di Marcello Cabriolu
Ph: Durdica Bacciu
Ph: Durdica Bacciu
Il
complesso funerario, ricavato in una conca di origine vulcanica, risulta
utilizzato ininterrottamente dal 3500 sino al 1600 a.C. Allo stato attuale -
sensibilmente ad ulteriori rinvenimenti - si costituisce di circa 40 sepolture
indagate dal 1971 al 2007 attraverso numerose campagne di scavo dirette dal Prof.
Enrico Atzeni e da Remo Forresu.
La grossa necropoli di massa, di cui si servivano diversi centri abitati - come si può osservare in tanti altri contesti come ad esempio la necropoli preistorica di Sant’Antioco utile a diversi centri sulcitani -, si compone sostanzialmente di sepolture a sviluppo orizzontale. Chiaramente quello che osserviamo tutt’ora è il risultato di ristrutturazioni e riutilizzi durati migliaia di anni, ma nel rispetto di quelle che erano le abitudini consolidate in altre necropoli, le camere si sviluppano sul piano orizzontale anziché scendere in livelli sovrapposti. A parte pochi ipogei a pozzetto, la maggior parte delle sepolture presenta un dromos ed un corridoio d’accesso molto allungato con una canaletta di concentrazione delle acque nella parte antistante l’ingresso. Tra le domus si distinguono per monumentalità la VII, nota come “Sa Grutta ‘e is Proccus” oppure “Sa Conca ‘e Mortu”;
la X; e la XXXIII, detta “Sa Cresiedda”. Le domus VII e XXXIII, contrapposte al lati della conca, si presentano fondamentalmente divise in due vani: uno anteriore e uno posteriore. In ambedue i casi a separare i due ambienti si trova una parete con tre aperture: una piccola centrale e due ampie laterali. Nel caso della tomba XXXIII, “Sa Cresiedda”, vennero risparmiate inoltre delle colonne laterali e scavate delle coppelle nel pavimento. La strutturazione degli ambienti interni, sia nel caso di sepolture a pozzetto che a sviluppo orizzontale, è sempre di sagoma sub circolare, quasi a indurre una forma uterina in cui veniva concentrata l’acqua piovana posizionando il defunto in posizione fetale. Il primo gruppo di Domus, che enumera dalla I alla VI, si compone per la maggiore di tombe a pozzetto dove (in particolare nella tomba II) si riscontrano elementi quali cerchielli concentrici molto simili a quelli della Stele di Boeli di Mamoiada. Sempre in questo gruppo si osservano nelle pareti degli ipogei consistenti tracce di ocra, oltreché la silhouette cruciforme della Dea Madre scolpita nella roccia. Del secondo gruppo fanno parte le tombe santuario, la maggior parte delle quali è costituita da sepolture a sviluppo orizzontale dotate di dromos con lastre ortostatiche. Proprio la posizione ortostatica di queste pietre fa supporre che il corridoio, probabilmente dotato di architravi sormontanti gli ortostati, risalga all’Età del Bronzo, testimoniando una continuità di usi di circa milleseicento anni. Di questo gruppo fanno parte anche le tombe XII e XIII, con la prima in particolare che presenta un emiciclo che ricorda l’esedra di una tomba dei giganti oppure la facciata di un ipogeo a stele centina. Ambedue le sepolture comunque risalgono al Bronzo Medio. Il terzo gruppo, denominato “is Tuttoneddus”, comprende (dalla XIV alla XXIII) delle tombe a pozzetto, anche queste inquadrabili tra il Neolitico e l’Età del Bronzo, in alcune delle quali, per la precisione dalla tomba XV alla XIX, per la presenza di una sorta di esedra, si può ipotizzare una tipologia di ipogeo a stele centina simile a quelli sassaresi. All’interno del quarto gruppo si annovera un’altra tomba santuario: la XXV. Il quinto gruppo comprende la sepoltura XXXIII detta “Sa Cresiedda” e un’altra sepoltura particolare: la XXXIV, che presenta un gradino interno congiunto ad una protome taurina. Alcuni studiosi individuano nelle rappresentazioni parietali di questa tomba delle riproduzioni di imbarcazioni con individui sul ponte. L’area è circondata da diversi nuraghi; presenta una “roda” dove venivano officiate le veglie funebri e nel pianoro soprastante si sviluppa un laghetto sacro. Sono presenti inoltre numerosissime altre domus ancora da indagare, ricavate in prossimità di acque sorgive. Diversi menhir circondano la gigantesca area funeraria oltre ad una testa antropomorfa scolpita nella roccia ignimbritica, posta a simboleggiare il volto della Dea Madre.
La grossa necropoli di massa, di cui si servivano diversi centri abitati - come si può osservare in tanti altri contesti come ad esempio la necropoli preistorica di Sant’Antioco utile a diversi centri sulcitani -, si compone sostanzialmente di sepolture a sviluppo orizzontale. Chiaramente quello che osserviamo tutt’ora è il risultato di ristrutturazioni e riutilizzi durati migliaia di anni, ma nel rispetto di quelle che erano le abitudini consolidate in altre necropoli, le camere si sviluppano sul piano orizzontale anziché scendere in livelli sovrapposti. A parte pochi ipogei a pozzetto, la maggior parte delle sepolture presenta un dromos ed un corridoio d’accesso molto allungato con una canaletta di concentrazione delle acque nella parte antistante l’ingresso. Tra le domus si distinguono per monumentalità la VII, nota come “Sa Grutta ‘e is Proccus” oppure “Sa Conca ‘e Mortu”;
la X; e la XXXIII, detta “Sa Cresiedda”. Le domus VII e XXXIII, contrapposte al lati della conca, si presentano fondamentalmente divise in due vani: uno anteriore e uno posteriore. In ambedue i casi a separare i due ambienti si trova una parete con tre aperture: una piccola centrale e due ampie laterali. Nel caso della tomba XXXIII, “Sa Cresiedda”, vennero risparmiate inoltre delle colonne laterali e scavate delle coppelle nel pavimento. La strutturazione degli ambienti interni, sia nel caso di sepolture a pozzetto che a sviluppo orizzontale, è sempre di sagoma sub circolare, quasi a indurre una forma uterina in cui veniva concentrata l’acqua piovana posizionando il defunto in posizione fetale. Il primo gruppo di Domus, che enumera dalla I alla VI, si compone per la maggiore di tombe a pozzetto dove (in particolare nella tomba II) si riscontrano elementi quali cerchielli concentrici molto simili a quelli della Stele di Boeli di Mamoiada. Sempre in questo gruppo si osservano nelle pareti degli ipogei consistenti tracce di ocra, oltreché la silhouette cruciforme della Dea Madre scolpita nella roccia. Del secondo gruppo fanno parte le tombe santuario, la maggior parte delle quali è costituita da sepolture a sviluppo orizzontale dotate di dromos con lastre ortostatiche. Proprio la posizione ortostatica di queste pietre fa supporre che il corridoio, probabilmente dotato di architravi sormontanti gli ortostati, risalga all’Età del Bronzo, testimoniando una continuità di usi di circa milleseicento anni. Di questo gruppo fanno parte anche le tombe XII e XIII, con la prima in particolare che presenta un emiciclo che ricorda l’esedra di una tomba dei giganti oppure la facciata di un ipogeo a stele centina. Ambedue le sepolture comunque risalgono al Bronzo Medio. Il terzo gruppo, denominato “is Tuttoneddus”, comprende (dalla XIV alla XXIII) delle tombe a pozzetto, anche queste inquadrabili tra il Neolitico e l’Età del Bronzo, in alcune delle quali, per la precisione dalla tomba XV alla XIX, per la presenza di una sorta di esedra, si può ipotizzare una tipologia di ipogeo a stele centina simile a quelli sassaresi. All’interno del quarto gruppo si annovera un’altra tomba santuario: la XXV. Il quinto gruppo comprende la sepoltura XXXIII detta “Sa Cresiedda” e un’altra sepoltura particolare: la XXXIV, che presenta un gradino interno congiunto ad una protome taurina. Alcuni studiosi individuano nelle rappresentazioni parietali di questa tomba delle riproduzioni di imbarcazioni con individui sul ponte. L’area è circondata da diversi nuraghi; presenta una “roda” dove venivano officiate le veglie funebri e nel pianoro soprastante si sviluppa un laghetto sacro. Sono presenti inoltre numerosissime altre domus ancora da indagare, ricavate in prossimità di acque sorgive. Diversi menhir circondano la gigantesca area funeraria oltre ad una testa antropomorfa scolpita nella roccia ignimbritica, posta a simboleggiare il volto della Dea Madre.
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