

ArcheOlbia: I tesori di Ittiri tra San Leonardo, Domus e Nuraghe

di Durdica Bacciu
Ph D.Bacciu


archeolbia
Ittiri è un piccolo comune in provincia di Sassari, nella regione storica del Logudoro. Elemento geografico di riferimento è il lago artificiale del Cuga, una fonte importante per l'agricoltura ed allevamento.  Tra i prodotti alimentari da segnalare ricordo: il carciofo "Spinoso sardo" a cui il marchio di denominazione di origina protetta (DOP) vale il riconoscimento a livello europeo per il 2011; l'olio extra vergine d'oliva e la produzione del formaggio.
Il territorio di Ittiri è caratterizzato da diverse testimonianze archeologiche, che vanno dal preistorico ai giorni nostri. Oggi vi descriverò tre siti archeologici:

- Chiesa di San Leonardo
- Nuraghe di San Leonardo
- Domus di San Leonardo

San Leonardo de Sa Iddazza o del Cuga
Una chiesa mononavata risalente al XII secolo, faceva parte del monastero dell'ormai scomparsa Villa di Tuta o Cuga del giudicato di Torres. Architettura romanica, una pianta longitudinale con abside. Nei lati della chiesa, possiamo notare grandi archetti sostenuti da lesene che si appoggiano su una bassa zoccolatura. L'interno è illuminato da due monofore situate nei lati ed è ipotizzabile che nell'abside ci fosse un'altra luce, forse eliminata durante il restauro. Nell'Ottocento, secondo la testimonianza di Lamarmora, chiesa e monastero si trovavano in completa rovina conseguentemente,
durante gli anni Sessanta, con la progettazione del lago del Cuga, i muri perimetrali e ciò che rimaneva dell'abside, per non essere sommersi dalla diga, vennero smontati e ricomposti nel sito dove si trova oggi.

Nuraghe San Leonardo e Domus di San Leonardo
L’associazione fra insediamento nuragico e tombe ipogeiche a prospetto architettonico, si riscontra nel sito di San Leonardo, presso il bacino artificiale del Cuga: a poca distanza da un nuraghe, di tipologia indefinibile, il complesso di domus de janas, conosciute come di "San Leonardo" presenta svariate grotticelle, probabilmente in contatto tra loro e recentemente usate come rifugio durante il secondo conflitto
mondiale,  ultimamente sfruttate come luogo di cava. Una di queste, la più grande, presenta nella parte anteriore una decorazione a stele centina,  un corridoio di circa 4,60 m e sui lati, sopraelevate, si aprono 5 nicchie. Il secondo ipogeo presenta una piccola cella ellittica e un canale di scolo ben visibile, oggi occupato da una grossa radice.(CASTALDI 1975, p. 35)
 
Bibliografia:

  • Manlio Brigaglia, Salvatore Tola (a cura di), Dizionario storico-geografico dei comuni della Sardegna, Sassari, Carlo Delfino editore, 2006.
  • Francesco Floris, Enciclopedia della Sardegna, Sassari, Newton&Compton editore, 2007.
  • Ittiri - Monumenti e Chiese.
  • Paolo Melis - Il complesso ipogeico-megalitico di Sa Figu Ittiri (SS)
  • Paolo Melis - Ipotesi di Preistoria Ittiri-Sassari

 





 

lunedì 3 luglio 2017

Sulle tracce della Grande Madre - Buddusò 22 luglio 2017

ArcheoBuddusò organizza per voi a Buddusò
Visita in nottura presso la domus di Santu Sebostianu e la necropoli di Ludurru.
Presenta la serata:
Marcello Cabriolu, autore de 'La Sardegna e il Mediterraneo Occidentale' ,
- la Dott.ssa Durdica Bacciu
- il team di ArcheoBuddusò
Illumineremo per voi questi splendidi monumenti creando un'atmosfera suggestiva.

Vi aspettiamo alle ore 20:00 presso il Ristorante Logudoro, dove cenerete in uno dei più bei locali del centro di Buddusò, subito dopo cena si parte a piedi verso la domus di Santu Sebostianu, sita nel cuore di Buddusò, a seguire la Necropoli di Ludurru distante 400 metri più avanti, in un piccolo agro in periferia.

Cena + Visita :
€ 25,00 a persona previa prenotazione
€ 10,00 per i bambini fino a 10 anni di età
COMUNICARE ANTICIPATAMENTE EVENTUALI INTOLLERANZE ALIMENTARI
Menù del Ristorante Logudoro:
Antipasti di terra : salumi misti e formaggi locali
Primi : Gnocchetti alla Logudoro ( sugo con salsiccia fresca)
Secondo: Arrosto di Vitello con contorno di patate arrosto, verdure
grigliate, pinzimonio
Frutta: Macedonia di frutta con gelato
Caffè , Vino ed Acqua
Menù Bambini: Cotoletta alla milanese+patate fritte
È inoltre possibile richiedere il
Menù Vegetariano
Prenotazione ed info :
347 9121459 Fiorella
079 714503 Ristorante Logudoro
Consigliati abiti comodi, scarpe sportive ed una piccola torcia elettrica

mercoledì 26 aprile 2017

Megaron a doppio antis di Dom'e Orgia Esterzili - ArcheOlbia

di Marcello Cabriolu
Ph Durdica Bacciu

 

durdica bacciu
Il megaron di Domu ‘e Orgìa, riconducibile al XIV sec. a.C., venne edificato ad una quota di 970 mt s.l.m. circa, all’imbocco di un valico. Potenzialmente la struttura controlla l’altipiano di Taccu Mauruoi e le sue numerose sorgenti, che in epoca preistorica dovevano essere sicuramente gestite dalle genti dei nuraghi. La potenzialità dell’insediamento è evidenziata inoltre dal fatto che il valico occupato sia stato in passato il passaggio obbligato dei percorsi di transumanza verso le pianure dal clima più mite. La struttura si mostra di forma rettangolare, con doppio antis, e circondata da un recinto ovale. La tecnica edilizia, nonostante siano stati utilizzati materiali resi a lastre, si presenta sempre del tipo a “sacco”, e l’edificio si eleva con almeno un atrio-vestibolo e due ambienti interni separati da un tramezzo, con un ingresso sormontato da un architrave e una luce di scarico. Vi si accede attraversando un vestibolo marginato da una panchina e, oltrepassando il primo ingresso, si entra nella sala più grande, anch’essa contornata da un sedile, interrotto a sinistra da una lastra ortostatica. L’ambiente più interno, a cui si accede attraverso un ingresso poderoso architravato, si rivela di dimensioni ridotte rispetto al precedente, ma anche questo adorno di un sedile.
durdica bacciu
Attualmente non ci è dato sapere che tipo di copertura fosse stata utilizzata, ma alcuni studiosi suppongono si trattasse di un tetto a doppio spiovente. All’interno del recinto ovale si trovano i residui di altre strutture, mentre altre ancora si intravedono qualche centinaio di metri più a Sud, testimoniando quanto il complesso fosse molto più ampio rispetto a quanto risulti evidente attualmente. L’indagine archeologica ha rivelato la presenza di svariata utensileria sia litica - come pestelli macine e lisciatoi - che fittile - olle e ciotole -, oltre ad una discreta quantità di prodotti bronzei. Tramite confronti con edifici dell’Età del Bronzo/Ferro della penisola e del Mediterraneo orientale, l’edificio parrebbe un centro religioso caratterizzato da un forte potere politico/economico. Attraverso questi confronti si evincono elementi sociali di genere femminile con ruoli di potere o di rappresentanza nella Sardegna del XII sec. a.C.

durdica bacciu
Come raggiungerlo
Dal paese di Esterzili seguire le indicazioni per il Monte Santa Vittoria e il Complesso Domu’e Orgìa. Percorrere la strada asfaltata di penetrazione agricola che indica Monte Santa Vittoria e percorrerla per diversi chilometri sino a quando si giunge alla vetta. Per arrivare al megaron, oltrepassare la pineta e proseguire lungo la stessa strada verso Escalaplano. Dopo pochi chilometri ancora, ormai scesi visibilmente di quota, in prossimità di un crocevia, si potrà vedere il monumento sulla sinistra a pochi metri dalla strada. L’area, libera all’accesso, è delimitata da un cancello e da una recinzione.