di Marcello
Cabriolu
Ph: Durdica Bacciu
Ph: Durdica Bacciu
La ricerca archeologica in Sardegna è ancora lontana dal tracciare dei contorni netti e precisi ma qualche spiraglio di ritualità e di culto emerge tra i pochi monumenti indagati. Si scopre così una nuova tipologia di monumento ben precisa dove si celebrano due elementi particolari: fuoco e acqua.
Monte Santa Vittoria - Sito Monte Nuxi |
Gli
elementi di cultura materiale rinvenuti nei contesti archeologici sardi hanno
permesso di osservare che sin dal lontano Neolitico le genti sarde si sono
profondamente votate alla Dea Madre. Dalle forme tornite delle statuette, in
arenaria e in steatite, alle forme tombali quali le domus de janas, che
riproducono l’utero materno con il liquido amniotico, la religiosità dei sardi
ha sempre manifestato una vocazione per la divinità femminile tipica dei popoli
mediterranei. L’ipogeismo dell’Età del Ferro e le forme statuarie in bronzo
confermano che questo culto si è protratto attraverso i millenni e ancora si
riproporrà incolume sino al Cristianesimo. Le indagini di scavo, relative alla
preistoria e alla protostoria sarda, purtroppo vanno molto a rilento sia per la
penuria di fondi che per la mancanza di reale interesse da parte degli studiosi
preposti. Non è errato sancire che dell’intero patrimonio monumentale in Sardegna
ora si conosca solo il 5% circa e che se non fossero state effettuate le
indagini dai primissimi del Novecento sino agli anni ’50 non si conoscerebbe
quasi nulla. Sulla sacralità dei
monumenti sono state spese innumerevoli parole attraverso gli studi soprattutto
del compianto Prof. Giovanni Lilliu, naturalmente non tutti coerenti e concisi in
considerazione di una ricerca ai primordi. Numerose ipotesi, non sempre felici
nella composizione, sono state avanzate da ricercatori “non allineati”, i quali
tuttavia sono sempre sembrati più interessati a primeggiare in un’improbabile discussione
che vede tutti i nuraghi necessariamente come castelli o come templi. Dopo aver
scoperto delle concordanze negli “arredi” di alcune strutture abbiamo ritenuto
opportuno tralasciare questa sterile quanto farraginosa diatriba per volgere lo sguardo verso quelle particolari costruzioni,
non ancora ben inquadrate, con un corpo circolare e una parte frontale
caratterizzata da ante parallele, fiduciosi nella possibilità di comprendere le
caratteristiche della società che le ha generate.
L’analisi chiaramente è partita da questa tipologia di monumenti, forse perché non abbastanza definita per i suoi aspetti più salienti. Da qui, per similitudine di arredi e non di rinvenimenti materiali, l’analisi ha raggiunto ed incluso i cosiddetti edifici a megaron, cercando di spiegare le motivazioni, inerenti l’ambito ideologico, di tale inquadramento e tralasciando apposta la presenza di bronzi, lingotti e metallurgia forse perché fuorvianti nella considerazione del culto. A differenza di altri studi[1] abbiamo volutamente tralasciato le considerazioni sulla distribuzione altimetrica[2] e sull’inquadramento geo-morfologico e litologico, sull’inquadramento idrografico e sulla distribuzione dei monumenti relativamente alle aree minerarie o agli insediamenti abitativi, per valutare un altro aspetto non tanto esterno quanto introspettivo. Abbiamo sorvolato persino sulle attente valutazioni relative a abitazioni absidate con focolare centrale considerandole riduttive e svianti in quanto riconducibili ad abitazioni di uso comune non di certo a taluni edifici a carattere di sacralità. La domanda fondamentale che ci si è posti è: cosa si celebrava in tali edifici?
A questa si è cercato di dare una spiegazione plausibile cercando parallelismi nella penisola pre-romana e nell’Egeo, in virtù di analisi antropologiche esposte di seguito. Intanto la ricerca ha sviluppato un criterio edilizio nella comparsa e nelle modifiche dei monumenti a megaron stabilendo almeno tre tipologie – I, II, III - relative alle caratteristiche strutturali. Secondo gli studi consultati[3] al tipo I sarebbe ascrivibile l’edificio absidato di Malchittu, aperto a SE, inquadrabile nel Bronzo Medio[4], composto da un corpo principale con abside posteriore e dalle ante - non proprio rettilinee e sviluppate longitudinalmente rispetto al corpo - poste sul frontale.
Ancora in questa tipologia, forse successivo, viene inquadrato il megaron in antis tricellulare absidato di Sa Tumba di Serrenti[5], contraddistinto dalla presenza di un focolare nella parte centrale[6]. Il tipo II dovrebbe accorpare megaron rettangolari con antis semplice mentre il tipo III indicherebbe edifici rettangolari con antis posteriore e anteriore[7]. Per il tipo II sinora possiamo portare ad esempio il megaron, aperto a SE, del complesso Oes di Giave. Nel tipo III possiamo invece inserire il grandioso megaron, aperto a SSE, di Dom’e Orgia di Esterzili; quello aperto a S, di Gremanu – Fonni; i due grandiosi megaron a (aperto a ESE) e b (aperto a SSE) di S’Arku ‘e is Forros di Villagrande Strisaili; quelli a (aperto a E) e b (aperto a SSE) di Serra Orrios di Dorgali;
il megaron, aperto a NNE, di Sos Nurattolos di Alà dei Sardi e ancora i megaron a (aperto a S) e b (aperto a S) di Su Romanzesu di Bitti. Parecchie di queste costruzioni paiono legate, per via degli arredi particolari che hanno restituito. Il primo step di questo studio riguarda la segnalazione di una “nuova” classe di monumenti, da inserire nel precedente inquadramento, da nominarsi come tipo Ia oppure tipo 0. Le caratteristiche strutturali di questa tipologia edilizia ci mostrano un megaron con corpo principale circolare e delle ante frontali e parallele da collocarsi, rispettando una certa cronologia degli edifici, come antenato (dovendolo inquadrare come tipo 0) oppure evoluzione (inquadrandolo come tipo Ia), dei megara con corpo absidato. Questa ambiguità è dettata purtroppo dalle diverse scuole di pensiero e di studio.
Queste correnti elaborano per la Sardegna un’evoluzione architettonica che vede nel Bronzo Antico edifici[8] di forme sub rettangolari, che si evolvono in forme perfettamente circolari nel Bronzo Recente e Finale[9]. Mentre la scuola di pensiero relativa all’Egeo e a Creta propende per un’origine delle strutture che, dalla forma circolare del Neolitico[10], seguono un’evoluzione in forme sub rettangolari per poi passare, durante l’epoca del Miceneo Recente[11], a planimetrie pienamente rettangolari. L’edificio che meglio suggerisce degli spunti riflessivi è quello di Su Monti di Sorradile, dalla forma rotonda e imponente che ricorda un nuraghe, aperta in un vestibolo con due pareti parallele dette ante, fornite di sedile. Al suo interno l’ambiente circolare viene marginato da tre grandi nicchie proprio come le camere dei nuraghi. Al momento dello scavo l’edificio ha rilevato la presenza di un ricco ripostiglio di bronzi interrato nella nicchia di fondo ma soprattutto è stato rinvenuto al suo interno un elemento di arredo particolare. Al centro della sala è stata ritrovata infatti una vasca di pianta trapezoidale con due pilastri posti in due vertici. L’oggetto risulta coronato da conci modanati, sui quali nell’antichità venivano infissi dei bronzetti, e da due capitelli - di cui al momento ne rimane solo uno - con decorazione a raggiera, posti sopra i due pilastrini. La vasca risulta - a detta degli archeologi Santoni e Bacco - composta da blocchi martellinati tenuti da grappe di piombo, segno questo che serviva a contenere dei liquidi, mentre su uno dei capitelli e su parte del fondo rimane uno strato di cenere, come se al suo interno fosse stato contenuto un braciere. Ci spostiamo ancora a Santa Vittoria di Serri, dove puntiamo alla capanna 32, definita in passato come “Capanna del Capo”.
La planimetria è la stessa: rotonda con apertura in antis, in cui le due parti risultano edificate contemporaneamente delineanti un vestibolo e munite di sedile. L’interno dell’ambiente è caratterizzato da quattro nicchie e nel pavimento lastricato si è rinvenuto un “crogiuolo” in pietra. Non vi è stata rinvenuta invece la vasca di cui abbiamo parlato per il precedente contesto, tuttavia non pochi indizi ci portano a considerare che vi fosse: il primo di questi riguarda la presenza di colate di piombo nel pavimento: è testimoniato infatti che questo metallo venisse utilizzato per saldare conci e murature per liquidi (Gremanu – Fonni); il secondo indizio riguarda il rinvenimento, in un’area un po’ più distante - per esattezza davanti al pozzo -, di conci con la presenza all’interno di colate di piombo e la caratteristica modanatura in pietra con scolpito il motivo a raggiera. Nella località de Sa Carcaredda, nel comune di Villagrande Strisaili, a pochi chilometri di distanza dall’area di S’Arku ‘e is Forros, si trova la stessa tipologia edilizia, dalla consueta pianta rotonda, a cui si accede tramite un vestibolo, aperto a ESE, delimitato da due ante e coronato da un sedile. Di dimensioni leggermente inferiori rispetto ai contesti precedentemente descritti, anche questa costruzione ospitava un “focolare rituale” esposto ora al Museo di Nuoro
, formato da conci rifiniti con un
capitello in calcare[12],
decorato a raggiera e a motivi geometrici, il tutto circondato da un basso muro
funzionale che costituiva la vasca per i liquidi. Nell’area di S’Arku e is
Forros di Villagrande Strisaili, venuta alla ribalta da pochissimo, si rinvenne
una sorta di altare smantellato, oggetto della notorietà, dalla facciata di
conci di colori diversi disposti a filari alternati, con una modanatura di
coronamento e una sorta di grosso capitello decorato a raggiera. In origine
l’altare non stava nella posizione attuale, in fondo al megaron II, ma un po’
più a Ovest, dentro un edificio a pianta circolare, aperto a NE in un ingresso in
antis e munito di sedile, situato nei
pressi del megaron I, dove tutt’oggi residuano ancora nel pavimento in battuto
d’argilla ben due focolari[13].
Si è scoperto che sulla sommità dell’altare stava un braciere circolare
centrale e che alle spalle doveva essere presente una sorta di vasca per
contenere dei liquidi, visto che i conci risultano saldati tra loro da colate
di piombo. Tornando indietro di qualche chilometro e trasferendoci nell’area di
Gremanu, in comune di Fonni, nella parte chiamata “l’acquedotto”, osserviamo la
stessa tipologia di monumento composto da due diverse porzioni, una
rettangolare e una circolare. Il settore rettangolare consta in una vasca che
presenta la parte inferiore ricavata in un unico blocco per evitare fughe di
acqua, mentre la parte superiore rifinita in conci saldati da barre e da colate
di piombo. Il settore circolare, assemblato alla vasca rettangolare, è ubicato
sopra una fonte sotterranea e, al momento dello scavo, mostrava conci con
cornici in rilievo nonché decorazioni triangolari con profonde modanature
simili alle decorazioni a raggiera dei bracieri di cui sopra. Da questa zona
situata a mezza costa l’altare venne poi spostato più a valle e, come a S’arku
‘e is Forros, inserito nel megaron b.
Era composto in origine in conci di trachite rosa e assemblato da verghe di
legno tenute da un impasto di argilla, in modo da reggere il peso del braciere.
Ancora simile doveva essere l’edificio all’interno del recinto megalitico di
Monte Nuxi di Esterzili, che presenta sempre l’inconfondibile pianta rotonda
aperta in un antis con sedile, anche
se gli scavi, tuttora in corso, non hanno restituito ancora nessuna traccia dell’altare-braciere.
Nella località denominata Sa Cuguttada di Florinas, nel Villaggio Santuario di
Punta Unossi, notiamo che compare un edificio rifasciato in conci altamente
rifiniti chiamato la “Rotonda”. La guida[14]
non descrive ampiamente i materiali rinvenuti ma riporta tra le pochissime
informazioni il ritrovamento nelle immediate prossimità, tra le capanne 2 e 3, di
un manufatto circolare del diametro di mt 1,5 e altezza mt. 0,55, realizzato
con blocchi tronco piramidali a sezione circolare il cui uso è supposto come
focolare. Ancora si segnala il villaggio di Giorrè, nel comune di Florinas,
dove, in un recinto ellittico già violato da scavi clandestini, si rinvennero
una “Rotonda” e un edificio fortemente rettangolare[15],
probabilmente un megaron. Tra i pochi
reperti rinvenuti si ritrovarono un betilo – torre e tre elementi tronco
piramidali in calcare con decorazione di tipo geometrico. Così in queste
località come in molte altre ancora, chi scrive sta identificando in queste ore
quel particolare edificio dove le popolazioni nuragiche usavano tenere un
altare con acceso un fuoco sacro accanto ad una vasca contenente liquidi,
verosimilmente acqua. I confronti con le varie indagini e i relativi scavi ci
suggeriscono che questa tipologia d’arredo non fosse prerogativa unica delle
costruzioni a corpo circolare e aperte frontalmente in ante parallele, ma fosse
indicativa di una particolare tipologia detta megaron. Attraverso gli arredi, non unicamente la struttura, si
individua la seconda prova che ha permesso di proporre l’inquadramento di
taluni edifici nel tipo Ia o nel tipo 0. Nell’ambito dei templi a
megaron possiamo notare che anche la struttura in antis in regione Gremanu di
Fonni presenta al suo interno, nella parte postica, una vasca rettangolare che
corre lungo la parete SSW, mentre nel vertice NNE sono ancora presenti numerose
tracce di focolare. I componenti della vasca vennero suggellati tramite delle
assi di legno passanti per alcuni fori e sigillate con impasto d’argilla fluida,
onde evitare che l’impiego di colate di piombo costituisse in qualche modo uno
svantaggio per via del calore generato dal focolare. All’interno
dell’ambiente vennero rinvenuti diversi
frammenti riassumibili come basamenti di trachite nonché pezzi, sempre di
trachite, in sezioni di cerchio e con decorazioni geometriche riferibili a
basamenti tronco conici[16].
All’esterno del megaron si rinvenne un disco di granito dello spessore di circa
12 cm, del diametro di un metro, con beccuccio di adduzione sul bordo esterno e
collegato tramite una canaletta alla conca centrale. La parte superiore del
pezzo presenta segni di intense combustioni, il che fa ricondurre il tutto ad
un uso metallurgico oppure un uso rituale del fuoco[17].
Nel complesso di Serra Orrios di Dorgali, all’interno del megaron A, viene
segnalata la presenza di un focolare per il quale nessuna vasca o braciere
viene segnalato ma tra i reperti un oggetto curioso viene riportato: un
elemento a disco con apertura circolare delimitata da un breve colletto e ansa,
supposto come coperchio o elemento da macina[18].
Anche in questo caso l’accostamento agli elementi tronco conici di Su Monte e di
Santa Vittoria appare scontato. Ci spostiamo a Su Romanzesu di Bitti, dove
l’indagine ci porta a considerare la segnalazione che vede, nella parte più
profonda del megaron A, una buca
circolare scavata nel pavimento e ritenuta essere la base dell’alloggiamento di
un elemento costruttivo connesso ai riti purificatori[19].
La segnalazione è scarna di dettagli e non si cita nessun tipo di focolare
tranne che nell’elencazione degli elementi rinvenuti in cui si può notare la
presenza di un modello fittile di torre nuragica[20],
il che fa supporre che ci si trovi di fronte al solito braciere con decorazioni
geometriche. Si sottolinea che gli edifici inquadrati nella classe proposta
mostrano inoltre un’altra caratteristica riconducibile ai megara già conosciuti,
ovvero l’inclusione all’interno di un temenos
– recinto, che potrebbe suggerire una loro funzione compresa nella sfera
sacrale. Alla ricerca di confronti nell’ambito del Mediterraneo diverse fonti
ci conducono verso la Siria settentrionale dove la forma in antis caratteristica del tipo II si mostra
frequente sin da tempi remoti. Ciò che lascia perplessi è che la fruizione di
queste strutture avviene per la maggior parte dei casi attraverso l’accesso a
gomito dai lati lunghi della fabbrica e in pochissimi casi da un’apertura posta
sull’asse longitudinale. Le indagini nell’ambito del Mediterraneo Orientale ci
portano a considerare gli impianti templari[21]
egei dell’VIII sec. a.C. come i più arcaici[22]
sinora testimoniati. In questi contesti sin dai primi del ‘900 la ricerca ha
individuato un escara (focolare) situato
in mezzo al tempio che mostra profonde similitudini con i sacelli minoici della
Creta palaziale. Nel descrivere l’origine di questo arredo posto all’interno
dei megara cretesi, il Marinatos[23]
(non senza suscitare in noi profonde perplessità) ne elabora un’importazione
dal continente greco. Le perplessità scaturiscono dal fatto che tra i vari
esempi è portata la cittadina di Thasos, che ospita il tempio dedicato a
Herakles[24], la
quale mostra numerose e profonde affinità con molteplici contesti sardi.
L’architettura micenea conosce in questo periodo - l’VIII sec. a.C. - diversi
edifici interni agli abitati, caratterizzati da un vestibolo antistante,
banchine, focolari e altari[25].
Tali edifici, secondo alcuni studi, sono derivati delle long houses elladiche e delle abitazioni absidate con focolare
centrale, ma obbiettivamente quasi nulla è la presenza di arredi o particolari
che siano riferibili alla sfera del culto[26].
Considerato ciò pare surreale comparare gli edifici sardi agli egei e ancora
meno a quelli medio – orientali, almeno sino a quando non si testimonierà il
primo impiego di un focolare a scopo rituale all’interno di un edificio di
chiara destinazione cultuale. Le tipologie usate per inquadrare i monumenti e
le relative contestualizzazioni spingono a considerare i megara sardi ben più
antichi (XIII sec. a.C.)[27]
dei megara orientali o perlomeno di quelli di chiara pertinenza alla sfera del
sacro. Probabilmente la collocazione di sedili nel vestibolo (forse considerato
ciò attualmente) porta a valutare come inconsistente l’ipotesi della
consumazione del pasto rituale, specialmente se si considera l’arredo vasca –
focolare sacro della parte ipetrale e la costante presenza dell’attiguo ripostiglio
dei metalli. La presenza di un focolare,
verosimilmente perenne, porta a
considerare inoltre che la copertura, sia che fosse piatta sia a doppio
spiovente, dovesse avere un’apertura per la fuoriuscita dei fumi. Si è detto in
precedenza che gli edifici a megara egei manifestano piena valenza religiosa e
cultuale attorno al VIII sec. a.C., per cui si può presumere, con un buon
margine di sicurezza, che ciò gli sia stato trasmesso grazie alle continue
frequentazioni sarde presso i contesti del Levante[28].
La mancanza di informazioni in territorio sardo ci spinge ad indagare
antropologicamente le motivazioni e le credenze legate all’uso del focolare
sacro nei contesti egei. Gli edifici egei che accolgono un focolare sacro, soprannominati
pritaneo (prutanhion), sono in genere
delle strutture destinate al “sommo magistrato” o all’abitante benemerito
eletto dalle famiglie dell’abitato. L’edificio rappresenta culturalmente il focolare
nonchè il cuore dell’insediamento, dove si trova il fuoco sacro che non si
spegne mai. Nell’ambito Egeo il fuoco sacro rappresenta il simbolo della
continuità ed è consacrato a Estia -
Vesta, la Dea del focolare, mitologica sorella di Demetra. Nella mitologia
greca Estia è la dea della casa e non viene mai rappresentata sotto forma umana,
ma attraverso il cerchio del focolare la sua presenza viene avvertita nella
fiamma viva del fuoco domestico o del braciere circolare di un tempio. Le
figure dedite al culto della divinità sono generalmente di sesso femminile,
vengono chiamate vestali e in quanto
sacerdotesse assolvono il compito di custodire il fuoco sacro della Dea. La
prima rappresentazione riconosciuta della divinità è stata una colonna
denominata Erma - Herme[29]-[30].
Ritorniamo in Sardegna per descrivere i megara come dei centri religiosi
caratterizzati dalla gestione di un forte potere politico ed economico[31],
il che trova un lampante confronto nella destinazione d’uso proposta per il pritaneo greco. Teniamo ben presente che
nei megara sardi è stato rinvenuto un arredo che nelle righe qui sopra abbiamo osservato
essere caratterizzato da una colonna – capitello con funzioni di braciere, decorata
con motivi geometrici: ciò rappresenta ancora un ulteriore confronto stringente
con la rappresentazione arcaica egea della Dea del focolare nell’Egeo.
Evidenziamo che nella tradizione popolare sarda alcuni monumenti, quale il
megaron di Dom’e Orgia di Esterzili, sono custoditi da una mitologica
Sacerdotessa, Orgia / Urgia appunto, il che ci porta a trovare un’ulteriore
similitudine con la figura femminile preposta per i greci alla custodia del
sacro fuoco. Ancora un’altra prova incalzante è fornita da una statuetta
bronzea rinvenuta nel contesto di Esterzili la quale raffigura un personaggio
femminile, verosimilmente una sacerdotessa ammantata, che tiene in mano una
fiamma, altro chiaro riferimento alla figura femminile e al fuoco sacro.
Considerando i contesti italici dell’Età del Ferro ancora troviamo che i templi
della penisola, dedicati a Diana nella sua accezione di Vesta, si presentano di
forma circolare e caratterizzati da un focolare sacro custodito da vergini
vestali[32].
E’ interessante espandere uno spunto riflessivo relativo al fatto che il tempio
del fuoco sacro fosse racchiuso in un temenos dove si trovavano alberi
considerati sacri - quali ad esempio le querce - che venivano impiegati per
alimentare il fuoco stesso. Nell’ultimo step questa analisi si rivolge ad un
edificio particolare individuato nell’agro di Senorbì, nella frazione detta
Sisini, denominato sommariamente “Su Nuraxi”. L’edificazione del monumento è
ricondotta ad un periodo compreso tra il XV e il XIV sec. a.C. in un’area che
mostrava già un insediamento riconducibile alla facies culturale di Monte Claro[33].
La citazione del monumento nel presente lavoro è mirata, secondo noi, alla
visione del complesso come un megaron in antis, come uno dei pochi ancora
eretti se non l’unico testimoniato sinora, anziché un nuraghe tancato. La
proposta di una rilettura del monumento ha per noi lo scopo di considerare il
complesso come un templio a megaron inquadrabile nella nuova tipologia proposta
in questo studio la cui struttura è formata da un corpo circolare da cui si
dipartono due ante parallele, delimitanti un sedile – vestibolo. La struttura indagata
si presenta realizzata in opera isodoma con conci di marna prelevati nel
contesto stesso. Il complesso, descritto come anomalo, viene definito
sommariamente come tancato, nonostante frontalmente alla torre non si apra
nessun cortile. Dal corpo circolare partono invece due ante leggermente
strombate verso l’esterno conferendo all’insieme una lunghezza di circa 19,30
mt e un orientamento di 159° circa[34].
Che si tratti di due ante anziché di un cortile lo si evince chiaramente dalle
planimetrie proposte da precedenti studi[35],
dato che non si crea uno spazio chiuso ma un vestibolo, oltre che
dall’osservazione dell’edificio stesso, eretto tutt’uno elevando le ante alla
stessa altezza dell’apice della torre. Si sottolinea inoltre che il corpo
circolare mostra una facciata rettilinea da cui si dipartono le ante, il che
evidenzia il fatto che in origine non fosse un nuraghe monotorre; inoltre i
segmenti rettilinei delle ante si osservano penetrare nella massa muraria retrostante
quasi sino alla tholos evidenziando un unico corpo con il corridoio di accesso.
Fondamentale per le ricerche sarà lo scavo integrale del vano centrale che avrà
l’onere di rivelare o meno la presenza del braciere – vasca rinvenuto finora o
eventualmente dei singoli pezzi componenti e delle eventuali tracce di focolare
con annesso ripostiglio di bronzi. Comunque anche se ciò non fosse uno scavo
integrale avrà lo scopo di fugare definitivamente le perplessità relative ad un
monumento forse unico nel suo genere.
L’analisi chiaramente è partita da questa tipologia di monumenti, forse perché non abbastanza definita per i suoi aspetti più salienti. Da qui, per similitudine di arredi e non di rinvenimenti materiali, l’analisi ha raggiunto ed incluso i cosiddetti edifici a megaron, cercando di spiegare le motivazioni, inerenti l’ambito ideologico, di tale inquadramento e tralasciando apposta la presenza di bronzi, lingotti e metallurgia forse perché fuorvianti nella considerazione del culto. A differenza di altri studi[1] abbiamo volutamente tralasciato le considerazioni sulla distribuzione altimetrica[2] e sull’inquadramento geo-morfologico e litologico, sull’inquadramento idrografico e sulla distribuzione dei monumenti relativamente alle aree minerarie o agli insediamenti abitativi, per valutare un altro aspetto non tanto esterno quanto introspettivo. Abbiamo sorvolato persino sulle attente valutazioni relative a abitazioni absidate con focolare centrale considerandole riduttive e svianti in quanto riconducibili ad abitazioni di uso comune non di certo a taluni edifici a carattere di sacralità. La domanda fondamentale che ci si è posti è: cosa si celebrava in tali edifici?
Esterzili - Domu'e Orxia |
A questa si è cercato di dare una spiegazione plausibile cercando parallelismi nella penisola pre-romana e nell’Egeo, in virtù di analisi antropologiche esposte di seguito. Intanto la ricerca ha sviluppato un criterio edilizio nella comparsa e nelle modifiche dei monumenti a megaron stabilendo almeno tre tipologie – I, II, III - relative alle caratteristiche strutturali. Secondo gli studi consultati[3] al tipo I sarebbe ascrivibile l’edificio absidato di Malchittu, aperto a SE, inquadrabile nel Bronzo Medio[4], composto da un corpo principale con abside posteriore e dalle ante - non proprio rettilinee e sviluppate longitudinalmente rispetto al corpo - poste sul frontale.
Megaron - Monte Nuxi |
Ancora in questa tipologia, forse successivo, viene inquadrato il megaron in antis tricellulare absidato di Sa Tumba di Serrenti[5], contraddistinto dalla presenza di un focolare nella parte centrale[6]. Il tipo II dovrebbe accorpare megaron rettangolari con antis semplice mentre il tipo III indicherebbe edifici rettangolari con antis posteriore e anteriore[7]. Per il tipo II sinora possiamo portare ad esempio il megaron, aperto a SE, del complesso Oes di Giave. Nel tipo III possiamo invece inserire il grandioso megaron, aperto a SSE, di Dom’e Orgia di Esterzili; quello aperto a S, di Gremanu – Fonni; i due grandiosi megaron a (aperto a ESE) e b (aperto a SSE) di S’Arku ‘e is Forros di Villagrande Strisaili; quelli a (aperto a E) e b (aperto a SSE) di Serra Orrios di Dorgali;
Dorgali - Serra Orrios |
il megaron, aperto a NNE, di Sos Nurattolos di Alà dei Sardi e ancora i megaron a (aperto a S) e b (aperto a S) di Su Romanzesu di Bitti. Parecchie di queste costruzioni paiono legate, per via degli arredi particolari che hanno restituito. Il primo step di questo studio riguarda la segnalazione di una “nuova” classe di monumenti, da inserire nel precedente inquadramento, da nominarsi come tipo Ia oppure tipo 0. Le caratteristiche strutturali di questa tipologia edilizia ci mostrano un megaron con corpo principale circolare e delle ante frontali e parallele da collocarsi, rispettando una certa cronologia degli edifici, come antenato (dovendolo inquadrare come tipo 0) oppure evoluzione (inquadrandolo come tipo Ia), dei megara con corpo absidato. Questa ambiguità è dettata purtroppo dalle diverse scuole di pensiero e di studio.
Irgoli - Genna'e Pruna |
Queste correnti elaborano per la Sardegna un’evoluzione architettonica che vede nel Bronzo Antico edifici[8] di forme sub rettangolari, che si evolvono in forme perfettamente circolari nel Bronzo Recente e Finale[9]. Mentre la scuola di pensiero relativa all’Egeo e a Creta propende per un’origine delle strutture che, dalla forma circolare del Neolitico[10], seguono un’evoluzione in forme sub rettangolari per poi passare, durante l’epoca del Miceneo Recente[11], a planimetrie pienamente rettangolari. L’edificio che meglio suggerisce degli spunti riflessivi è quello di Su Monti di Sorradile, dalla forma rotonda e imponente che ricorda un nuraghe, aperta in un vestibolo con due pareti parallele dette ante, fornite di sedile. Al suo interno l’ambiente circolare viene marginato da tre grandi nicchie proprio come le camere dei nuraghi. Al momento dello scavo l’edificio ha rilevato la presenza di un ricco ripostiglio di bronzi interrato nella nicchia di fondo ma soprattutto è stato rinvenuto al suo interno un elemento di arredo particolare. Al centro della sala è stata ritrovata infatti una vasca di pianta trapezoidale con due pilastri posti in due vertici. L’oggetto risulta coronato da conci modanati, sui quali nell’antichità venivano infissi dei bronzetti, e da due capitelli - di cui al momento ne rimane solo uno - con decorazione a raggiera, posti sopra i due pilastrini. La vasca risulta - a detta degli archeologi Santoni e Bacco - composta da blocchi martellinati tenuti da grappe di piombo, segno questo che serviva a contenere dei liquidi, mentre su uno dei capitelli e su parte del fondo rimane uno strato di cenere, come se al suo interno fosse stato contenuto un braciere. Ci spostiamo ancora a Santa Vittoria di Serri, dove puntiamo alla capanna 32, definita in passato come “Capanna del Capo”.
Santa Vittoria di Serri - Capanna del Capo |
La planimetria è la stessa: rotonda con apertura in antis, in cui le due parti risultano edificate contemporaneamente delineanti un vestibolo e munite di sedile. L’interno dell’ambiente è caratterizzato da quattro nicchie e nel pavimento lastricato si è rinvenuto un “crogiuolo” in pietra. Non vi è stata rinvenuta invece la vasca di cui abbiamo parlato per il precedente contesto, tuttavia non pochi indizi ci portano a considerare che vi fosse: il primo di questi riguarda la presenza di colate di piombo nel pavimento: è testimoniato infatti che questo metallo venisse utilizzato per saldare conci e murature per liquidi (Gremanu – Fonni); il secondo indizio riguarda il rinvenimento, in un’area un po’ più distante - per esattezza davanti al pozzo -, di conci con la presenza all’interno di colate di piombo e la caratteristica modanatura in pietra con scolpito il motivo a raggiera. Nella località de Sa Carcaredda, nel comune di Villagrande Strisaili, a pochi chilometri di distanza dall’area di S’Arku ‘e is Forros, si trova la stessa tipologia edilizia, dalla consueta pianta rotonda, a cui si accede tramite un vestibolo, aperto a ESE, delimitato da due ante e coronato da un sedile. Di dimensioni leggermente inferiori rispetto ai contesti precedentemente descritti, anche questa costruzione ospitava un “focolare rituale” esposto ora al Museo di Nuoro
Vasca focolare Sa Carcaredda - fonte Museo Archeologico di Nuoro |
Pianta di S'Arku'e is Forros - Villagrande Strisaili-www.irei.it |
Vasca focolare Su Monti - Sorradile |
[1] Sara CAPPELLINI, I tempietti a megaron della Sardegna Nuragica nell’ambito
del Mediterraneo (tesi di laurea), AA. 2010-2011, Università degli Studi di
Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in Archeologia e
Scienze dell’Antichità, relatore A. MORAVETTI, controrelatore R.ZUCCA, pag. 194
[2] Sulla quale non condividiamo i risultati, inficiati a nostro parere dal numero esiguo (9 nove)
dei campioni portati a confronto. Se nell’indagine fossero stati inseriti anche
gli edifici compresi nel presente lavoro, si sarebbero ribaltate completamente
le elaborazioni relative alla distribuzione altimetrica, all’inquadramento
idrografico e a quello abitativo mostrando appunto la non connessione cultuale né
con l’altimetria né tantomeno sia dipendente dal litotipo(per esempio
l’edificazione delle nostre chiese non è legata di certo all’altezza sul
livello del mare né tantomeno è subordinata all’utilizzo edilizio di granito o
ignimbriti).
[3] Nicola SANNA, I templi in antis protosardi e
mediterranei: significato cultuale e ruolo socio-economico, in Uomo e
Territorio – dinamiche di frequentazione e sfruttamento delle risorse naturali
nell’antichità, ATTI del Convegno Nazionale dei Giovani Archeologi Sassari
27-30 settembre 2006, a cura di Maria Grazia Melis, Nuova Stampa Color, Muros
2009, pagg. 193-200
[4] Giovanni UGAS, L’alba dei nuraghi, Fabula edizioni, Cagliari 2005,
pag. 83
[5] Nicola SANNA, I templi in antis protosardi e mediterranei: significato cultuale e
ruolo socio-economico, in Uomo e Territorio – dinamiche di frequentazione e
sfruttamento delle risorse naturali nell’antichità, ATTI del Convegno Nazionale
dei Giovani Archeologi Sassari 27-30 settembre 2006, a cura di Maria Grazia
Melis, Nuova Stampa Color, Muros 2009, pagg. 193-200
[6] http://www.alberghierogramsci.it/archivio/didattica/produzioni/Marras_efisio/La%20Storia%20Antica.htm
[7] Nicola SANNA, I templi in antis protosardi e mediterranei: significato cultuale e
ruolo socio-economico, in Uomo e Territorio – dinamiche di frequentazione e
sfruttamento delle risorse naturali nell’antichità, ATTI del Convegno Nazionale
dei Giovani Archeologi Sassari 27-30 settembre 2006, a cura di Maria Grazia
Melis, Nuova Stampa Color, Muros 2009, pagg. 194
[8] Giovanni UGAS, L’alba dei nuraghi, Fabula edizioni, Cagliari 2005,
pag. 84
[9] Giovanni UGAS, L’alba dei nuraghi, Fabula edizioni, Cagliari 2005,
pag.85
[10] Nonostante alcuni studi quali N. SANNA 2006 sostengano
(discutibilmente) che “…isole egee e
Creta restano quasi estranee al fenomeno…”
[11] Gustave GLOTZ, La civiltà Egea, Giulio Einaudi Editore, Torino
1980, pagg. 92-95
[12] Sara CAPPELLINI, I tempietti a megaron della Sardegna Nuragica
nell’ambito del Mediterraneo (tesi di laurea), AA. 2010-2011, Università degli
Studi di Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in
Archeologia e Scienze dell’Antichità, relatore A. MORAVETTI, controrelatore
R.ZUCCA, pag. 109
[13] Sara CAPPELLINI, I tempietti a megaron della Sardegna Nuragica
nell’ambito del Mediterraneo (tesi di laurea), AA. 2010-2011, Università degli
Studi di Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in
Archeologia e Scienze dell’Antichità, relatore A. MORAVETTI, controrelatore
R.ZUCCA, pag. 120
[14] Pina Maria DERUDAS, Il villaggio santuario di Punta Unossi, Carlo
Delfino Editore, Sassari 2006, pagg. 30-44
[15] Pina Maria DERUDAS, Il villaggio santuario di Punta Unossi, Carlo
Delfino Editore, Sassari 2006, pagg. 12-19
[16] Sara CAPPELLINI, I tempietti a megaron della Sardegna Nuragica
nell’ambito del Mediterraneo (tesi di laurea), AA. 2010-2011, Università degli
Studi di Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in
Archeologia e Scienze dell’Antichità, relatore A. MORAVETTI, controrelatore
R.ZUCCA, pag. 84
[17] Sara CAPPELLINI, I tempietti a megaron della Sardegna Nuragica
nell’ambito del Mediterraneo (tesi di laurea), AA. 2010-2011, Università degli
Studi di Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in
Archeologia e Scienze dell’Antichità, relatore A. MORAVETTI, controrelatore
R.ZUCCA, pag. 88
[18] Sara CAPPELLINI, I tempietti a megaron della Sardegna Nuragica
nell’ambito del Mediterraneo (tesi di laurea), AA. 2010-2011, Università degli
Studi di Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in
Archeologia e Scienze dell’Antichità, relatore A. MORAVETTI, controrelatore
R.ZUCCA, pag. 154
[19] Sara CAPPELLINI, I tempietti a megaron della Sardegna Nuragica
nell’ambito del Mediterraneo (tesi di laurea), AA. 2010-2011, Università degli
Studi di Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in
Archeologia e Scienze dell’Antichità, relatore A. MORAVETTI, controrelatore R.ZUCCA,
pag. 179
[20] Sara CAPPELLINI, I tempietti a megaron della Sardegna Nuragica
nell’ambito del Mediterraneo (tesi di laurea), AA. 2010-2011, Università degli
Studi di Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in
Archeologia e Scienze dell’Antichità, relatore A. MORAVETTI, controrelatore
R.ZUCCA, pag. 184
[21] Si è specificato edifici templari allo scopo di differenziare tali
monumenti in esame dai generici, molto più antichi e riconducibili al
Neolitico, megara egei (continentali e cretesi) i quali erano edifici con
caratteristiche domestiche vere e proprie.
[22] Enzo LIPPOLIS, Monica LIVADIOTTI, Giorgio ROCCO, Architettura
greca: storia e monumenti del mondo della polis dalle origini al V secolo,
Bruno Mondadori Editore, 2007, pag. 44
[23] Margherita GUARDUCCI, Scritti scelti sulla religione greca e
romana e sul Cristianesimo, E.J. BRILL, Leiden, Netherlands 1983, pagg. 3-438
[24] La presenza di una statuetta bronzea con mascherina d’oro,
raffigurante Herakle, proveniente dal Villaggio di Giorré – Florinas (Derudas
2006) sembra segnalare ancora
similitudini cultuali e rapporti molto profondi. Si ricorda che il villaggio è
segnalato in questo lavoro come sede di megaron.
[25] Enzo LIPPOLIS, Monica LIVADIOTTI, Giorgio ROCCO, Architettura
greca: storia e monumenti del mondo della polis dalle origini al V secolo,
Bruno Mondadori Editore, 2007, pag. 18
[26] Sara CAPPELLINI, I tempietti a megaron della Sardegna Nuragica
nell’ambito del Mediterraneo (tesi di laurea), AA. 2010-2011, Università degli
Studi di Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea in
Archeologia e Scienze dell’Antichità, relatore A. MORAVETTI, controrelatore
R.ZUCCA, pag. 229
[27] Maria Ausilia FADDA, Esterzili nel cuore della Sardegna Nuragica,
in Archeologia Viva, Giunti Editore, Luglio – Agosto 2001 n.88
[28] Sia nel caso questa frequentazione sia stata sporadica, nella
distribuzione della cultura materiale, sia nel caso questa sia avvenuta in
forme più massicce data l’appartenenza alla Lega dei Popoli del Mare.
[29] Richard Wyatt HUTCHINSON, L’Antica Civiltà Cretese, Giulio Einaudi
Edizioni, Torino 1976, pag. 190
[30] Doverosa la segnalazione che “su nenniri” fosse chiamato persino
“erme”
[31] Maria Ausilia FADDA, Esterzili nel cuore della Sardegna Nuragica,
in Archeologia Viva, Giunti Editore, Luglio – Agosto 2001 n.88
[32] James George FRAZER, Il ramo d’oro, Newton Compton edizioni, Roma
Luglio 2011, pag. 23
[33] http://www.monumentiaperti.com/scheda.php?idm=720&idc=122
[34]http://www.sardegnageoportale.it/webgis/fotoaeree/index.html?namelayer=ortofoto2006_EPSG3003&minx=1513861.1278564&miny=4378988.9323219&maxx=1514494.6278564&maxy=4379237.4323219&backgroundColor=%231c1f4c
[35] Giovanni LILLIU, La Sardegna Nuragica, in Sardegna Archeologica –
Studi e Monumenti 2, a cura di A. Moravetti, Carlo Delfino Editore, Sassari
1982, pag. 65, fig 58/2
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