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“Aprire il passato significa raccontarlo. Alla comunità scientifica sì, ma soprattutto alla comunità dei cittadini cui il lavoro degli archeologi e, più in generale, degli operatori dei beni culturali deve rivolgersi.”.
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martedì 17 ottobre 2017

Nuraghe Burghidu - Ozieri

di Marcello Cabriolu
Ph D. Bacciu

Il nuraghe complesso Burghidu sorge nel comune di Ozieri.
La letteratura lo indica come quadrilobato ma ad un'osservazione area dal 2014 sino al giorni nostri si può cogliere il profilo di un bastione trilobato addossato ad una torre principale di almeno due livelli. Il litotipo costruttivo è un'ignimbrite locale prelevata nel sito stesso, costituito da un tavolato lavico, dove si possono cogliere distintamente i punti di cava.
La struttura si compone appunto di un bastione, dall'andamento rettilineo nel fianco SE e NE mentre curvilineo nel fianco W, con residui di torri secondarie, estroflesse, in direzione Nord, Sud ed Est. Il bastione residua solamente al primo livello dove si mostra costituito da megaliti tendenti ad una forma sub rettangolare sia sul fianco occidentale che in quello orientale.
Il lato orientale mostra un'interruzione netta nel punto che in pianta dovrebbe ospitare la torre Est tanto da suggerire l'eventuale presenza dell'ingresso architravato che in origine permetteva di entrare nell'edificio. La torre Nord residua quasi integra con la sua tholos e vi si accede tramite un ingresso esterno architravato di luce trapezoidale. La torre principale si innalza dal bastione per circa 16 corsi di macigni tendenti all'isodomia e disposti su filari ordinati.
Un danneggiamento del paramento murario sul fianco SE ha favorito il dilavamento del "sacco murario" e il crollo di parte del paramento stesso lasciando in condizioni critiche la scala destrorsa e il rifascio. Da questa posizione si è potuto osservare che il secondo livello è costituito da una camera voltata a tholos con un finestrone aperto a SSE, fuori asse rispetto all'ingresso al complesso. Davanti al finestrone passava la scala destrorsa di sezione trilitica che portava dalla camera al primo livello all'apice della struttura. Per problemi di sicurezza e staticità la camera al primo livello risulta non praticabile ed in parte interrata.


 
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domenica 16 aprile 2017

Il Nuraghe Adoni di Villanovatulo - ArcheOlbia



di Marcello Cabriolu 
Ph Internet
 
Il complesso del Nuraghe Adoni, conosciuto sin dai primissimi anni del milleottocento, venne indagato solamente dal millenovecentonovantasette al millenovecentonovantanove per intervento del prof. Mario Sanges. Il complesso si è rivelato costituito da un mastio A attorniato da un bastione quadrilobato costituito dalle torri B, C, D, E, rispettivamente collocate a E, N, W, S e circondato ulteriormente da un antemurale turrito. Fondamentalmente la struttura si poggia sopra un tacco di calcare ben visibile nel settore orientale e, data la forma irregolare e non simmetrica nonostante le torri si mostrino ad addizione concentrica, in origine, attorno al XVI sec. a.C., doveva essere un protonuraghe che comprendeva il mastio A e la cortina panciuta a sud. L’elemento litico usato sono dolomie e calcari assemblati sostanzialmente senza rispettare filari e con il supporto di numerose zeppe di sostegno combinati a creare un indubbio paramento a “sacco”. Si accede da un ingresso leggermente sopraelevato sistemato tra la cortina curvilinea a S e la torre E, sulla sinistra si accede alla torre con feritoie mentre sulla destra si sale, attraverso un corridoio stretto, verso il secondo livello del complesso.
La torre E, descritta con feritoie, si presenta molto simile a quella del Nolza di Meana Sardo o del Serbissi di Osini, quindi come queste è inquadrabile, soprattutto in virtù del distacco dal corpo del complesso e di un rinvenimento di un ripostiglio nelle vicinanze, come una fornace per l‘estrazione dei metalli. La rampa d’ingresso conduce ad una sorta di pianerottolo superiore che alcuni studiosi denominano come cortile Y, a ovest del mastio, e che si mostra simmetrico al cortile X sistemato a est del mastio. Ci sono valide motivazioni per credere che questo non sia altro che un unico elemento, un corridoio anulare, che circonda il residuo del piano superiore del bastione, proprio come quello che circonda la sala al piano terra del Santu Antine di Torralba. Si parla di residuo del piano superiore del mastio innanzitutto perché l’antica sala superiore voltata a tholos è scoperchiata e poi perché lo spessore murario è parecchio più stretto del livello sottostante, il che fa supporre che alla parte superiore della torre manchi qualche “rifascio”. Da sottolineare che al centro della sala, resa in dolomia, sono stati riposti i mensoloni di coronamento in calcare e basalto che in origine donavano all’apice del mastio una composizione bicromatica. Si è già parlato dell’andito verso la torre E per aggiungere che dal corridoio anulare al primo piano partono anche gli altri anditi che conducono alle torri secondarie B, C, D. In particolare il percorso verso la  torre B, come si suppone avvenisse per la torre D, si sviluppa curvilineo e si ferma a quota mt 4 dal pavimento della sala, alta circa mt 7, facendo ipotizzare che l’ambiente fosse diviso in due livelli da un soppalco in legno. La parte settentrionale del bastione presenta un andamento irregolare che suggerisce una maggior ampiezza nell’estensione e la presenza di qualche altra torre riunita al corpo principale da un antemurale con torri. In particolare il settore settentrionale si amplia in un cortile che ospita una cisterna con copertura a tholos, profonda circa 3 mt.
Questa, resa in calcare e con un paramento a “sacco” riempito di argilla e pomice, opportunamente indagata, mostra un deposito di vasi e ceramiche per la fruizione delle acque. Il complesso è circondato da un villaggio dove si possono individuare almeno dodici capanne con una scalinata che conduce al sottostante insediamento, ancora da indagare, che si sviluppa nel bosco. Qui si possono osservare strutture raggruppate a isolati con vani concentrati su cortili. L’analisi del deposito e le forme edilizie ci mostrano un periodo di ampliamento e di utilizzo che va dal XIII al X sec.a. C. almeno, testimoniando un fase di vita ricca e florida che vedeva la forgiatura di lesine, pugnali, punte di lance, scalpelli, navicelle, pannelle di rame, brocche, bracciali e tanto altro materiale per le esigenze di vita quotidiana.

Come raggiungerlo

 Dall’abitato di Villanova Tulo prendere la SP52 per Laconi. Dopo circa 3,5 km svoltare a sinistra ed imboccare una strada sterrata ma agevole che sale sull’altipiano che ospita il nuraghe. Al termine della strada si trova la piazzola di sosta dove parcheggiare l’auto. Si procede quindi a piedi per qualche centinaio di metri sullo stradello in salita fino a giungere alla pinnetta in cui è ospitata la biglietteria.

lunedì 30 gennaio 2017

Nuraghe Riu Runaghe di Ardara

di Durdica Bacciu
Ph Durdica Bacciu

durdica bacciu Per chi arriva da Olbia è necessario svoltare nello svincolo per Ardara e procedere sino al paese. Poco prima di entrarvi troverete sulla destra uno spartitraffico con l'indicazione per Sassari e per il Nuraghe. Seguendo quella strada, dopo circa due km vedrete il nuraghe sopra una piccola altura sulla destra. Si parcheggia l'auto davanti ad un cancello e si prosegue a piedi attraverso un campo privato. Nel caso ci fosse del bestiamo brado presentare massima attenzione per non disturbare il loro pascolo.

Il nuraghe che vi mostro è un nuraghe complesso, di cui una parte della torre centrale è visibile mentre il resto è completamente interrato. Mentre si risale la cima della collina si notano le prime rovine che corrispondono ad una torre secondaria con la volta distrutta semi coperta dagli arbusti e dal materiale di crollo. Alla sinistra si presenta la medesima situazione di un'altra torre invasa da crolli e arbusti.

Frontalmente invece si presenta in alzato una torre con un'apertura, probabilmente un finestrone posto al primo piano del nuraghe, dove entrando si può notare in fondo una sala circolare con un ampio vuoto nel pavimento. L'apertura è dovuta al crollo della tholos dell'ambiente sottostante. Invito gentilmente chiunque voglia visitarlo a tenersi ben lontano da questo ambiente per la possibilità che crolli. A destra e a sinistra della sala circolare possiamo vedere i corridoi, terminanti in crolli e quindi non percorribili, che probabilmente conducevano alle scale per scendere al piano inferiore oppure salire a quello superiore. Invito ancora una volta i visitatori a osservare la massima attenzione e prudenza.
Fuoriuscendo dalla struttura, e girandovi attorno, possiamo notare una cortina, fatta di massi di notevoli dimensioni, in parte eretta e in parte crollata  occlusa in alcuni tratti dalla vegetazione.

Nonostante il sito non sia stato scavato e studiato il Comune di Ardara ha cercato di valorizzarlo con il classico cartello di interesse turistico (quello marrone tanto per capirci). Se vi dovesse capitare di non riuscire a trovarlo, per chi è pratico della vecchia 597, il cartello si trovava all'ingresso del secondo svincolo per Ardara, parlo sempre per chi arriva da Olbia, oppure al primo svincolo per Ardara per chi arriva da Sassari.
Con un po' di pazienza si trova ma nel caso vi lascio le coordinate: 40°31'39"N   8°41'18"E

sabato 7 gennaio 2017

Geronticidio in Sardegna - L'uccisione dei padri

di Durdica Bacciu
Ph: Internet

Secondo la tradizione sarda il geronticidio, ovvero l'uccisione dei più anziani della comunità, avveniva per mano dei figli esclusivamente per quelle persone, con oltre i settanta anni di età, considerate "un peso per la comunità". Questo rito, testimoniato da diversi storici classici come Timeo di Tauromenio, avveniva in onore di Kronos. Questo rituale viene descritto per tutto il Mediterraneo come se fosse un fatto necessario e importante per il ciclo della vita e della morte. Secondo la tradizione, gli uomini con più di settant'anni venivano accompagnati dal figlio maggiore verso un precipizio per il supremo sacrificio e, come si racconta, tutto ciò avveniva nella massima compostezza e senza invocazioni d'aiuto da parte della vittima, come se si accettasse il macabro destino. Qui finiva la vita dell'anziano e iniziava simbolicamente la vità del figlio, che avrebbe assunto il ruolo che era del padre ovvero il comando della comunità.
Ancora questo rituale viene riportato da Gustave Glotz quando descrive la processione rituale a cui il Minosse cretese era sottoposto. Il sovrano, raggiunta la vecchiaia, veniva portato in processione sul Monte Ida, la leggendaria montagna dove nacque Zeus, e lì, in una grotta, spinto giù da una rupe. La sopravvivenza del personaggio lo investiva dell'autorità sacra di poter continuare a governare sul popolo. Forse anche la Sardegna preistorica officiava questo rituale dati i numerosi reperti rinvenuti nella grotta "Su Benatzu" di Santadi dove probabilmente si svolgeva questo cerimoniale dedicato ad una divinità ctonia.

Demone ed Eliano da Palestrina, nelle loro opere, descrivono il sorriso che si notava sui volti della vittima e del carnefice, una caratteristica che poi verrà identificata come il "riso sardonico". .quasi una espressione ghignante per esorcizzare la morte. Probabilmente il primo a parlarne fu Omero quando descrisse la risata amara di Ulisse dopo aver schivato la zampa tiratagli da Ctesippo, ma senz'altro l'episodio più conosciuto è quello legato all'automa Talos, secondo il filosofo greco Zenobio, che andava incontro ai Sardi, invasori dell'isola di Creta, ustionandoli e portandoli ad assumere una faccia ghignante e alterata dal dolore durante la morte.





durdica bacciu
Punto panoramico sulla vallata del Riu Pardu
Tutto questo che vi raccontiamo è testimoniato nei racconti popolari di alcuni paesi sardi, come nel caso di Gairo, famoso per essere stato ricostruito dopo avere abbandonato "Gairo vecchia" a seguito una alluvione, dove ancora si usa dire: "is beccius a sa babbaieca". Si trovava nei pressi del ponte sul rio Pardu, ad un migliaio di metri dall'abitato e probabilmente si tratta di un luogo leggendario dove far passare il vecchio padre, in quanto la traduzione letterale suggerisce la parola babbai che significa padre e eca che significa ingresso quindi "uscita dell'anziano". Un'altro detto è: "Ancu ti 'nci ettinti in Sa Babbaieca" (Che possano gettarti nella Babbaieca).
Si racconta di una rupe esistente a Gairo Vecchia e secondo le testimonianze, era la zona destinata al geronticidio. Ad Ovodda invece possiamo trovare la roccia chiamata "su nodu de lupene". Nella zona del sassarese invece, possiamo trovare diverse denominazione "Su Mammuscone" in particolar modo nelle grotte e ricordiamo che a Cossoine è presente una grotta che si chiama: Sa Ucca è Mammuscone e con i suoi 63 metri di profondità è la grotta più profonda del sassarese.

Cossoine
Ancora in campo scientifico Prof. Ugas suppone che il grosso recinto a due ingressi di Monte Baranta - Olmedo fosse destinato proprio a quello. Il recinto circonda solo una rupe e non ha specificità alcuna tranne che per i numerosi rinvenimenti ceramici in un solo corridoio: quello aperto a occidente dove si ipotizza che anziano con giovane si infilassero sino a consumare qualcosa nelle ceramiche distrutte. Successivamente lo studioso ipotizza che solamente il giovane uscisse dal corridoio aperto a Oriente verso il sole nascente quasi a simboleggiare la rinascita. 
Secondo il Lilliu queste uccisioni non avvenivano in maniera generalizzata ma probabilmente erano riservate ai soggetti di elevato rango sociale, in modo da permettere ai nuovi designati di ereditarne le caratteristiche e le virtù, come spesso si suppone in numerose culture che una volta uccisa la persona, le sue doti e qualità vengano prese dall'uccisore.

Bibliografia: 
G.Minunno, Geronticidio punico? L'uccisione degli anziani nelle più antiche tradizioni sulla Sardegna. Studi e materiali di storia delle religioni 69,  (2003), pp. 285-312
G.Ugas, L'alba dei nuraghi, 2005, Ed. Fabula 
Pittau, Massimo (1991) Geronticidio, eutanasia ed infanticidio nella Sardegna antica. In: L'Africa romana: atti dell'8. Convegno di studio, 14-16 dicembre 1990, Cagliari (Italia). Sassari, Edizioni Gallizzi. V. 2, p. 703-712. (Pubblicazioni del Dipartimento di Storia dell'Università di Sassari, 18.2). Contributo in congresso.
M.Cabriolu, Storie di Re e Boes tra i popoli del mare, Lacanas n.54
C. Zedda, Geronticidio in Sardegna, www.claudiazedda.it


domenica 1 gennaio 2017

Epistilio del tempio di Cerere di Olbia

di M.Cabriolu
Ph Durdica Bacciu

Epistilio del tempio dedicato a Cerere ad Olbia con il nome di Claudia Augusti liberta Acte (CIL XI 1414) ovvero la concubina e liberta di Nerone.
Attualmente è custodito presso il Cimitero Monumentale di Pisa e si trova, entrando, sulla destra. Noi lo rivogliamo a Olbia sulla facciata di San Simplicio.#larivogliamoaolbia
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durdica bacciu

(Ph Durdica Bacciu - ArcheOlbia)


 
Ringraziamo la Nuova Sardegna, sezione di Olbia, per aver amplificato la nostra "provocazione" nel segnalare un bene storico della Citta' di Olbia, presente nel Cimitero Monumentale di Pisa. Con l'occasione abbiamo voluto dare luce ad un reperto, forse non ancora conosciuto da tutti, soprattutto i giovanissimi, con la speranza che questo possa riadornare con pregio la nostra Città. 
(Ph Durdica Bacciu - ArcheOlbia)

 
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domenica 11 dicembre 2016

ArcheOlbia - Sa sedda 'e sos carros di Oliena

di Marcello Cabriolu
Ph Internet

Individuato l’isolato - che ricorda fortemente gli ambienti complessi di Serra Orrios a Dorgali oppure quelli di Su Romanzesu a Bitti - si decise nel 1977 di dare l’avvio agli scavi. L’area, sviluppata su una pendenza, a cui si può accedere da una scalinata creata migliaia di anni fa, si estende su un insieme di ambienti concentrati attorno a un unico cortile attraversato da un canale di scolo. Uno degli elementi degni di nota è il bagno termale, scoperto durante gli scavi del 1995, segno di un livello civile di riguardo. L’ambiente è di forma circolare con alzato di conci in basalto in mezzo ai quali, a un’altezza di circa 1 mt dal pavimento, si trova un filare di conci di calcare fissati tra loro tramite colate di piombo. Il filare di calcare venne utilizzato per creare una canaletta stagna in grado di distribuire l’acqua in tutto il vano. Nella faccia a vista dei massi di calcare vennero scolpite nove teste di ariete dal cui muso, tramite ugelli di piombo, l’acqua zampillava verso il centro dell’ambiente. Al centro della stanza, sul pavimento fatto di calcare e leggermente in pendenza, venne poggiata una base cilindrica sopra cui venne sistemata una vasca di arenaria con bordo rialzato e una fessura sul fondo a raccogliere il getto degli ugelli.

Un sedile anulare in basalto venne addossato alla parete e sotto uno dei seggi venne ricavata un’apertura per far defluire i liquidi in uscita dalla vasca. La parte superiore delle pareti venne rifinita con conci di basalto con faccia a vista obliqua, tali da far supporre che la volta del bagno termale fosse a tholos mentre l’ingresso del vano venne reso con una soglia in basalto e degli stipiti. Si presume che, quando il bagno termale cadde in disuso, questo spazio venne utilizzato come deposito di oggetti bronzei in quanto si rinvennero circa 150 kg di oggetti di bronzo frammentari con protomi taurine, cervine, vasi askoidi, asce, picconi, pannelle di rame e parecchie armi. All’esterno del vano si conservano un piccolo forno e la pavimentazione lastricata. Dell’isolato fa parte una vasca gradonata formata da conci in basalto, che richiama fortemente la vasca gradonata di Su Romanzesu di Bitti, sottratti probabilmente dallo smantellamento di un edificio precedente. 

Durante i lavori di pulizia dell’intorno dell’isolato è emerso un muraglione di quasi 3 metri di altezza, in cui si aprono i canali di scolo dell’agglomerato pertinenti sia al bagno termale che al cortile centrale, che circonda l’agglomerato. Anche in questa zona, a seguito degli scavi del 2002, è stato rinvenuto un secondo ambiente considerabile come un bagno termale: il sedile è rotondo e vi compare una vasca al centro. Data l’altezza di uno dei canali di scolo, di circa 1,20 mt, si può considerare realmente intenzionale, da parte dei costruttori, l’idea di creare ampi canali per poterli manutenzionare. All’esterno dell’isolato gli scavi hanno evidenziato diverse altre strutture che sottolineano l’ampiezza dell’insediamento, di gran lunga superiore al solo isolato ora evidente. All’interno del bosco, vicinissima alla strada e quasi in corrispondenza della piazzola di sosta, esterna all’area gestita dalla biglietteria, si individua il profilo di una Tomba dei Giganti, di cui appaiono ben chiari sia il corpo che l’esedra.

Il video è curato dalle aziende Teravista, per le riprese aeree e le elaborazioni 3D, e Seies Comunicazione e Design, per la modellazione, l'animazione e il rendering.
La ditta Sim Tech ha fornito il supporto tecnico e la consulenza per la costruzione del modello.
La società Geores di Roma ha collaborato alla realizzazione.
Copyrigt 2013-2014 Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano 

https://www.youtube.com/watch?v=iPC9lGP-rys 

Per informazioni:
Telefono: 349 5082766
Email: info@gestursardegna.com

 

mercoledì 7 dicembre 2016

ArcheOlbia - La leggenda della regina di pietra Iddocca

di Durdica Bacciu
Ph Internet

Numerose leggende sarde parlano di una potente regina dal nome Iddocca che, sotto richiesta del suo popolo, decise di costruire una dei più grandi nuraghi di tutta la Sardegna, sia per omaggiare le divinità ma anche per proteggere il suo popolo in caso di necessità.
La regina, forte e decisa, aveva una bellissima figlia alla quale teneva molto e per la quale avrebbe dato la vita. Durante una giornata di lavoro, venne nel villaggio di Iddocca, una messaggero che annunciò lo sbarco dei nemici lugo la costa e la direzione del loro cammino verso l'entroterra. Udendo queste parole, la figlia della regina si offrì volontaria per andare a prendere informazioni su chi fossero questi nemici, promettendo di tornare con più notizie possibili per preparare la difesa. La regina fu parecchio contraria a questo gesto da parte della figlia ma, rispettando la volontà e la libertà di essa, acconsentì con il cuore pieno di paure.

Passati alcuni giorno e non avendo notizie della figlia, la regina si fermò durante il lavoro a scrutare l'orizzonte. Non fece in tempo a pensare che vide un uomo vestito di nero avvicinarsi al galoppo verso di lei. Il cavaliere si scoprì essere un messaggero le cui notizie non furono buone. La figlia della regina era caduta per mano dei nemici. 
La rabbia e il dolore della regina si poteva vedere nel suo volto e nelle sue azioni, si guardò intorno disperata e inizò a prendere le grosse pietre destinate alla costruzione del nuraghe e a lanciarle lontano e mandandole a fissarsi nella terra tutto intorno. Distrutta dal dolore, essa stessa si tramutò in pietra, pietra come il suo cuore ormai consumato dal dolore, freddo e duro.

Ancora oggi, nel territorio di Laconi si può vedere questa pietra, in memoria della regina e del suo grande dolore per la perdita della figlia.

lunedì 5 dicembre 2016

ArcheOlbia - La fonte sacra "Su Tempiesu" di Orune

di Marcello Cabriolu
Ph Internet


Il monumento venne scoperto nel 1953 dai Sig.ri Sanna, proprietari del terreno che in origine si chiamava “Sa Costa de sa Binza”, mentre cercavano di terrazzare il fianco del monte per impiantare un frutteto. Il nome “Su Tempiesu” è legato a un mito della zona in cui si parlava di un uomo proveniente da Tempio che, nei primi del ’900, lavorò al taglio dei boschi per produrre carbone. La prima campagna di scavi avvenne nel 1953 ma i resoconti relativi vennero pubblicati solo nel 1958. La necessità di un restauro, vista la progressiva rovina del monumento, richiese un intervento della Soprintendenza Archeologica che durò dal 1981 al 1986 e fu gestito dalla Prof.ssa Maria Ausilia Fadda, attraverso il quale venne intrapresa un’indagine più approfondita. Si scoprì allora che le genti preistoriche avevano individuato la presenza della falda d’acqua che scaturiva dalla roccia scistosa, e vi avevano eretto la costruzione a pianta rettangolare.
Utilizzando della trachite e lavorandola a martellina, gli Shardana crearono, addossata alla roccia, una struttura templare con tetto a doppio spiovente che rispetta il principio edilizio dei nuraghi: il muro a sacco. La rifinitura dei pezzi del tetto venne curata in maniera esagerata, risparmiando solamente quelle che ora vengono definite “bugne” ma che in origine dovevano essere lunghe corna riprodotte in onore della Dea Madre, come si fece nel Pozzo Sacro di Perfugas. Il prospetto venne rifinito con una sorta di cornicetta, il timpano, di forma triangolare, che presentava degli incavi in cui vennero trovate infilzate delle spade di bronzo, dal basso verso l’alto, fissate con colate di piombo. Sotto il timpano venne lasciato uno spazio vuoto, di luce triangolare, dove vennero posti due archi in pietra a soprastare il vestibolo del pozzo. Il piano di calpestio venne completamente lastricato lasciando lo spazio per una canaletta d’acqua e il deflusso del pozzo. Ai lati del vestibolo vennero ricavati i sedili e il pozzetto venne incorniciato con un portello e una soglia con beccuccio adduttore corrispondente alla canaletta di scolo. L’imboccatura del pozzetto venne strombata verso l’esterno e dotata di gradini simbolici verso il pozzetto di captazione e la parte superiore architravata con gradoni rovesci.
Al momento della scoperta e del restauro si notò che tutti i conci e i blocchi erano saldati tra loro da verghe di piombo, addirittura nel pozzetto i lati erano stati rivestiti di piombo per evitare la fuoriuscita dell’acqua. Alcuni studi sostengono che il tempio fosse in origine circondato da un recinto, ma osservando la struttura viene spontaneo ritenere che anticamente esso fosse cupolato a tholos e solo dopo fosse stato ristrutturato a doppio spiovente. L’area antistante il vestibolo rivelò un recinto curvilineo che alla base, nel punto in cui scolava la canaletta, terminava in un bacile in pietra con beccuccio per un ulteriore scolo. Affianco è presente un concio, inserito nel muro della struttura, che riporta un viso scolpito con le sembianze della divinità, ovvero l’arcata sopraccigliare e il setto nasale ben marcato. Il bacile fu oggetto di deposito di numerosissimi oggetti in bronzo quali spade, bottoni, bracciali, stiletti, anelli e bronzetti mentre l’esplorazione stratigrafica dei vani del complesso ha riportato alla luce due ambienti ben definiti usati da deposito per gli ex-voto rimossi dal pozzetto.

Come arrivare
Lasciare l'abitato di Orune e seguire le indicazioni per Su Tempiesu. Giunti in prossimità del cimitero, svoltare in una stradina asfaltata che conduce, dopo pochi chilometri, all'ingresso dell'area archeologica. Si lascia l'auto e si procede a piedi per un sentiero in discesa che, dopo alcune centinaia di metri, termina davanti alla fonte.  

Bibliografia
G. Lilliu, "Nuovi templi a pozzo della Sardegna nuragica", in Studi Sardi, XIV-XV, 1955-57, p. 244 ss.;
M.A. Fadda, "Il Tempio a Pozzo di Su Tempiesu (Orune, Nuoro)", in Rivista di Scienze Preistoriche, XXXVII, 1982, p. 284 ss.;
M.A. Fadda, "Il Tempio a Pozzo di Su Tempiesu (Orune, Nuoro)", in La Civiltà nuragica, Milano, Electa, 1985, p. 208;
V. Santoni, "I templi di età nuragica", in La Civiltà nuragica, Milano, Electa, 1985, p. 181 ss.; 
M.A. Fadda, "Su Tempiesu di Orune e il culto nuragico delle acque", in Archeologia Viva, XVIII, 74, 1999, pp. 78-83.