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venerdì 18 marzo 2016

I megara e la sacra fiamma



di Marcello Cabriolu
Ph: Durdica Bacciu


La ricerca archeologica in Sardegna è ancora lontana dal tracciare dei contorni netti e precisi ma qualche spiraglio di ritualità e di culto emerge tra i pochi monumenti indagati. Si scopre così una nuova tipologia di monumento ben precisa dove si celebrano due elementi particolari: fuoco e acqua. 
durdica bacciu
Monte Santa Vittoria - Sito Monte Nuxi
Gli elementi di cultura materiale rinvenuti nei contesti archeologici sardi hanno permesso di osservare che sin dal lontano Neolitico le genti sarde si sono profondamente votate alla Dea Madre. Dalle forme tornite delle statuette, in arenaria e in steatite, alle forme tombali quali le domus de janas, che riproducono l’utero materno con il liquido amniotico, la religiosità dei sardi ha sempre manifestato una vocazione per la divinità femminile tipica dei popoli mediterranei. L’ipogeismo dell’Età del Ferro e le forme statuarie in bronzo confermano che questo culto si è protratto attraverso i millenni e ancora si riproporrà incolume sino al Cristianesimo. Le indagini di scavo, relative alla preistoria e alla protostoria sarda, purtroppo vanno molto a rilento sia per la penuria di fondi che per la mancanza di reale interesse da parte degli studiosi preposti. Non è errato sancire che dell’intero patrimonio monumentale in Sardegna ora si conosca solo il 5% circa e che se non fossero state effettuate le indagini dai primissimi del Novecento sino agli anni ’50 non si conoscerebbe quasi  nulla. Sulla sacralità dei monumenti sono state spese innumerevoli parole attraverso gli studi soprattutto del compianto Prof. Giovanni Lilliu, naturalmente non tutti coerenti e concisi in considerazione di una ricerca ai primordi. Numerose ipotesi, non sempre felici nella composizione, sono state avanzate da ricercatori “non allineati”, i quali tuttavia sono sempre sembrati più interessati a primeggiare in un’improbabile discussione che vede tutti i nuraghi necessariamente come castelli o come templi. Dopo aver scoperto delle concordanze negli “arredi” di alcune strutture abbiamo ritenuto opportuno tralasciare questa sterile quanto farraginosa diatriba per  volgere lo sguardo verso quelle particolari costruzioni, non ancora ben inquadrate, con un corpo circolare e una parte frontale caratterizzata da ante parallele, fiduciosi nella possibilità di comprendere le caratteristiche della società che le ha generate.
L’analisi chiaramente è partita da questa tipologia di monumenti, forse perché non abbastanza definita per i suoi aspetti più salienti. Da qui, per similitudine di arredi e non di rinvenimenti materiali, l’analisi ha raggiunto ed incluso i cosiddetti edifici a megaron, cercando di spiegare le motivazioni, inerenti l’ambito ideologico, di tale inquadramento e tralasciando apposta la presenza di bronzi, lingotti e metallurgia forse perché fuorvianti nella considerazione del culto. A differenza di altri studi[1] abbiamo volutamente tralasciato le considerazioni sulla distribuzione altimetrica[2] e sull’inquadramento geo-morfologico e litologico, sull’inquadramento idrografico e sulla distribuzione dei monumenti relativamente alle aree minerarie o agli insediamenti abitativi, per valutare un altro aspetto non tanto esterno quanto introspettivo. Abbiamo sorvolato persino sulle attente valutazioni relative a abitazioni absidate con focolare centrale considerandole riduttive e svianti in quanto riconducibili ad abitazioni di uso comune non di certo a taluni edifici a carattere di sacralità. La domanda fondamentale che ci si è posti è: cosa si celebrava in tali edifici?

Esterzili - Domu'e Orxia
 

A questa si è cercato di dare una spiegazione plausibile cercando parallelismi nella penisola pre-romana e nell’Egeo, in virtù di analisi antropologiche esposte di seguito. Intanto la ricerca ha sviluppato un criterio edilizio nella comparsa e nelle modifiche dei monumenti a megaron stabilendo almeno tre tipologie – I, II, III -  relative alle caratteristiche strutturali. Secondo gli studi consultati[3] al tipo I sarebbe ascrivibile l’edificio absidato di Malchittu, aperto a SE, inquadrabile nel Bronzo Medio[4], composto da un corpo principale con abside posteriore e dalle ante - non proprio rettilinee e sviluppate longitudinalmente rispetto al corpo - poste sul frontale.

durdica bacciu
Megaron - Monte Nuxi
 

Ancora in questa tipologia, forse successivo, viene inquadrato il megaron in antis tricellulare absidato di Sa Tumba di Serrenti[5], contraddistinto dalla presenza di un focolare nella parte centrale[6]. Il tipo II dovrebbe accorpare megaron rettangolari con antis semplice mentre il tipo III indicherebbe edifici rettangolari con antis posteriore e anteriore[7]. Per il tipo II sinora possiamo portare ad esempio il megaron, aperto a SE, del complesso Oes di Giave. Nel tipo III possiamo invece inserire il grandioso megaron, aperto a SSE, di Dom’e Orgia di Esterzili; quello aperto a S, di Gremanu – Fonni; i due grandiosi megaron a (aperto a ESE) e b (aperto a SSE) di S’Arku ‘e is Forros di Villagrande Strisaili; quelli a (aperto a E) e b (aperto a SSE) di Serra Orrios di Dorgali;

durdica bacciu
Dorgali - Serra Orrios
 

il megaron, aperto a NNE, di Sos Nurattolos di Alà dei Sardi e ancora i megaron a (aperto a S) e b (aperto a S) di Su Romanzesu di Bitti. Parecchie di queste costruzioni paiono legate, per via degli arredi particolari che hanno restituito. Il primo step di questo studio riguarda la segnalazione di una “nuova” classe di monumenti, da inserire nel precedente inquadramento, da nominarsi come tipo Ia oppure tipo 0. Le caratteristiche strutturali di questa tipologia edilizia ci mostrano un megaron con corpo principale circolare e delle ante frontali e parallele da collocarsi, rispettando una certa cronologia degli edifici, come antenato (dovendolo inquadrare come tipo 0) oppure evoluzione (inquadrandolo come tipo Ia), dei megara con corpo absidato. Questa ambiguità è dettata purtroppo dalle diverse scuole di pensiero e di studio.

durdica bacciu
Irgoli - Genna'e Pruna
 

Queste correnti elaborano per la Sardegna un’evoluzione architettonica che vede nel Bronzo Antico edifici[8] di forme sub rettangolari,  che si evolvono in forme perfettamente circolari nel Bronzo Recente e Finale[9]. Mentre la scuola di pensiero relativa all’Egeo e a Creta propende per un’origine delle strutture che, dalla forma circolare del Neolitico[10], seguono un’evoluzione in forme sub rettangolari per poi passare, durante l’epoca del Miceneo Recente[11], a planimetrie pienamente rettangolari. L’edificio che meglio suggerisce degli spunti riflessivi è quello di Su Monti di Sorradile, dalla forma rotonda e imponente che ricorda un nuraghe, aperta in un vestibolo con due pareti parallele dette ante, fornite di sedile. Al suo interno l’ambiente circolare viene marginato da tre grandi nicchie proprio come le camere dei nuraghi. Al momento dello scavo l’edificio ha rilevato la presenza di un ricco ripostiglio di bronzi interrato nella nicchia di fondo ma soprattutto è stato rinvenuto al suo interno un elemento di arredo particolare. Al centro della sala è stata ritrovata infatti una vasca di pianta trapezoidale con due pilastri posti in due vertici. L’oggetto risulta coronato da conci modanati, sui quali nell’antichità venivano infissi dei bronzetti, e da due capitelli - di cui al momento ne rimane solo uno - con decorazione a raggiera, posti sopra i due pilastrini. La vasca risulta - a detta degli archeologi Santoni e Bacco - composta da blocchi martellinati tenuti da grappe di piombo, segno questo che serviva a contenere dei liquidi, mentre su uno dei capitelli e su parte del fondo rimane uno strato di cenere, come se al suo interno fosse stato contenuto un braciere. Ci spostiamo ancora a Santa Vittoria di Serri, dove puntiamo alla capanna 32, definita in passato come “Capanna del Capo”. 

marcello cabriolu
Santa Vittoria di Serri - Capanna del Capo
 

La planimetria è la stessa: rotonda con apertura in antis,  in cui le due parti risultano edificate contemporaneamente delineanti un vestibolo e munite di sedile. L’interno dell’ambiente è caratterizzato da quattro nicchie e nel pavimento lastricato si è rinvenuto un “crogiuolo” in pietra. Non vi è stata rinvenuta invece la vasca di cui abbiamo parlato per il precedente contesto, tuttavia non pochi indizi ci portano a considerare che vi fosse: il primo di questi riguarda la presenza di colate di piombo nel pavimento: è testimoniato infatti che questo metallo venisse utilizzato per saldare conci e murature per liquidi (Gremanu – Fonni); il secondo indizio riguarda il rinvenimento, in un’area un po’ più distante - per esattezza davanti al pozzo -, di conci con la presenza all’interno di colate di piombo e la caratteristica modanatura in pietra con scolpito il motivo a raggiera. Nella località de Sa Carcaredda, nel comune di Villagrande Strisaili, a pochi chilometri di distanza dall’area di S’Arku ‘e is Forros, si trova la stessa tipologia edilizia, dalla consueta pianta rotonda, a cui si accede tramite un vestibolo, aperto a ESE, delimitato da due ante e coronato da un sedile. Di dimensioni leggermente inferiori rispetto ai contesti precedentemente descritti, anche questa costruzione ospitava un “focolare rituale” esposto ora al Museo di Nuoro
Vasca focolare Sa Carcaredda - fonte Museo Archeologico di Nuoro
, formato da conci rifiniti con un capitello in calcare[12], decorato a raggiera e a motivi geometrici, il tutto circondato da un basso muro funzionale che costituiva la vasca per i liquidi. Nell’area di S’Arku e is Forros di Villagrande Strisaili, venuta alla ribalta da pochissimo, si rinvenne una sorta di altare smantellato, oggetto della notorietà, dalla facciata di conci di colori diversi disposti a filari alternati, con una modanatura di coronamento e una sorta di grosso capitello decorato a raggiera. In origine l’altare non stava nella posizione attuale, in fondo al megaron II, ma un po’ più a Ovest, dentro un edificio a pianta circolare, aperto a NE in un ingresso in antis e munito di sedile, situato nei pressi del megaron I, dove tutt’oggi residuano ancora nel pavimento in battuto d’argilla ben due focolari[13]. Si è scoperto che sulla sommità dell’altare stava un braciere circolare centrale e che alle spalle doveva essere presente una sorta di vasca per contenere dei liquidi, visto che i conci risultano saldati tra loro da colate di piombo. Tornando indietro di qualche chilometro e trasferendoci nell’area di Gremanu, in comune di Fonni, nella parte chiamata “l’acquedotto”, osserviamo la stessa tipologia di monumento composto da due diverse porzioni, una rettangolare e una circolare. Il settore rettangolare consta in una vasca che presenta la parte inferiore ricavata in un unico blocco per evitare fughe di acqua, mentre la parte superiore rifinita in conci saldati da barre e da colate di piombo. Il settore circolare, assemblato alla vasca rettangolare, è ubicato sopra una fonte sotterranea e, al momento dello scavo, mostrava conci con cornici in rilievo nonché decorazioni triangolari con profonde modanature simili alle decorazioni a raggiera dei bracieri di cui sopra. Da questa zona situata a mezza costa l’altare venne poi spostato più a valle e, come a S’arku ‘e is Forros, inserito nel megaron b.
Pianta di S'Arku'e is Forros - Villagrande Strisaili-www.irei.it
Era composto in origine in conci di trachite rosa e assemblato da verghe di legno tenute da un impasto di argilla, in modo da reggere il peso del braciere. Ancora simile doveva essere l’edificio all’interno del recinto megalitico di Monte Nuxi di Esterzili, che presenta sempre l’inconfondibile pianta rotonda aperta in un antis con sedile, anche se gli scavi, tuttora in corso, non hanno restituito ancora nessuna traccia dell’altare-braciere. Nella località denominata Sa Cuguttada di Florinas, nel Villaggio Santuario di Punta Unossi, notiamo che compare un edificio rifasciato in conci altamente rifiniti chiamato la “Rotonda”. La guida[14] non descrive ampiamente i materiali rinvenuti ma riporta tra le pochissime informazioni il ritrovamento nelle immediate prossimità, tra le capanne 2 e 3, di un manufatto circolare del diametro di mt 1,5 e altezza mt. 0,55, realizzato con blocchi tronco piramidali a sezione circolare il cui uso è supposto come focolare. Ancora si segnala il villaggio di Giorrè, nel comune di Florinas, dove, in un recinto ellittico già violato da scavi clandestini, si rinvennero una “Rotonda” e un edificio fortemente rettangolare[15], probabilmente un megaron.  Tra i pochi reperti rinvenuti si ritrovarono un betilo – torre e tre elementi tronco piramidali in calcare con decorazione di tipo geometrico. Così in queste località come in molte altre ancora, chi scrive sta identificando in queste ore quel particolare edificio dove le popolazioni nuragiche usavano tenere un altare con acceso un fuoco sacro accanto ad una vasca contenente liquidi, verosimilmente acqua. I confronti con le varie indagini e i relativi scavi ci suggeriscono che questa tipologia d’arredo non fosse prerogativa unica delle costruzioni a corpo circolare e aperte frontalmente in ante parallele, ma fosse indicativa di una particolare tipologia detta megaron. Attraverso gli arredi, non unicamente la struttura, si individua la seconda prova che ha permesso di proporre l’inquadramento di taluni edifici nel tipo Ia o nel tipo 0. Nell’ambito dei templi a megaron possiamo notare che anche la struttura in antis in regione Gremanu di Fonni presenta al suo interno, nella parte postica, una vasca rettangolare che corre lungo la parete SSW, mentre nel vertice NNE sono ancora presenti numerose tracce di focolare. I componenti della vasca vennero suggellati tramite delle assi di legno passanti per alcuni fori e sigillate con impasto d’argilla fluida, onde evitare che l’impiego di colate di piombo costituisse in qualche modo uno svantaggio per via del calore generato dal focolare. All’interno dell’ambiente  vennero rinvenuti diversi frammenti riassumibili come basamenti di trachite nonché pezzi, sempre di trachite, in sezioni di cerchio e con decorazioni geometriche riferibili a basamenti tronco conici[16]. All’esterno del megaron si rinvenne un disco di granito dello spessore di circa 12 cm, del diametro di un metro, con beccuccio di adduzione sul bordo esterno e collegato tramite una canaletta alla conca centrale. La parte superiore del pezzo presenta segni di intense combustioni, il che fa ricondurre il tutto ad un uso metallurgico oppure un uso rituale del fuoco[17]. Nel complesso di Serra Orrios di Dorgali, all’interno del megaron A, viene segnalata la presenza di un focolare per il quale nessuna vasca o braciere viene segnalato ma tra i reperti un oggetto curioso viene riportato: un elemento a disco con apertura circolare delimitata da un breve colletto e ansa, supposto come coperchio o elemento da macina[18]. Anche in questo caso l’accostamento agli elementi tronco conici di Su Monte e di Santa Vittoria appare scontato. Ci spostiamo a Su Romanzesu di Bitti, dove l’indagine ci porta a considerare la segnalazione che vede, nella parte più profonda del megaron A,  una buca circolare scavata nel pavimento e ritenuta essere la base dell’alloggiamento di un elemento costruttivo connesso ai riti purificatori[19]. La segnalazione è scarna di dettagli e non si cita nessun tipo di focolare tranne che nell’elencazione degli elementi rinvenuti in cui si può notare la presenza di un modello fittile di torre nuragica[20], il che fa supporre che ci si trovi di fronte al solito braciere con decorazioni geometriche. Si sottolinea che gli edifici inquadrati nella classe proposta mostrano inoltre un’altra caratteristica riconducibile ai megara già conosciuti, ovvero l’inclusione all’interno di un temenos – recinto, che potrebbe suggerire una loro funzione compresa nella sfera sacrale. Alla ricerca di confronti nell’ambito del Mediterraneo diverse fonti ci conducono verso la Siria settentrionale dove la forma in antis caratteristica del tipo II si mostra frequente sin da tempi remoti. Ciò che lascia perplessi è che la fruizione di queste strutture avviene per la maggior parte dei casi attraverso l’accesso a gomito dai lati lunghi della fabbrica e in pochissimi casi da un’apertura posta sull’asse longitudinale. Le indagini nell’ambito del Mediterraneo Orientale ci portano a considerare gli impianti templari[21] egei dell’VIII sec. a.C. come i più arcaici[22] sinora testimoniati. In questi contesti sin dai primi del ‘900 la ricerca ha individuato un
escara (focolare) situato in mezzo al tempio che mostra profonde similitudini con i sacelli minoici della Creta palaziale. Nel descrivere l’origine di questo arredo posto all’interno dei megara cretesi, il Marinatos[23] (non senza suscitare in noi profonde perplessità) ne elabora un’importazione dal continente greco. Le perplessità scaturiscono dal fatto che tra i vari esempi è portata la cittadina di Thasos, che ospita il tempio dedicato a Herakles[24], la quale mostra numerose e profonde affinità con molteplici contesti sardi. L’architettura micenea conosce in questo periodo - l’VIII sec. a.C. - diversi edifici interni agli abitati, caratterizzati da un vestibolo antistante, banchine, focolari e altari[25]. Tali edifici, secondo alcuni studi, sono derivati delle long houses elladiche e delle abitazioni absidate con focolare centrale, ma obbiettivamente quasi nulla è la presenza di arredi o particolari che siano riferibili alla sfera del culto[26]. Considerato ciò pare surreale comparare gli edifici sardi agli egei e ancora meno a quelli medio – orientali, almeno sino a quando non si testimonierà il primo impiego di un focolare a scopo rituale all’interno di un edificio di chiara destinazione cultuale. Le tipologie usate per inquadrare i monumenti e le relative contestualizzazioni spingono a considerare i megara sardi ben più antichi (XIII sec. a.C.)[27] dei megara orientali o perlomeno di quelli di chiara pertinenza alla sfera del sacro. Probabilmente la collocazione di sedili nel vestibolo (forse considerato ciò attualmente) porta a valutare come inconsistente l’ipotesi della consumazione del pasto rituale, specialmente se si considera l’arredo vasca – focolare sacro della parte ipetrale e la costante presenza dell’attiguo ripostiglio dei metalli. La presenza di un focolare,
marcello cabriolu
Vasca focolare Su Monti - Sorradile
verosimilmente perenne, porta a considerare inoltre che la copertura, sia che fosse piatta sia a doppio spiovente, dovesse avere un’apertura per la fuoriuscita dei fumi. Si è detto in precedenza che gli edifici a megara egei manifestano piena valenza religiosa e cultuale attorno al VIII sec. a.C., per cui si può presumere, con un buon margine di sicurezza, che ciò gli sia stato trasmesso grazie alle continue frequentazioni sarde presso i contesti del Levante[28]. La mancanza di informazioni in territorio sardo ci spinge ad indagare antropologicamente le motivazioni e le credenze legate all’uso del focolare sacro nei contesti egei. Gli edifici egei che accolgono un focolare sacro, soprannominati pritaneo (
prutanhion), sono in genere delle strutture destinate al “sommo magistrato” o all’abitante benemerito eletto dalle famiglie dell’abitato. L’edificio rappresenta culturalmente il focolare nonchè il cuore dell’insediamento, dove si trova il fuoco sacro che non si spegne mai. Nell’ambito Egeo il fuoco sacro rappresenta il simbolo della continuità ed è consacrato a Estia - Vesta, la Dea del focolare, mitologica sorella di Demetra. Nella mitologia greca Estia è la dea della casa e non viene mai rappresentata sotto forma umana, ma attraverso il cerchio del focolare la sua presenza viene avvertita nella fiamma viva del fuoco domestico o del braciere circolare di un tempio. Le figure dedite al culto della divinità sono generalmente di sesso femminile, vengono chiamate vestali e in quanto sacerdotesse assolvono il compito di custodire il fuoco sacro della Dea. La prima rappresentazione riconosciuta della divinità è stata una colonna denominata Erma - Herme[29]-[30]. Ritorniamo in Sardegna per descrivere i megara come dei centri religiosi caratterizzati dalla gestione di un forte potere politico ed economico[31], il che trova un lampante confronto nella destinazione d’uso proposta per il pritaneo greco. Teniamo ben presente che nei megara sardi è stato rinvenuto un arredo che nelle righe qui sopra abbiamo osservato essere caratterizzato da una colonna – capitello con funzioni di braciere, decorata con motivi geometrici: ciò rappresenta ancora un ulteriore confronto stringente con la rappresentazione arcaica egea della Dea del focolare nell’Egeo. Evidenziamo che nella tradizione popolare sarda alcuni monumenti, quale il megaron di Dom’e Orgia di Esterzili, sono custoditi da una mitologica Sacerdotessa, Orgia / Urgia appunto, il che ci porta a trovare un’ulteriore similitudine con la figura femminile preposta per i greci alla custodia del sacro fuoco. Ancora un’altra prova incalzante è fornita da una statuetta bronzea rinvenuta nel contesto di Esterzili la quale raffigura un personaggio femminile, verosimilmente una sacerdotessa ammantata, che tiene in mano una fiamma, altro chiaro riferimento alla figura femminile e al fuoco sacro. Considerando i contesti italici dell’Età del Ferro ancora troviamo che i templi della penisola, dedicati a Diana nella sua accezione di Vesta, si presentano di forma circolare e caratterizzati da un focolare sacro custodito da vergini vestali[32]. E’ interessante espandere uno spunto riflessivo relativo al fatto che il tempio del fuoco sacro fosse racchiuso in un temenos dove si trovavano alberi considerati sacri - quali ad esempio le querce - che venivano impiegati per alimentare il fuoco stesso. Nell’ultimo step questa analisi si rivolge ad un edificio particolare individuato nell’agro di Senorbì, nella frazione detta Sisini, denominato sommariamente “Su Nuraxi”. L’edificazione del monumento è ricondotta ad un periodo compreso tra il XV e il XIV sec. a.C. in un’area che mostrava già un insediamento riconducibile alla facies culturale di Monte Claro[33]. La citazione del monumento nel presente lavoro è mirata, secondo noi, alla visione del complesso come un megaron in antis, come uno dei pochi ancora eretti se non l’unico testimoniato sinora, anziché un nuraghe tancato. La proposta di una rilettura del monumento ha per noi lo scopo di considerare il complesso come un templio a megaron inquadrabile nella nuova tipologia proposta in questo studio la cui struttura è formata da un corpo circolare da cui si dipartono due ante parallele, delimitanti un sedile – vestibolo. La struttura indagata si presenta realizzata in opera isodoma con conci di marna prelevati nel contesto stesso. Il complesso, descritto come anomalo, viene definito sommariamente come tancato, nonostante frontalmente alla torre non si apra nessun cortile. Dal corpo circolare partono invece due ante leggermente strombate verso l’esterno conferendo all’insieme una lunghezza di circa 19,30 mt e un orientamento di 159° circa[34]. Che si tratti di due ante anziché di un cortile lo si evince chiaramente dalle planimetrie proposte da precedenti studi[35], dato che non si crea uno spazio chiuso ma un vestibolo, oltre che dall’osservazione dell’edificio stesso, eretto tutt’uno elevando le ante alla stessa altezza dell’apice della torre. Si sottolinea inoltre che il corpo circolare mostra una facciata rettilinea da cui si dipartono le ante, il che evidenzia il fatto che in origine non fosse un nuraghe monotorre; inoltre i segmenti rettilinei delle ante si osservano penetrare nella massa muraria retrostante quasi sino alla tholos evidenziando un unico corpo con il corridoio di accesso. Fondamentale per le ricerche sarà lo scavo integrale del vano centrale che avrà l’onere di rivelare o meno la presenza del braciere – vasca rinvenuto finora o eventualmente dei singoli pezzi componenti e delle eventuali tracce di focolare con annesso ripostiglio di bronzi. Comunque anche se ciò non fosse uno scavo integrale avrà lo scopo di fugare definitivamente le perplessità relative ad un monumento forse unico nel suo genere.


[1] Sara CAPPELLINI, I tempietti a megaron della Sardegna Nuragica nell’ambito del Mediterraneo (tesi di laurea), AA. 2010-2011, Università degli Studi di Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in Archeologia e Scienze dell’Antichità, relatore A. MORAVETTI, controrelatore R.ZUCCA, pag. 194
[2] Sulla quale non condividiamo i risultati, inficiati  a nostro parere dal numero esiguo (9 nove) dei campioni portati a confronto. Se nell’indagine fossero stati inseriti anche gli edifici compresi nel presente lavoro, si sarebbero ribaltate completamente le elaborazioni relative alla distribuzione altimetrica, all’inquadramento idrografico e a quello abitativo mostrando appunto la non connessione cultuale né con l’altimetria né tantomeno sia dipendente dal litotipo(per esempio l’edificazione delle nostre chiese non è legata di certo all’altezza sul livello del mare né tantomeno è subordinata all’utilizzo edilizio di granito o ignimbriti).
[3] Nicola SANNA, I templi in antis protosardi e mediterranei: significato cultuale e ruolo socio-economico, in Uomo e Territorio – dinamiche di frequentazione e sfruttamento delle risorse naturali nell’antichità, ATTI del Convegno Nazionale dei Giovani Archeologi Sassari 27-30 settembre 2006, a cura di Maria Grazia Melis, Nuova Stampa Color, Muros 2009, pagg. 193-200
[4] Giovanni UGAS, L’alba dei nuraghi, Fabula edizioni, Cagliari 2005, pag. 83
[5] Nicola SANNA, I templi in antis protosardi e mediterranei: significato cultuale e ruolo socio-economico, in Uomo e Territorio – dinamiche di frequentazione e sfruttamento delle risorse naturali nell’antichità, ATTI del Convegno Nazionale dei Giovani Archeologi Sassari 27-30 settembre 2006, a cura di Maria Grazia Melis, Nuova Stampa Color, Muros 2009, pagg. 193-200
[6] http://www.alberghierogramsci.it/archivio/didattica/produzioni/Marras_efisio/La%20Storia%20Antica.htm
[7] Nicola SANNA, I templi in antis protosardi e mediterranei: significato cultuale e ruolo socio-economico, in Uomo e Territorio – dinamiche di frequentazione e sfruttamento delle risorse naturali nell’antichità, ATTI del Convegno Nazionale dei Giovani Archeologi Sassari 27-30 settembre 2006, a cura di Maria Grazia Melis, Nuova Stampa Color, Muros 2009, pagg. 194
[8] Giovanni UGAS, L’alba dei nuraghi, Fabula edizioni, Cagliari 2005, pag. 84
[9] Giovanni UGAS, L’alba dei nuraghi, Fabula edizioni, Cagliari 2005, pag.85
[10] Nonostante alcuni studi quali N. SANNA 2006 sostengano (discutibilmente) che “…isole egee e Creta restano quasi estranee al fenomeno…”
[11] Gustave GLOTZ, La civiltà Egea, Giulio Einaudi Editore, Torino 1980, pagg. 92-95
[12] Sara CAPPELLINI, I tempietti a megaron della Sardegna Nuragica nell’ambito del Mediterraneo (tesi di laurea), AA. 2010-2011, Università degli Studi di Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in Archeologia e Scienze dell’Antichità, relatore A. MORAVETTI, controrelatore R.ZUCCA, pag. 109
[13] Sara CAPPELLINI, I tempietti a megaron della Sardegna Nuragica nell’ambito del Mediterraneo (tesi di laurea), AA. 2010-2011, Università degli Studi di Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in Archeologia e Scienze dell’Antichità, relatore A. MORAVETTI, controrelatore R.ZUCCA, pag. 120
[14] Pina Maria DERUDAS, Il villaggio santuario di Punta Unossi, Carlo Delfino Editore, Sassari 2006, pagg. 30-44
[15] Pina Maria DERUDAS, Il villaggio santuario di Punta Unossi, Carlo Delfino Editore, Sassari 2006, pagg. 12-19
[16] Sara CAPPELLINI, I tempietti a megaron della Sardegna Nuragica nell’ambito del Mediterraneo (tesi di laurea), AA. 2010-2011, Università degli Studi di Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in Archeologia e Scienze dell’Antichità, relatore A. MORAVETTI, controrelatore R.ZUCCA, pag. 84
[17] Sara CAPPELLINI, I tempietti a megaron della Sardegna Nuragica nell’ambito del Mediterraneo (tesi di laurea), AA. 2010-2011, Università degli Studi di Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in Archeologia e Scienze dell’Antichità, relatore A. MORAVETTI, controrelatore R.ZUCCA, pag. 88
[18] Sara CAPPELLINI, I tempietti a megaron della Sardegna Nuragica nell’ambito del Mediterraneo (tesi di laurea), AA. 2010-2011, Università degli Studi di Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in Archeologia e Scienze dell’Antichità, relatore A. MORAVETTI, controrelatore R.ZUCCA, pag. 154
[19] Sara CAPPELLINI, I tempietti a megaron della Sardegna Nuragica nell’ambito del Mediterraneo (tesi di laurea), AA. 2010-2011, Università degli Studi di Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in Archeologia e Scienze dell’Antichità, relatore A. MORAVETTI, controrelatore R.ZUCCA, pag. 179
[20] Sara CAPPELLINI, I tempietti a megaron della Sardegna Nuragica nell’ambito del Mediterraneo (tesi di laurea), AA. 2010-2011, Università degli Studi di Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in Archeologia e Scienze dell’Antichità, relatore A. MORAVETTI, controrelatore R.ZUCCA, pag. 184
[21] Si è specificato edifici templari allo scopo di differenziare tali monumenti in esame dai generici, molto più antichi e riconducibili al Neolitico, megara egei (continentali e cretesi) i quali erano edifici con caratteristiche domestiche vere e proprie.
[22] Enzo LIPPOLIS, Monica LIVADIOTTI, Giorgio ROCCO, Architettura greca: storia e monumenti del mondo della polis dalle origini al V secolo, Bruno Mondadori Editore, 2007, pag. 44
[23] Margherita GUARDUCCI, Scritti scelti sulla religione greca e romana e sul Cristianesimo, E.J. BRILL, Leiden, Netherlands 1983, pagg. 3-438
[24] La presenza di una statuetta bronzea con mascherina d’oro, raffigurante Herakle, proveniente dal Villaggio di Giorré – Florinas (Derudas 2006)  sembra segnalare ancora similitudini cultuali e rapporti molto profondi. Si ricorda che il villaggio è segnalato in questo lavoro come sede di megaron.
[25] Enzo LIPPOLIS, Monica LIVADIOTTI, Giorgio ROCCO, Architettura greca: storia e monumenti del mondo della polis dalle origini al V secolo, Bruno Mondadori Editore, 2007, pag. 18
[26] Sara CAPPELLINI, I tempietti a megaron della Sardegna Nuragica nell’ambito del Mediterraneo (tesi di laurea), AA. 2010-2011, Università degli Studi di Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in Archeologia e Scienze dell’Antichità, relatore A. MORAVETTI, controrelatore R.ZUCCA, pag. 229
[27] Maria Ausilia FADDA, Esterzili nel cuore della Sardegna Nuragica, in Archeologia Viva, Giunti Editore, Luglio – Agosto 2001 n.88
[28] Sia nel caso questa frequentazione sia stata sporadica, nella distribuzione della cultura materiale, sia nel caso questa sia avvenuta in forme più massicce data l’appartenenza alla Lega dei Popoli del Mare.
[29] Richard Wyatt HUTCHINSON, L’Antica Civiltà Cretese, Giulio Einaudi Edizioni, Torino 1976, pag. 190
[30] Doverosa la segnalazione che “su nenniri” fosse chiamato persino “erme”
[31] Maria Ausilia FADDA, Esterzili nel cuore della Sardegna Nuragica, in Archeologia Viva, Giunti Editore, Luglio – Agosto 2001 n.88
[32] James George FRAZER, Il ramo d’oro, Newton Compton edizioni, Roma Luglio 2011, pag. 23
[33] http://www.monumentiaperti.com/scheda.php?idm=720&idc=122
[34]http://www.sardegnageoportale.it/webgis/fotoaeree/index.html?namelayer=ortofoto2006_EPSG3003&minx=1513861.1278564&miny=4378988.9323219&maxx=1514494.6278564&maxy=4379237.4323219&backgroundColor=%231c1f4c
[35] Giovanni LILLIU, La Sardegna Nuragica, in Sardegna Archeologica – Studi e Monumenti 2, a cura di A. Moravetti, Carlo Delfino Editore, Sassari 1982, pag. 65, fig 58/2

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