ArcheOlbia guida turistica Olbia archeologia della sardegna


Associazione ArcheOlbia
Promozione e Valorizzazione dei Beni Culturali

Guida turistica - Accompagnatore turistico - Attività didattiche - Corsi di formazione - Progettazione di attività culturali

ArcheOlbia
Piazza San Simplicio c/o Basilica Minore di San Simplicio
07026 Olbia (OT)
archeolbia@gmail.com
3456328150 Durdica - 3425129458 Marcello -
3336898146 Stefano
C.F. 91039880900


“Aprire il passato significa raccontarlo. Alla comunità scientifica sì, ma soprattutto alla comunità dei cittadini cui il lavoro degli archeologi e, più in generale, degli operatori dei beni culturali deve rivolgersi.”.
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giovedì 13 maggio 2021

Direzione Didattica 1° Circolo Olbia: Concorso FAI a.s. 20/21: “Ti racconto un posto”


San Simplicio Olbia

“Identità ritrovate”

Alla riscoperta del patrimonio di storia, arte, natura e delle tradizioni civiche italiane

Gli anni 2020 e 2021 nei libri di storia verranno ricordati come un periodo complesso, segnato da una profonda pandemia da COVID-19 (SARS-CoV-2); un lungo periodo di privazioni individuali e collettive nel corso del quale le attività didattiche sono state caratterizzate da un cambiamento. Tra maestri e alunni, spesso, sono venuti a mancare i rapporti umani, sostituiti dalla “DaD” Didattica a Distanza -Una tecnologia da tanti di noi poco conosciuta-. Eppure, tutti siamo diventati più “tecnologici”, ci siamo dovuti catapultare in questo nuovo modo di fare lezione, basata su una webcam che in maniera quasi invasiva, è entrata nelle nostre case, nelle nostre aule.

A seguito di questo periodo, l’anno scolastico in corso si è prefigurato come un periodo complesso, in cui docenti e studenti hanno dovuto collaborare per ri-costruire un nuovo modo di fare didattica. In questo contesto è stato ancora più determinante il ruolo dei progetti inseriti nella Programmazione Scolastica.

Il nostro Circolo ha aderito al Bando promosso dal FAI – Fondo Ambiente Italiano denominato: «Identità ritrovate. Alla riscoperta del patrimonio di storia, arte, natura e delle tradizioni civiche italiane» che invitava le classi a scoprire (e riscoprire) il proprio territorio. L’azione iniziale, per la buona riuscita dei Progetti in concorso, è stata quella di mettere in campo le conoscenze e le competenze degli alunni sapientemente guidati dalla Dott.ssa Durdica Bacciu – Archeologa e Guida Turistica RAS nonché Operatore del Marketing Culturale e Turismo Integrato, che, attraverso sette ambiti tematici, sviluppati all’interno di sette classi, ha approfondito la storia e l’identità di questa città e dei suoi abitanti.

Vi è stato così un susseguirsi di elementi legati all’aspetto culturale-artistico-enogastronomico; a principi di grande valore identitario; ad attività legate all’accoglienza e al rispetto del prossimo, con lo scopo d’infondere negli studenti un senso di appartenenza e una maggiore consapevolezza del proprio patrimonio. 

Gli argomenti trattati sono stati:

  • Olbia attraverso i suoi usi, costumi e tradizioni
  • I suoi personaggi
  • La sua enogastronomia
  • Gli stazzi della Gallura – Rudalza
  • Olbia, attraverso la sua archeologia – Acquedotto Romano
  • La Basilica di San Simplicio attraverso i nostri occhi
  • La marineria antica

Il progetto ha richiesto l’impegno dei docenti, degli alunni, degli esperti esterni per molti mesi. Un particolare ringraziamento va alle famiglie degli studenti che hanno, in questo lasso di tempo, supportato i bambini nelle diverse richieste e attività.

Vi invitiamo a prendere visione dei Progetti… Buona ri-scoperta a tutti!

Aprire link: https://www.ddprimocircoloolbia.edu.it/concorso-fai-a-s-20-21-ti-racconto-un-posto/

https://fondoambiente.it/il-fai/scuola/progetti-fai-scuola/concorsi-per-le-scuole


lunedì 19 aprile 2021

Centro storico di Olbia e le sue iscrizioni - da Dionigi Panedda ad oggi

di Durdica Bacciu
Ph Durdica Bacciu

Iscrizione 1771

Nessuna altra città, antica o non antica, ha cambiato il proprio nome quanto la “città felice”: Olbìa, Fausania, Civita, Terranova, Terranova Pausania sino ad arrivare al nome attuale di OLBIA. Olbìa è il suo nome più antico. Il poleonimo è greco: Olbìa (che viene trasformata in Olbia passando alla lingua latina). Nel lessico greco, Olbìa è il femminile dell'aggettivo “olbios” e significa “felice”, “ricco”, “splendido”. Questa ricchezza è testimoniata anche dalle varie genti che si sono susseguiti nei secoli, che hanno trovato nel territorio olbiese un ottimo scalo per il commercio e i rapporti sociali, a partire dai fenici dell'VIII secolo, ai greci del 630 a.C., passando per i punici e romani, arrivando al periodo aragonese e ritrovando una ripresa della "Città felice" nel XVIII. In questo scritto ci occuperemo dell'edilizia principalmente settecentesca ma troveremo anche delle testimonianze seicentesche.
Oggi, come al tempo del Panedda, non si ha particolare cura per la conservazione e valorizzazione dell'edilizia del centro storico, patrimonio dal grande potenziale ma abbandonato e senza una seria regolamentazione identitaria dal punto di vista architettonico .

1759
Questo ha portato alla quasi scomparsa delle caratteristiche strutture e ad un utilizzo dell'intonaco (e dei colori) al quanto discutibili. 
Una delle caratteristiche identitarie, identificativa della cronologia storica ed edilizia, del nostro centro storico, assolutamente da preservare, è quella delle architravi dotate di iscrizioni poste agli ingressi delle abitazioni, segnali dell'edilizia dei secoli precedenti al XXI. 
Lo scopo di queste iscrizioni era quello di dare una identità alle case e invocare la particolare benevolenza per la famiglia che la occupava. La formula iscrittoria si articola generalmente: iniziali del nome e cognome del proprietario, monogramma di Cristo (IHS) - J(esus) H(ominum) S(alvator) ovvero "Gesù Salvatore degli uomini" e in conclusione l'anno di fondazione dell'edificio. A questa formula generica, testimoniata numerosissime volte in altre località, si integra un solo caso dove l'invocazione è rivolta alla Vergine Maria e si trova attualmente in via Olbìa.
1642

Negli scritti dello studioso Panedda, intorno agli anni Quaranta, si potevano contare circa trenta iscrizioni, mentre negli anni Cinquanta, con la catalogazione di Benito Spano, se ne possono annoverare ventotto (28), infine negli anni ottanta ne residuano diciasette (17) ed oggi ne possiamo ammirare ventidue (22).
"...delle trenta da me lette negli ultimi anni Quaranta, venti epigrafi erano del sec. XVIII; delle ventotto lette dallo Spano, ventiquattro risalivano a quel secolo; oggi le epigrafi superstiti del Settecento, sono dodici..." (Panedda). 

Allo data odierna, in considerazione che tali elementi architettonici testimoniano dei processi storici e degli accadimenti tali da costituire la memoria storica cittadina, si rende necessario monitorare lo stato di conservazione o di scomparsa di tali elementi. Si è compiuta perciò una piccola ricognizione, una catalogazione delle suddette architravi, rilevandone il riferimento urbano, la varietà iscrittoria e annotandone la datazione. Lo scopo di ciò è conservare una traccia architettonica e fornire un semplice strumento di valutazione per i futuri interventi sul centro storico della cittadina.

Censimento in data 25 marzo 2021 a cura di Durdica Bacciu (Archeologa)
  1. Corso Umberto: 1763, 1820 (Panedda)
  2. Via Cavour: 1727, 1759, 1642 (Panedda) 1725 (Bacciu)
  3. Via Garibaldi: 1670, 1723, 1760* (Panedda) *La recente ricognizione ha permesso a chi scrive di leggere la seguente datazione 1766
  4. Via Romana: 1799 (Panedda)
  5. Via Olbia: 1833, 1771,1773, 1769 (Panedda) 1752, 1778, 1763, 1654 (Bacciu)
  6. Via Amsicora: 1744, 1747 (Panedda)
  7. Via Tempio: 1740 (Panedda)
  8. Via Piccola: 1759 (Bacciu)








venerdì 26 marzo 2021

NUOVE DATE - ARCHEOSPRING con ArcheOlbia dall'8 al 16 maggio 2021

 

🌺ARCHEOLBIA con Olbia Spring 🌺
La Settimana del Turismo Attivo (dall'8 al 16 maggio 2021)
Scopri la città di Olbia e il suo territorio con le escursioni di #archeolbia - Prenotazioni e contatti: 3456328150 - 3425129458 archeolbia@gmail.com #archeospring
⚠️ OBBLIGATORIA LA PRENOTAZIONE⚠️


PROGRAMMA ARCHEOSPRING 2021:
📌 LUNEDÌ 10 MAGGIO
Escursione guidata alla Tomba dei Giganti Su Monte ‘e S’Abe e Castello di Pedres dalle 10:30-12:30 🌼 17:00 - 19:00
📌MARTEDÌ 11 MAGGIO
Visita guidata presso l’Acquedotto romano di Sa Rughittula - Via Mincio
dalle 10.30 alle 12.30 🌼 17.00 - 19.00
📌MERCOLEDÌ 12 MAGGIO
Visita guidata Isolato punico di Via Nanni e antica Acropoli, oggi San Paolo dalle 10:30-12:30
📌GIOVEDÌ 13 MAGGIO
Visita guidata Mura puniche della città e il loro antico circuito dalle 10:30-13:00
📌VENERDÌ 14 MAGGIO
Visita guidata presso il Pozzo Sacro di “Sa Testa” dalle 10:00-12:00 🌼 17.00 - 19.00
📌SABATO 15 MAGGIO
Visita guidata alla Basilica di San Simplicio e al suo contesto “Funerario” dalle 10:30-12:30

Costi: 5 euro pp

domenica 27 dicembre 2020

Santu Paulu Calta - La sua storia (Arzachena)

 di Durdica Bacciu

Ph Durdica Bacciu

Agli inizi di dicembre, parlando con la cara amica Veronica Chiodino in merito ad un progetto su Rudalza, vengo a sapere che il bisnonno ha lavorato una vita presso il Rifornitore (IGM 1943), come capostazione, nella stessa località. Poi, cercando di capire un po' gli spostamenti della sua famiglia, nel passato,(in modo da capire per quali motivi avessero vissuto tra Rudalza e Arzachena) e come si chiamassero i suoi nonni, mi confermava che tutt'ora è in vita solamente il nonno, di 94 anni! Dio lo benedica. All'improvviso Veronica mi chiede: "Sei mai andata a vedere la chiesa di Paulu Calta?" - conoscendo bene le mie passioni- "No!" Le risposi, "Ti invio una storia...li c'è raccontata una vicenda legata a mio nonno". Improvvisamente si aprì un mondo mentre il racconto di Veronica continuava con "Lì vicino c'è anche uno stazzo, nonna mi aveva raccontato una storia", ecco, ora ha colpito la mia attenzione al mille per mille! 

Santu Paolu Calta:

La chiesa campestre di Santu Paolu si trova nel territorio di Arzachena in località Piredda e, secondo la tradizione fu costruita da "mastru Zappoli ed Ernesto Frau" con i manovali Salvatore Spanedda e Michele Varrucciu. La sua nascita si deve alla visione di una pia donna che avrebbe sognato il Santo sotto un bellissimo Leccio (ancora presente). Presenta una navata unica absidata. Ha un altare stile barocco in muratura, bianco con contorni celesti. Al suo interno sono custodite le statue de la Madonna del Buon Cammino  e San Paolo Eremita. Nelle pareti laterali sono conservate le statue di San Maurizio e di San Sebastiano. Presenta due ingressi, l'ingresso frontale presenta una piccola finestra a semicerchio ed è sormontata da una campanile a vela con una piccola croce. I suoi lavori sono iniziati nel 1909 e finito nel 1911, come ricorda la targa posta sull'architrave. 


Invocata a 
San Paolo Eremita

Per grazia ricevuta da San Paolo Eremita.
Il giorno 4 Dicembre 1932, il bambino Chiodino Francesco di Giovanni di anni 7 mentre si avvicina ad un gioco di buoi che mangiavano nelle apposite mangiatoie visto che un bue si aveva rovesciato la mangiatoia senza che il padre se ne fosse accorto, si avvicinava per accomodare la detta mangiatoia. Allorquando il bue si avventò al bambino infilandogli un corno in bocca e tenendolo penzoloni per aria.
Al gridare disperato del bambino, il padre esclamò invocando da San Paolo Eremita la salvezza del bambino. Infatti il corno strappò la guancia fino a qualche millimetro dall'occhio con una ferita di 20 punti. Ricoverato subito nell'ospedale militare marittimo di La Maddalena, il bambino vi rimase per ben 100 giorni, sotto le cure del colonnello medico Germani.
Invocate pertanto il gran Santo che vi salverà dai grandi pericoli !!
Il Padre del Bambino - Giovanni Chiodino
Stazzo Piccariddoni - 5 Agosto 1933

Di seguito invece vi lascio la storia dello stazzo (di Veronica Chiodino raccontata dalla nonna Giovanna Nieddu) 

 La Casa stregata

L’entroterra gallurese è ricco di luoghi misteriosi legati a fenomeni paranormali. Vecchie abitazioni diroccate e isolate sono le protagoniste di queste testimonianze ricche di misteri. Fanno da cornice ai macabri racconti i nuraghi millenari, ginepri piegati dalla furia del maestrale, le rocce granitiche dalle forme più bizzarre, quasi surreali, tanto da indurre la mente umana ad animarle e a trasformarle fantasiosamente prima in aquila, poi in una maestosa sfinge egiziana o un orso minaccioso. Storie di anime vaganti sospese tra i due mondi: l’aldilà e la vita terrena. Tutti questi elementi ruotano attorno alle vicende della casa stregata di Stazzu Muru. ‘Intorno alla fine dell’800 due fuorilegge di Silanus, appartenenti alla nobiltà tanto da meritare il titolo di “Don”, furono condannati nel loro paese per aver commesso vari omicidi e conseguentemente trasferiti nel carcere di Tempio per essere poi portati al patibolo ad Occhji ad Agghjiu. Ben presto si sparse la voce in città e tutti decantarono le qualità estetiche dei due “belli e dannati”, provocando la curiosità delle due nubili figlie del Giudice che li vollero vedere a tutti i costi. “Noi vulemu idè chisti dui cioani”. Il padre acconsentì alla visita in prigione da parte delle due giovani. L’incontro fu amore a prima vista: le ragazze rimasero folgorate dal fascino ammaliante dei due marghinesi, i quali suscitarono un magnetismo tale da indurle imperativamente a richiedere la loro grazia: “buchetini chisti da galera chi ci li spusemu noi”. Il padre, assillato dai continui capricci delle cocciute ragazze, acconsentì alla richiesta liberando i due criminali. Poco dopo, le due coppie convolarono a nozze. Il giudice era un ricco proprietario terriero e possedeva diversi stazzi in Gallura, tra i tanti quello di Muru, ubicato nei pressi della chiesetta campestre di San Paolo Carta a pochi km da Arzachena, che divenne ben presto il nido d’amore delle due improbabili coppie. I miracoli succedono di rado e la redenzione ebbe i giorni contati. Il matrimonio non fu proprio idilliaco e venne macchiato di rosso e di vendetta dai due malavitosi, che continuarono a spargere un’incessante scia di sangue commettendo diversi delitti e seppellendo le vittime vicino alla loro casa. La famiglia andò in disgrazia e dopo la morte dei delinquenti quell’abitazione divenne ben presto un luogo maledetto, infestato da anime penitenziali.’ Parte della maledizione di questo posto fu attribuita alla supposizione della presenza di “lu suiddhatu”, un tesoro composto da oro e denaro, nascosto dagli antichi. Una leggenda narra che se qualcuno avesse nascosto nella propria casa ingenti quantità di monete d’oro e poi non avesse potuto confidare il segreto ai famigliari o discendenti, il diavolo si sarebbe impossessato del patrimonio. Da allora nella stanza contenente il gruzzolo, nessuno avrebbe più ritrovato pace e riposo, perché il demonio, diventato padrone e custode di esso, si sarebbe mostrato spesso, sotto forma di diverse personificazioni terrificanti. Qualcuno provò a trovare il tesoro, passando la notte nella camera da letto di quella casa. Fu la notte peggiore della sua vita: schiamazzi e lenzuola che scivolavano ripetutamente dal suo letto costrinsero l’uomo ad abbandonare l’impresa. Negli anni successivi la casa fu abitata dalla moglie di uno dei figli dei due delinquenti, deceduti alcuni anni prima. Divenne presto vedova con un figlio piccolo da crescere e le anime resero la sua esistenza un vero e proprio inferno: una sera la réula mise al centro del salotto una cassa da morto mentre lei riposava con il suo bambino. Perseguitata da un destino avverso, passò la sua triste vita a combattere con visioni e fantasmi, arrivando esausta alla morte. Altri raccontano che una volta la casa era abitata da una famiglia di pastori. Era un posto macabro e malandato che incuteva panico e terrore tanto che alcuni uomini evitavano di passarci con il carro a buoi anche nelle ore diurne. Una sera Ziu Pascali e suo nipote Ciccheddu si recarono a Stazzu Muru per ritirare un pacco postale. Arrivati a metà strada, Pascali mandò il nipote alla casa stregata per prendere il pacco. Bussò alla porta e fu aperto dalla moglie del pastore, che invitò il ragazzo ad entrare e ad accomodarsi in attesa del marito. Tutto a un tratto udì un branco di cavalli selvaggi che correvano davanti all’aia: Ciccheddu, incuriosito, si alzò tempestivamente dalla sedia, si affacciò al balcone ma non vide nulla di insolito. Ritornò a sedersi poco convinto e dopo qualche minuto udì nuovamente lo scalpitio di zoccoli, ma la padrona di casa con occhi severi intimò il giovane a restare seduto.  Una volta arrivato il pastore e ritirato il pacco, il ragazzo ritornò dallo zio. Desideroso di capire cosa fosse successo, gli domandò se avesse visto o sentito qualcosa di strano. Pascali, totalmente estraneo ai fatti, rispose di non aver visto nulla. Dopo qualche tempo si venne a sapere che i Pastori avevano abbandonato quella casa, esasperati dalle incessanti incursioni delle anime vaganti. L’ossessione di immagini demoniache e spettrali che diventano incontrollabili nonostante varie contromisure. Personaggi realmente esistiti che testimoniano con convinzione i fatti appena raccontati. I misteri degli abitanti degli stazzi continuano ad appassionarci in un’altalena di emozioni che oscilla tra mito e realtà, storia e leggenda.

Consigli: https://www.facebook.com/Sulla-strada-di-Vera-del-Sol-114538473235692/


Il
Rifornitore, citato all'inizio, si presenta ancora eretto a pochi metri dalla linea ferroviaria, in prossimità della regione denominata "Campo Majore". Le murature sono realizzate prevalentemente in cantoni di granito mentre gli archi e gli stipiti di finestre e porte sono realizzati in laterizi. Il tetto risulta completamente crollato e i segni sulle murature mostrano che era impostato su travi di legno. Si presentava soppalcato in legno con una scala che saliva al primo piano addossata alla parete settentrionale.

All'interno dell'ambiente al piano terra, opposto all'ingresso principale ed affiancato da una finestra, trovava spazio un camino con cappa intramuraria, ora completamente crollato. Il piano superiore mostra la presenza di una finestra e di un armadio a muro. All'esterno abbiamo la presenza di un ambiente aggiunto a settentrione, a unico spiovente mentre nel fianco occidentale ancora residua l'imboccatura dell'enorme cisterna dell'acqua.













venerdì 11 dicembre 2020

"Il Natale" di Terranova secondo Francesco De Rosa

 di Durdica Bacciu

Photo https://autonomiademocraticaolbia.jimdo.com


Negli anni anche la festa di Natale ha subito varie trasformazioni, dovute alla tecnologia, al momento storico e al consumismo. 

Pillole di ricordi: "Quando ero piccola, per Natale era tradizione andare da Nonna Rosina. Tutta la famiglia si riuniva intorno a lei ed era il nostro centro, sia per i grandi che per i piccini. Andare da Nonna era festa, era rivedere gli zii, giocare con i cuginetti e gli amici del paese, mangiare cose buone come la zuppa gallurese di Zia Peppina, sentire la porta del salone aprirsi e chiamare "Peppì" (come chiamavano zia). Il Natale era anche fare il "giro" dei parenti, in un paesino di poche anime ma con tanti ricordi, Cuzzola, il paese di mia madre e delle sue sorelle. Era sentire l'odore del vino offerto dagli zii a mio padre, rigorosamente vino rosso fatto in casa, era sentire sempre mia madre un po' in ansia richiamare "Titino devi guidare" e la risposta di papà "Cosa vuoi che mi faccia un bicchiere di vino ?" Il Il Natale erano le luci dell'albero in ogni casa, il panettone e il pandoro, i pacchi colorati e quel magnifico "maneggiare" di soldi che solo le nonne e le zie sapevano fare (senza essere viste): "...con questi ti compri le caramelle". Il Natale aveva l'odore delle cose buone, della gente allegra e in quei giorni il tempo sembrava non passare mai. Tutti erano felici...tutti erano uniti. Poi, cosa non doveva mancare? La Messa di Natale, si quella era d'obbligo. Si andava in chiesa dopo la cena di Vigilia del 24 notte oppure la mattina del 25, in ogni caso si era contenti perché il significato era chiaro: avrei visto nonna, le zie e i cugini! Diventavo improvvisamente grande fan della messa 😊"

L'unica cosa che non è cambiata in tutto questo tempo è l'emozione e i ricordi che lascia il Natale ed è proprio leggendo il libro di Francesco De Rosa "Tradizioni popolari di Gallura" possiamo rivivere il Natale della vecchia Terranova oggi Olbia.

Basilica di San Simplicio

"La notte di Natale, più che alla commemorazione della nascita di Gesù viene dedicata al dio Ventre e a Bacco sitibondo" scrive De Rosa, spostandosi dalle proprie case alle taverne, mangiando cibi tipici e frutta secca per quanto riguarda gli uomini, mentre le donne stavano tranquille in casa intorno al fuoco raccontando storie e fiabe per i più piccoli, cercando di tenerli sveglia per la messa notturna in onore del Divin Bambino. I giovani invece seguono la tradizione della messa più per svago che per interesse perché è tutto fuori controllo. Riprende il De Rosa "Molti giovanotti portano le saccocce piene di coccole di mirto, di cui i galluresi sono ghiotti, e ne tirano manate in aria facendole piovere sulle persone; altri portano noci, nocciole e mandorle che schiacciano ivi, e sgusciano per mangiarne i semi ed i gherigli, offrendone alle ragazze", gesti che non sempre erano apprezzati, "...altri fichi ed ampolline di Vermouth, di vino o di liquori che bevono e fanno bere agli amici ed ai conoscenti."

Terranova Pausania 

 I discorsi comuni tra un bicchiere di vino e un ficco   secco erano sempre gli stessi, gli sposalizi del paese,   quelli finiti, di femmine galanti e di donne generose,   di scampagnate e feste, di campagne con i relativi   animali, di pesca e caccia, sparlando della vita delle   persone non presenti e di quelle presenti con vanti o   critiche sempre con cuore allegro e aria di festa.   Tutta questa allegria però non è sempre consona al   momento o al luogo dove si svolge la santa messa e   quindi "...i sacerdoti, veduta la mala parata, non   sapendo a quale santo votarsi, sono costretti a fare appello alla Benemerita, perché voglia ristabilire alquanto la calma". Tutta questa allegria raggiunge la sua massima esplosione alla mezzanotte con l'intonazione del Gloria in excelsis Deo che annunzia la nascita del Divino, "...battendo le mani, percuotendo coi piedi il pavimento, dando pugni al confessionale o alle panche..."  

Finita la messa si torna allegramente nelle proprie case dove si mangiano i piatti prelibati della tradizione come "...pan'e sabba, cuccjuleddi melati, origlietti, niuleddi, turroni, ecc..." e nulla viene lasciato sulla tavola e tantomeno con la pancia vuota, specialmente ad Aggius e Bortigiadas dove, secondo una leggenda, chi rimaneva a pancia vuota sarebbe stato visitato da Palpaccja, una figura oscura con il compito di riempire la pancia vuota con dei grossi sassi. 

Albero di Natale Olbia 2020


Leggendo queste poche righe del De Rosa possiamo notare come sia cambiato il modo di festeggiare il Natale, molto più sobrio e silenzioso ma non per questo meno sentito. 

(Francesco DE ROSA, Il Natale in Tradizioni popolari di Gallura,Ilisso edizioni, Nuoro 2003, a cura di Andrea Mulas, pp. 136-138)


lunedì 2 marzo 2020

Ὀλβία - Mostra Olbia Greca - 630-510 a.C.

Ph D.Bacciu

 "L'eclatante risultato della tutela archeologica e l'esposizione dei reperti dell'unica città greca della Sardegna"

Sala museale al primo piano Aeroporto olbia Costa Smeralda
Orario: 9-21
Durata: dal 27 febbraio all'8 aprile 2020 
Info mostra: artport@geasar.it 

L'importanza di una Città con la sua storia e i suoi scavi, raccontati attraverso reperti unici, pannelli e fotografie. Olbia fù una città greca dal 630 al 510 a.C., unica città greca della Sardegna (sino ad oggi).

Riportiamo alcune parti dell'articolo dello studioso Rubens D'Oriano, ringraziandolo per l'attività di tutela, divulgazione e valorizzazione della storia e archeologia di Olbia durante la sua lunga ed esemplare carriera di Archeologo.





Tratto da: R. D'Oriano - Indigeni, Fenici e Greci a Olbiawww.archeologia.beniculturali.itBollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale A / A4 / 3Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n. 330 ISSN 2039 - 007616

"Il contesto di via Cavour Nel 2006 è stato individuato il primo contesto olbiese arcaico, consi-stente nel riempimento di una fossa sulla roccia.
Questo contesto anzitutto fuga ogni dubbio, qualora ancora ve ne fossero, circa la connotazione greca di Olbia attorno al 600 a.C., perché i documenti in esso raccolti sono di tale ambito culturale mentre sono as-senti materiali fenici. A questo proposito è significativo che gli unici pezzi non greci siano gli otto frammenti di ceramica indigena i quali, a prescindere dal significato che rivestono sull’esistenza di rapporti tra i Greci dell’insediamento e il mondo locale e che tratterò più avanti, ben mostrano come, qualora fosse esistita nell’Olbia del 600 a.C. anche una componente fenicia non irrisoria, pure di essa avremmo dovuto trovare traccia in questo contesto. Esso quindi si pone a conferma, importante in quanto evidenza stratigrafica, del quadro fornito in precedenza dai reperti decontestualizzati, e non pare illegittimo in forza di ciò dilatare que-sta conferma a tutta quella che ho indicato coma le fase greca dell’insediamento, cioè da circa il 630 alla fine del VI secolo."

"La vicenda greca di Olbia si consuma infatti, stando ai materiali, solo con la fine del VI secolo, cioè solo un trentennio circa dopo quella di Alalia, in concomitanza non casuale con l’acquisizione da parte di Cartagine del controllo della Sardegna intera, alla fine di un processo di conquista avviato in tempi non di-stanti dalla battaglia del Mare Sardonio nel meridione dell’Isola e con esito allora tutt’altro che scontato. Questo controllo, efficace anche sul Nord-Est della Sardegna stando alla clausola del trattato del 509 che vietava ai dirimpettai Romani l’approdo nell’Isola, presuppone la fine della presenza greca a Olbia, in accordo col record archeologico finora noto per il nostro centro, a prescindere dal quesito se per gli abitanti si sia trattato di una dipartita più o meno coatta, di una presa d’atto dell’impossibilità di una ulteriore permanenza e simili."






mercoledì 16 ottobre 2019

Santuario di Nostra Signora di Tergu – Tergu



Santuario di Nostra Signora di Tergu – Tergu

 di Durdica Bacciu
Ph D.Bacciu


Il Santuario di Nostra Signora di Tergu, già Sancta Maria de Therco, viene fondato dai frati benedettino di Montecassino (e figura al primo posto fra le filiazioni sarde celebrate nelle porte bronzee di Montecassino: IN SARDINIA/S(AN)C(T)A MARIA IN/THERCO CUM/PERTINENTIIS SUIS) sotto il governo del Giudice Mariano I De Lacon-Gunale ( testimonianza citata nel Libellus judicum turritanorum  - Cronaca in volgare logudorese del sec. XIII). Il complesso monastico rappresenta al meglio l’architettura romanica con segni di maestranze pisane e lombarde. Non si hanno notizie certe sulla data della sua consacrazione ma gli studi propendono per la data del 1117, come narrato nello PseudoCondaghe di Tergu, altrettanto non si hanno notizie certe neanche sull’edificazione dell’annesso monastero che non era più in funzione già nel 1300. La testimonianza di cio ci viene dall’assemblea voluta da Pietro IV d'Aragona nel 1355, dove non compare nessun rappresentante del monastero, mentre sono presenti quelli dei Vallombrosani, dei Cistercensi, dei Camaldolesi e degli Ospedalieri gerosolimitani. Nel 1444 i beni di Santa Maria di Tergu vengono aggregati alla mensa arcivescovile turritana. Più tardi, nel 1503, Giulio II, con bolla del 26 novembre, univa l'abbazia al vescovado di Ampurias, trasferito allora nella nuova sede di Castel Aragonese (Castelsardo). Tracce del complesso monastico sono perfettamente riconoscibili tutt'attorno attraverso gli scavi archeologici svolti nel 1959, che permettono ancora oggi, di ricostruirne la pianta con il refettorio dei monaci e dei conversi, la cucina, il chiostro, i magazzini e il profondo pozzo.
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Nata probabilmente ad unica navata con abside semicircolare e copertura lignea (1065-1082), la chiesa mostra di aver subìto nel tempo varie aggiunte e rifacimenti. Due frammenti di iscrizione recano la notizia di lavori edili condotti nel monastero e nella facciata che, probabilmente, venne ricostruita tra il 1150 e il 1200.  In seguito furono edificate due cappelle laterali ai lati del presbiterio, a formare un transetto. Più tardi, probabilmente nel 1664 come attesta una epigrafe, si sostituì l'abside romanica con un'altra rettangolare con la volta a botte con cornice decorata a dentelli.  L’intera fabbrica si presenta in rossa trachite ad eccezione di alcuni elementi decorativi della facciata, quali le ghiere degli archi, i capitelli delle paraste angolari e le colonnine con annessi capitelli del secondo ordine (tutti in calcare bianco). Tutto il corpo presenta uno zoccolo a scarpa, viene scandito da lesene e, sopra le lesene, un coronamento ad archetti. Le porte laterali si presentano architravate e sovrastate da un lunotto a sesto rialzato.
La facciata priva del frontone, di cui restano soltanto le basi di due colonnine, è divisa in due ordini tramite una cornice marcapiano in calcare bianco con un fregio ad ovoli classici, foglie d’acqua e caulicoli. L’ordine inferiore è mosso da tre arcate scolpite in calcare bianco sorrette da due colonnine e parastre laterali, mentre quello superiore è decorato con cinque arcate bianche intercalate centralmente da quattro colonine in calcare bianco, due lisce e due tortili mentre lateralmente terminano con due lesene. Sotto ogni arco è presente una formella con motivi geometrici e sopra ogni incroco d’archi si posizionano altrettante quattro formelle. Tutta la scena sovrasta l’oculo centrale a quattro lobi. L’ingresso si presenta gradonato. Addossato al settore settentrionale del transetto si presente la colonna campanaria con una pianta quadrilatera.
Vicino all’ingresso principale, nel lato destro della navata, è visibile un’antica iscrizione, ormai quasi illeggibile che recita:  
A. EGRILIVS A. F.
PLARIANVS
DECVRIAL. SCR. CER. ET
CL. TIFHERMIONE
FECERVNT
CL. TIF. IRENAE
LIB. LIBERTABVS. POSRISQ. EORVM

Il cippo testionia la presenza di un sepolcro famigliare eretto da Aulo Egrilio, figlio di Aulo Plauriano, e da Claudio Tifermione a Claudia Tifermione Irene, e ai liberti, liberte e loro posteri.


Bibliografia: 

- R. Delogu, L'architettura del Medioevo in Sardegna, Roma, La Libreria dello Stato, 1953
- M. Botteri, Guida alle chiese medievali della Sardegna, Sassari, Chiarella, 1978
- R. Serra, La Sardegna, collana "Italia romanica", Milano, Jaca Book, 1989
- R. Coroneo, Architettura romanica dalla metà del Mille al primo '300Nuoro, Ilisso, 1993
- G. Dore, Tergu (SS), S. Maria di Tergu, La decorazione architettonica, Milano, 1994

- Salvatore Chessa, L'insediamento umano medioevale nella curatoria di Montes (Comuni di Osilo e Tergu), Sassari, Magnum, 2002
- R. Coroneo, Chiese romaniche della Sardegna. Itinerari turistico culturali, Cagliari, AV, 2005