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lunedì 28 marzo 2016

Ipogeismo nell'Africa del Nord


Di Marcello Cabriolu
 

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Nonostante il gran numero di piccole tombe presenti nel nord-est del Maghreb, è inverosimile affermare che il Nord Africa sia una zona privilegiata dall’ipogeismo. Alcuni studi sostengono che a tutt’oggi, non ci sono sepolture preistoriche inquadrabili nell’ipogeismo Neolitico o Calcolitico presente nel Mediterraneo occidentale. Quelle prese in esame tramite questo studio sono delle piccole stanze, di forma cubica e solitamente scavate nelle rocce isolate o nei fianchi di rilievi che gli archeologi hanno identificato con  parole arabe: hanout (plurale haouanet: negozi), rhorfa (camera voltata) Biban (porte). 

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Il nome haouanet, sebbene limitato al settori  orientale dell’Algeria caratterizzato da un’intensa occupazione indigena,  è prevalso sul termine hanout.  Nessun hanout (spesso soggetti ad un riutilizzo,il cui sostantivo plurale haouanet  è usato per designare una stanza isolata) ha fornito un indizio per mettere un parallelo cronologico con ipogei del mediterraneo Occidentale.  Considerati i territori costieri più prossimi , soprattutto quelli della Sardegna, della Sicilia e delle isole Baleari, diventa molto probabile l’ipotesi, come vedremo di seguito, che tali haouanet abbiano avuto un’ origine mediterranea e non autoctona. Gli haouanet sono delle piccole grotte artificiali di forma regolare, cubica o parallelepipeda che si aprono verso l'esterno attraverso un portello verticale di piccole dimensioni (circa 0,80 m per 0,50 m lato). 
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L’esterno delle grotte si presenta lavorato con finiture atte ad accogliere il portello di chiusura  o, più raramente scanalature in cui trovava sede una lastra scorrevole o un pannello di legno. A differenza di quanto accade in Sicilia, dove probabilmente gli ipogei erano chiusi da un muro di pietra o di un banco di terra, nessun hanout putroppo ha mantenuto intatta la sua chiusura. In qualsiasi modo, qualunque sia stata la modalità di chiusura, non poteva che essere fatta  dall'esterno;  questa constatazione, considerati i ristretti ambienti interni all’ipogeo i quali non potevano di certo ricevere un corpo allungato,   conferma il carattere funerario di tali contesti. Molto raramente questi ambienti hanno restituito i corredi funerari e i pochi siti si possono contare tra le dita di una mano: Djidiouia, l'isola di La Galite Taza, tutti situati al di fuori della zona di massima concentrazione dove la presenza di corredi di epoca romana  indicano un riutilizzo o un prolungamento tardo delle precedenti tradizioni funerarie. Tuttavia una recente ricerca da M. Ghaki tra gli haouanet della necropoli di Cap Bon  ha rivelato, provenienti dagli  haouanet  13 e 15 del Gruppo II di Sidi Mohamed Latrach delle ceramiche e vasi realizzati al tornio (lekythos, piccole anfore, coppe e piatti e lampade) i quali, secondo alcuni studi, non possono essere anteriori al IV secolo a.C.

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La tipologia di queste tombe è delle più semplici, la forma più comune è data da una stanza che, nelle sue più grandi dimensioni,  raramente supera i due metri cubi e il cui soffitto si eleva meno di un metro dal suolo, l'ingresso presenta generalmente una soglia sollevata rispetto al pavimento della stanza. Una variante di questa tipologia, con nicchie nelle pareti e buche scavate nel pavimento della camera e panche disposte sul lato più lungo, indica, con molta perplessità da parte di chi scrive, delle eventuali influenze puniche. Eccezionalmente si possono osservare, lungo i banconi laterali, delle sculture che sottolineano l’aspetto funerario del contesto (Jbel Sidi Zid). Il soffitto si presenta generalmente di due tipologie: il più comune è quello tabulare ma si presenta pure con volta a botte e con volta tendente ad ogiva dove, secondo alcuni studi,  tale anomalia non è certo intenzionale e dipende dalla natura della roccia in cui la tomba è stata scavata. I soffitti a doppio spiovente, che probabilmente mimano un tetto, non sono molto comuni, né tantomeno delle eccezioni (El Haouri El Guetma, Argoub el Mangoub).  Nel descrivere questi contesti dobbiamo tenere inoltre conto l'esistenza di nicchie, generalmente singole e ricavate nella parete, poste nella parete che fronteggia l'ingresso. M. Longerstay ha rimarcato, per quanto riguarda il contesto di El Guetma, la relazione che intercorre tra la forma della nicchia e quella della volta: quando il tetto è due sezioni, la nicchia ha una parte superiore triangolare, altrimenti la trabeazione orizzontale è associato al soffitto piano. Esternamente, gli houanet, decorati da incisioni e cornicette, sono situati ad un'altezza tale che è necessario utilizzare una scala per accedervi, altri invece sono quasi a livello del suolo, ed è tra questi che si osserva un anticipo di corridoio (Gastel, Jbel Sidi Zid, El Harouri) che non raggiunge quasi mai le dimensioni di un vero e proprio dromos.
Questi haouanet si mostrano spesso associati, talvolta in qualche decina, e disposti lungo falesie (Jbel Mangoub) o lungo uno sperone roccioso (Sidi Mohammed Latrach) o intorno a conglomerati di roccia (El Guetma). Addirittura tali monumenti sono segnalati in blocchi isolati o massi erratici  nei quali   è stato scavato uno hanout (El Kissa, Kef El Blida Sejenane ecc.) di  piccole dimensioni. Un altro tipo di haouanet è costituito da monumenti a camera multipla con sviluppo longitudinale in un banco roccioso

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Le più spettacolari camere riconducibili a quest’ultima tipologia sono quelli di EI Harouri * dove lungo l’asse tra la sala d'ingresso e le successive due camere si sviluppa un soffitto è dotato a doppio spiovente. Forse sottostando a certune regole, alcuni contesti si presentano con  camere sovrapposte richiamando alcuni complessi tombali punici a pozzo. Più sorprendenti sono i monumenti complessi dove le camere si presentano perfettamente sovrapposte in un unico blocco (Uzali Sar). J. Peyras e N. Ferchiou vedono qui l'origine dei mausolei –cippi dell’epoca punica. La questione fondamentale concernente gli haouanet è, naturalmente, quello cronologica. Per  la loro forma, la loro dimensione e i loro raggruppamenti queste sepolture rupestri presentano forti analogie con i ipogei della Sicilia orientale, in particolare quelli di Pantalica e di Cassibile ma, mentre essi appartengono all'Età del Bronzo, nessun elemento di corredo permette, nel caso di haouanet, di avanzare una data così precoce. E 'importante esaminare altri dati che possono contribuire a determinare l'età e l’origine di queste sepolture particolari. Noi dobbiamo in primo luogo esaminare la distribuzione degli haouanet. Sono monumenti singolari e meritano un po’ più di attenzione da parte degli archeologi mentre i monumenti indigeni quali i tumuli e le Bazinas, distribuiti uniformemente in tutta l'Africa settentrionale, Sahara compreso,  gli haouanet sono confinati in un triangolo a nord-est del Berberiè, ad est di una linea passante per Bejaia (Bougie) e l'isola di Djerba. A ovest di questa linea gli haouanet diventano rari e, del resto, sembrano più recenti (Tipasa Taza). Nel vasto triangolo i cui vertici sono candela, il Cap Bon e Djerba, gli haouanet si presentano numerosi soprattutto nel Tell tunisino. Le concentrazioni maggiori si osservano a Kroumirie (Tunisia) e nella Regione di Tarf (Algeria orientale), che di fatto formano un unica regione,  successivamente si osservano sul Massiccio dei Mogods dove si mostrano prevalentemente di calcare, l’ Ansarine a nord di Medjerda. Questa concentrazione, forse la più importante, è separata da Cap Bon dalle basse valli di Medjerda e Wadi Miliane. Al di là, a sud, gli ipogei diventano più rari, il gruppo principale è situato presso il confine algerino-tunisino nella regione di Tébessa. Sulla costa, si possono citare quelli di Monastir (isola Quarantine), Djerba (Oulad Amor) e qualche isolato haouanet.

giovedì 24 marzo 2016

OTTANA(NU) LA PISCINA LIMARIA IN REGIONE S'ORTU E SOS VANZOS



MARCELLO CABRIOLU
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Ottana - Piscina Limaria
Prot. Soprintendenza BBSSAA SS 4976 del 16 maggio 2014
            Premessa
Il contesto è conosciuto come S'Ortu e sos Vanzos (Ottana – Foglio n°207 quadrante IV S.O.), e consta in un edificio quadrangolare, situato alla periferia NW dell'abitato di Ottana (NU) (4453908 N; 1503447 E GB). Il terreno ove sorge la struttura si presenta costituito sia da rioliti in cupole di ristagno e rare colate (28,4-23,3 milioni di anni fa) che da conglomerati, sabbie e argille in terrazzi e conoidi alluvionali generati dalla presenza prossima del fiume Tirso (antiche alluvioni 5,3 – 1,8 milioni di anni fa)[1] . Il monumento si colloca ad una quota orografica di circa 185 mt s.l.m. in seno alla piana alluvionale, di circa 20 kmq, compresa tra i fiumi Liscoi e Tirso, il cui andamento è regolato da un sistema di faglie[2]. L'edificio qui indagato, è tuttora conosciuto come facente parte di un bagno termale, eretto o riattato tra il 190 e il 240 d.C[3]. Con azimuth di 33° dal fianco nord della struttura si individua una sorgente-pozzo, denominata su Cantaru o Puttu Novu, costeggiata da un breve tratto murario ipotizzato di pertinenza all'impianto termale[4]. Distante circa 50 mt, probabilmente alimentata dal Rio S'Abba Viva,  questa sorgente - come numerosi altri pozzi più o meno moderni osservabili nel giro di qualche decina di metri quadrati - è ricordata dalla memoria locale come alimentata da acqua salubre. La situazione pedologica e attitudinale dei suoli ci mostra come questa porzione di territorio, costituita da tufi e depositi alluvionali, sia poco idonea all'irrigazione (pochi orti ad uso domestico e un seminativo asciutto) e incline perciò al pascolo.
Indagine al suolo
Per l’indagine del suolo, tenendo presente che il terreno risulta sgombro da recinzioni e da indicatori di confine, si è proceduto ad una ricognizione di superficie di tipo asistematico corredata da fotografie scattate a seguito dell'intervento di pulizia dalle erbacce operata da un cantiere comunale[5]. Avanzando sul terreno lungo strisce stabilite con orientamento Est - Ovest, valutando sul posto le strutture evidenti, si è proceduto all'indagine e allo sviluppo dello studio.

Fittili
La continua frequentazione dell'area e del complesso legata all'edificazione civile e all'uso agricolo intensivo, almeno sino alle soglie del XXI secolo, ha reso impossibile il rinvenimento, seppur fortuito, di fittile .

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Ricostruzione di una piscina limaria
Il contesto
La piana compresa tra il Rio Liscoi e il fiume Tirso pare ospitare, in epoca severiana, una guarnigione o un insieme di insediamenti, i quali probabilmente necessitavano di un frequente apporto idrico. Piero Meloni descrive, nella Sardegna alle soglie del II sec. d.C, una situazione composta da grossi latifondi, facenti capo ad una grossa villa, fulcri della ricchezza agricola, in cui i lavoratori, liberi o schiavi, vivevano talvolta sparsi in borgate (i vici), contornanti gli edifici principali[6]: una breve e sintetica descrizione che pare riassumere egregiamente la situazione antropica ottanese correlabile con il decentramento di insediamenti e manufatti di epoca imperiale rinvenuti nel territorio comunale[7]. Possiamo pensare che da insediamenti e latifondi come quelli ottanesi la ricchezza (risorse alimentari) fluisse verso la città mentre i numerosi centri minori, compresi quelli locali, documentano, in età severiana, un intenso rinnovamento edilizio[8]. In particolare sotto i Severi (197-235 d.C)[9], secondo Meloni, vengono riattati edifici e opere pubbliche di notevole impegno quali terme e acquedotti accanto a officine e abitazioni private signorili. Le ricognizioni da me effettuate nei mesi di Marzo e Aprile 2014 inducono a inquadrare cronologicamente proprio in questo periodo, di intenso rinnovamento edilizio[10], l'edificio di pianta quadrangolare denominato S'Ortu e sos Vanzos, o perlomeno la sua ristrutturazione[11], individuabile in regione Santa Margaida. Le ricognizioni hanno portato alla riscoperta di una struttura evidente, rimasta per secoli ignorata o incompresa, dando il via ad un'indagine con la quale ho voluto riesaminare, dal punto di vista topografico e sulla base dei dati attualmente disponibili in letteratura, la questione relativa a quella che fu, probabilmente, la principale rete di approvvigionamento idrico dell'insediamento ottanese. La struttura, residuo di una piscina limaria inserita in un acquedotto, appare interrata per metà e composta da un basamento[12] in opera quadrata di blocchi litici, sopra il quale venne posta una muratura realizzata in opera cementizia e rifinita esternamente con opera laterizia[13]. La parte soprastante la costruzione - resa anch'essa in opera cementizia - risulta essere la piscina vera e propria, in cui si depositavano impurità e limi, rifinita da un intonaco in cocciopesto in grado di  garantire un'efficiente impermeabilizzazione[14]. Nei fianchi settentrionale e meridionale della piscina residuano, impermeabilizzate da terracotta, le canalette di adduzione e di fuoriuscita dell'acqua; così come doveva essere impermeabilizzato il fondo della piscina stessa, costituito tuttora da ampie lastre in terracotta visibili solo esternamente. Tuttora non risulta ancora visibile il muro interno trasversale, tanto da far supporre la sua inesistenza. Una riflessione sul posizionamento delle canale di adduzione e di svuotamento spinge a ipotizzare che lo sviluppo dell'acquedotto fosse a 35° circa di azimuth rispetto alla piscina, infatti pare di notare che l'edificio quadrangolare si estenda lungo quest'asse. Il complesso di Vanzos risulta inoltre attorniato da tratti murari parzialmente interrati, supposti, da precedenti studi, come pertinenti alla struttura principale[15], uno dei quali è indicato dalla memoria storica come Su Cantaru. Questo, coincidente secondo quanto riporta la tradizione ad un pozzo di acqua salubre attivo sino a pochi decenni fa, è l'elemento maggiormente indiziato - pur non mostrando una resa in opera cementizia vera e propria e non essendovi elementi che permettono di comprendere come tale manufatto supportasse un'eventuale canalizzazione - di essere il residuo di un piedritto dell'antico acquedotto nel quale si inseriva la piscina limaria.
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Ricostruzione dell speco e della piscina secondo S. Vannuzzi
L'indagine dei massi disseminati nel terreno e accumulati in prossimità della struttura mostra la presenza di residui calcinosi e cementizi in quantità tale da far ipotizzare che si tratti della risulta dei piedritti e delle arcate del sistema idrico, su cui poggiava lo speco, andati in disfacimento. In conclusione mi sento di esprimere che i resti attualmente visibili e attribuibili al passaggio dell'acquedotto sono esigui e mal conservati, ne scaturisce che ogni possibile ricostruzione basata su indagini a carattere territoriale deve considerarsi del tutto preliminare in attesa che si compiano ulteriori e specifiche indagini, possibilmente suffragate da dati di scavo.  


[1]              S.Barca, L.Carmignani, G. Oggiano, P.C. Pertusati, I. Salvadori, Carta geologica della Sardegna scala 1:200000, (a cura di) Comitato per il coordinamento della Carta Geologica e Geotematica della Sardegna,
[2]              Maria Antonietta DESSENA – Giuseppe BIANCO, Analisi ambientale del comune di Ottana, in Ottana Archeologia e territorio, Giuseppe TANDA (a cura di), Stampato Studiostampa, Nuoro maggio 1990, pag. 17
[3]              Antonio Maria CORDA, L'Età romana, in Ottana Archeologia e territorio, Giuseppe TANDA (a cura di), Stampato Studiostampa, Nuoro maggio 1990, pag. 88
[4]              Anna DEPALMAS, Schede dei monumenti, in Ottana Archeologia e territorio, Giuseppe TANDA (a cura di), Stampato Studiostampa, Nuoro maggio 1990, pagg. 192-193
[5]              Si ringrazia calorosamente il Sindaco di Ottana (NU) GianPaolo MARRAS per il supporto tecnico e per la spiccata sensibilità alla promozione culturale mostrata infinite volte
[6]              Piero MELONI, La Sardegna romana, Edizioni Chiarella, Sassari 1980, pag. 152
[7]              Antonio Maria CORDA, L'Età romana, in Ottana Archeologia e territorio, Giuseppe TANDA (a cura di), Stampato Studiostampa, Nuoro maggio 1990, pag. 88
[8]              Piero MELONI, La Sardegna romana, Edizioni Chiarella, Sassari 1980, pag. 152
[9]              Giovanni GERACI- Arnaldo MARCONE, Storia romana, Edizioni Le Monnier Università, Firenze 2004, pag. 224
[10]             Sostanzialmente per il rispetto della letteratura ancora non confutata
[11]             Infatti lo studio delle opere di induzione delle acque nella penisola suggerisce, con forti richiami non trascurabili, un'epoca compresa tra il II sec. a.C. e il I sec. a.C.
[12]             Si ipotizza, in assenza di sondaggi, che possa essere essere persino un rivestimento in opera quadrata di blocchi di tufo che rifascia un pilastro di calcestruzzo, elemento con riscontri stringenti con l'Aqua Marcia, lungo la Via Appia, l'acquedotto fatto costruire dal  pretore urbano Q. Marcius Rex nel 144 a.C.
[13]             Chiara RAGAZZONI, Indagine sugli acquedotti di Roma antica in ambiente GIS, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Roma 2011, pag.91
[14]             Durdica BACCIU, L'Urbanistica di Olbia in età romana, Tesi di Laurea, Università degli studi di Sassari – Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di laurea in beni storico-artistici e archeologici, Anno accademico 2007/2008 , relatore Gian Piero Pianu, pag. 29
[15]             Anna DEPALMAS, Schede dei monumenti, in Ottana Archeologia e territorio, Giuseppe TANDA (a cura di), Stampato Studiostampa, Nuoro maggio 1990, pagg. 192-193

mercoledì 23 marzo 2016

La Dea Madre - Quando Dio era femmina by Cartesensibili

di Cartesensibili

 LA DEA MADRE – QUANDO DIO ERA FEMMINA

Fino a circa 30.000 anni fa Dio non esisteva. Erano ormai quasi due milioni di anni che l’essere umano calpestava il suolo del pianeta Terra, vivendo e morendo da solo. La prima idea della possibilità di “un qualcosa dopo la morte” appare solamente 90.000 anni fa, e ce ne vollero altri 60.000 perché il concetto di “Dio” apparisse nella cultura umana, ma attenzione: quel Dio era femmina!
Dea Madre- Turchia, Museo di Ankara
dea madre
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Come mai l’essere supremo ci ha lasciati per quasi due milioni di anni, cioè dall’evoluzione dell’ Australopitecus, del tutto soli? Senza il conforto di poterci rivolgere a Lui, senza i riti e le direttive morali che più tardi le varie religioni hanno affermato essere indispensabili per la salvezza eterna? E poi ancora, a quale dio rivolgerci? Forse al buon vecchio di barba bianca della tradizione classica cattolica? O forse al non rappresentabile di ebraica ed islamica tradizione? O magari ai rissosi ed umanissimi dei della classicità greco-romana? Una cosa è certa, questo supposto essere superiore è rimasto muto ed assente per più del 90% della nostra presenza sulla Terra. Quando, poi, il concetto di “Dio” cominciò ad apparire tra gli umani, esso era ben diverso dall’attuale: il primo dio era femmina; questo è abbastanza naturale da comprendere perché se Dio è il creatore di tutto, chi meglio di una donna può rappresentare la creazione della vita ed assurgere a simbolo creativo per eccellenza? Chi meglio di lei può prendersi cura delle sue creature, cosi come una madre allatta e si prende cura della sua prole? Fu solo successivamente, con l’avvento dell’agricoltura e l’abbandono della vita nomade che il concetto di Dio iniziò a cambiare. Ci fu quasi un colpo di stato da parte del dio maschile contro la sua antagonista femminile, cosa che relegò le donne, da allora sino ad oggi, in posizione soggiogata e socialmente inferiore rispetto agli uomini. All’inizio del Tempo non c’erano Eroi, ma solo Lei.
Gozo- Museo archeologico
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Eva/Serpente, la Dea Madre generatrice del mondo e del cielo, del giorno e della notte. Madre del Creato, concedeva la vita e portava la morte, e nessuno si sorprendeva se, ogni tanto, divorava i suoi figli e beveva il loro sangue. Era fatta così, Eva. Nessuno si sognava di dire che fosse cattiva – anche se, ne sono certa, qualcuno l’avrà maledetta e bestemmiata nel suo idioma preistorico di fronte all’ennesima sciagura che la Natura gli infliggeva. Eva governava il ciclo della vita e della morte senza né saggezza né crudeltà, secondo un ordine cosmico che dalla Terra ci faceva nascere e alla terra ci faceva tornare, in un ciclo senza fine. L’uomo era parte dello spirito della Terra. Proprio perché Madre Terra – per questo chiamata Gea dai Greci – la Dea Madre è stata simboleggiata con il Serpente, l’animale che sulla Terra è adagiato, quasi compenetrato in essa. Eva era multiforme: donna e serpente, dunque, materna e assassina, solare e lunare allo stesso tempo. Le popolazioni di tutto il globo che la veneravano, con una sorprendente similitudine da un estremo all’altro del pianeta – andate a vedere ancora oggi la simbologia della Dea Madre e del serpente tra i nativi dell’isola di Pasqua – erano fondamentalmente pacifiche, tolleranti, basate su sistemi matriarcali. La religione maschilista c’impone di conquistare le cose con il sudore, il dolore, il sangue.
La forma dei templi preistorici di Malta era espressamente intesa a rappresentare il corpo della Dea Madre.
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LA DEA MADRE NON È MAI STATA SCONFITTA
La Dea Madre tuttavia non è mai stata sconfitta modo permanente.
Nonostante le ferree leggi imposte dal Dio Padre ai suoi seguaci, immutabili da millenni. Eppure, anche nelle nostre culture patriarcali, la Dea Madre non è stata sconfitta del tutto. Il Vecchio Testamento ce la presenta proprio nella sua forma originaria, Eva/Serpente. Più tardi, Iside ha trasportato in sé miti e forme dell’antica Madre, inclusa la sua bivalenza solare/lunare anche se modificata dalla solo apparente dicotomia Iside (luna)/ Osiride (sole). E Iside a sua volta ha influenzato la mitologia della Madonna, sublime Madre, punto di contatto tra il divino e l’umano (è donna, ma il frutto del ventre suo è  l’umanità tutta.
Le prime vestigia della divinità femminile per eccellenza, la Dea Madre, appaiono già 25.000 anni fa, in ogni angolo del globo. Con il passare dei secoli, ogni civiltà le attribuì nomi diversi, glorificandola come unica fonte di vita dell’intero Universo. Era la triplice Morrigan per i Celti, Isis per gli egiziani, Maka per gli antichi popoli Maya e Atzechi, Kali per gli Indiani, Lilith per gli Ebrei, Ishtar per i Sumeri e i popoli accadici; e la lista potrebbe continuare all’infinito. Con l’avvento del Cristianesimo, i padri della chiesa si sono adoperati (senza peraltro riuscirci appieno)  per cancellare traccia della presenza della Dea Madre, quando una società matriarcale risultava scomoda e faceva paura. La storia ci dice che il culto cristiano si è impossessato di tutti i nomi della Dea Madre, dei suoi attributi, le cerimonie, i riti e le festività, i suoi templi e, con il passare del tempo, i suoi archetipi sono stati rimodellati sulla figura di una sola entità femminile, la Vergine Maria. Durante il Medioevo migliaia di donne innocenti vennero arse vive sui roghi dell’Inquisizione con l’accusa di stregoneria, semplicemente per aver seguito le vie della Dea, o per aver messo a frutto le loro doti di guaritrici e druide. In verità, l’adorazione dell’elemento femminile possiede radici molto  antiche.
La Venere di Laussel (Dordogna, Francia, 43 cm), del Gravettiano circa 23.000 aC, trovata all’entrata di una grotta cerimoniale. Originariamente era dipinta in rosso, colore sacro del sangue e della vita. Nella mano destra regge un corno di bisonte a forma di falce di luna, con 13 segni incisi a simboleggiare i giorni della luna crescente e calante (più un giorno di luna piena e uno di luna nuova) ed i 13 mesi dell’anno lunare. La mano sinistra poggiata sul ventre indica la relazione fra il ciclo lunare e quello della fecondità femminile
“Quanto all’ordine che ci hai comunicato in nome del Signore, noi non ti vogliamo dare ascolto; anzi decisamente eseguiremo tutto ciò che abbiamo promesso, cioè bruceremo incenso alla Regina del cielo e le offriremo libagioni come abbiamo già fatto noi, i nostri padri, i nostri re e i nostri capi nelle città di Giuda e per le strade di Gerusalemme. Allora avevamo pane in abbondanza, eravamo felici e non vedemmo alcuna sventura; ma da quando abbiamo cessato di bruciare incenso alla Regina del cielo e di offrirle libazioni, abbiamo sofferto carestia di tutto e siamo stati sterminati dalla spada e dalla fame” (Geremia, 44, 16-18). Nel Vangelo di Tommaso Gesù dice:
“Chiunque bestemmia contro il Padre sarà perdonato, e chiunque bestemmia contro il figlio sarà perdonato, ma chiunque bestemmia contro la madre non sarà perdonato, né sulla terra né in cielo.” (ricordate che la ruah o sophia in ebraico è di genere femminile). La dea è sempre TRIPLICE – trinità, è una in tre, e viene rappresentata iconograficamente dalla Luna: Luna crescente, la vergine, giovane fanciulla, luna piena la madre, colei che dispensa la vita Luna calante la vecchia, la menopausa, la saggezza, la morte. Molti i simboli che la rappresentano, il cerchio, la conchiglia, la spirale, il labirinto, l’acqua, il vaso e per estensione il Graal, che sembra sia l’espressione del corpo della Madre che contiene la vita. Sacro era il sangue mestruale, legato alla simbologia lunare dei 28 gg; nel paleolitico i defunti venivano colorari d’ocra rossa, a simboleggiarne la rinascita. Il tema della sacralità del sangue è ripresa anche dal ebraismo –cristianesimo : “non nutritevi e non versate sangue perché in esso è la vita”. Sempre riferendosi al periodo assiro-babilonese-egiziano, le sacerdotesse dedicate alla madre, vestivano di rosso, simbolo del sangue; erano vergini e prostitute, perché la madre è tutto ciò: vergine all’inizio e poi prostituta per poter dare la vita.
Il mito biblico condensa anche altri elementi, svolti invece apertamente dal mito greco, che furono sovrapposti a posteriori sul mito originale. Per esempio, l’albero prodigioso, come regalo di nozze per Era. La prima coppia, Adamo ed Eva, vengono messi nel giardino e viene presentato loro l’albero, come fosse un regalo di nozze. Eva è colei che coglie il pomo, implicazione che a priori i frutti erano stati creati per lei: il frutto, che come sostiene Freud è il simbolo del corpo stesso della donna, è anche quello che porterà nel ventre, nella sua veste di dea della fertilità. Vediamo così che tutta la scena che si svolge nel giardino dell’Eden ha per protagonisti solo Eva, il serpente e l’albero dai frutti proibiti, come nel mito accadico – sumero e in quello greco. Solo dopo viene invitato Adamo, per continuare in un’altra scena quella che è la condensazione di un’altra fase del mito.
Eva è colei che colloquia col serpente e coglie il frutto proibito, come nel mito delle Esperidi, dove non c’è traccia di nessuna divinità maschile, e le dee sono sole nel giardino con il “loro serpente” Ladone. Come Inanna, la dea sumerica, il suo giardino e il serpente che aveva nidificato dentro l’albero e le impediva di avvicinarsi, strumento a difesa del suo corpo stesso. È lei la protagonista principale, e tutte le elaborazioni posteriori dei commentatori rabbinici, permeate di forti tendenze misogine, non riescono a mascherare la centralità della nostra madre primigenia in questa scena del mito biblico.
Mentre Gea e le sue sostitute, tipo Rhea e Cibele, personificavano la Terra in quanto tale, Demetra rappresentava nello specifico la terra fertile. Il suo nome viene fatto risalire a “Ge Meter”, Madre Terra. Era in particolare dea dei cereali, ma in quanto Dea della Terra la sua influenza toccava anche il mondo sotterraneo sotto il suo altro aspetto di Persefone, sua figlia. Nel suo santuario speciale di Eleusi, vicino al suo tempio, il sacro recinto della grotta di Ade era ritenuto l’ultima tappa del viaggio di Persefone nel mondo sotterraneo.

Questo mito, che è il corrispondente ebraico del culto della Grande Madre o Madre degli dei , è senz’altro il più arcaico, come dimostra l’assenza di Adamo dai versetti che lo trattano (Gn.3,1-5). La tradizione rabbinica e cristiana fanno di Eva la responsabile del peccato, ma quello che il testo intende suggerirci è che tutto il colloquio, tra la nostra progenitrice e il serpente, allude a un mondo creato dalla Madre Terra in cui questa è la protagonista, la fonte e l’oggetto di tutte le pulsioni erotiche. I versetti che trattano del “love affair” tra Eva e il serpente (Gn. 3,1-6), avrebbero potuto, o dovuto, aprire il racconto del mito della creazione, come nella cosmogonia babilonese, egizia e greca in cui ogni creazione ebbe inizio dalla Terra o dalle acque, ovvero, da un elemento primordiale dalla connotazione femminile.Anche il nome Adamo, dall’ebraico adamah, terra, allude alla nascita da una dea Madre Terra. Tutto allude a questo primo strato del mito ebraico, che fu poi sterilizzato dal redattore e soppiantato dalla versione iahvistica della creazione del mondo come prodotto della creazione di un dio padre.
michelangelo buonarroti
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 Se, nel mito greco, l’albero dai pomi d’oro appartiene alle Esperidi, altra triade di dee preolimpiche la cui identità è estremamente confusa, ma che simboleggiano in un’altra maniera la donna come prodotto delle fantasie più arcaiche, appartiene ad Era, simbolo di madre e sposa, ed appartiene ad Afrodite, simbolo dell’amore e dell’erotismo, nel mito ebraico Eva condensa in sé tutte queste figure femminili. Il mito biblico è così condensato che, per trovare allusioni ad altri aspetti della figura di Eva, dobbiamo cercare in quelle leggende ebraiche che il redattore finale del Pentateuco non trascrisse, preso com’era dallo zelo monoteistico e anti-pagano, pur essendo talvolta le più arcaiche e le più adatte a svelare il contesto mentale delle tribù ebraiche. Gli Egiziani sono i primi che ritennero come pratica religiosa di non aver contatto con donne nei templi e di non entrarvi, dopo il contatto, senz’essersi lavati. Quasi tutti, invece, gli altri uomini, eccetto Egiziani e greci, si uniscono alle donne nell’interno dei templi.
Con le parole di Erodoto (Hist.,II.64), “…gli altri uomini, eccetto Egiziani e greci, si uniscono alle donne nell’interno dei templi”.
È strano che proprio i greci abbiano sentito il bisogno di elevare la verginità a modello, proprio loro che uscirono dalla struttura mentale tribale, con le sue restrizioni e compressioni, e poterono così risolvere la tensione libidinosa in uno sfogo pulsionale estroverso, sgombrando la strada alla permissività sessuale, alla tolleranza e alla rappresentazione del corpo nudo come modello di bellezza e perfezione al punto di elevarlo a valore religioso. Essi, a differenza degli altri uomini, non si uniscono alle donne all’interno dei templi. Ai templi era riservato l’altro polo, quello della verginità. Nell’Oriente semitico non esiste il mito della verginità. Tutte le dee falliche sono dee della fertilità e prostitute sacre. Asherah (palo sacro) adorata anticamente dagli ebrei, era la “Creatrice degli Dei” ed era rappresentata come una prostituta nuda, chiamata “Santità” (Julius Wellhausen, Prolegomena to the History of Ancient Israel, The Meridian Library, New York 1957, p.447)

Disegno ed iscrizione dal pithos A di Kuntillet `Ajrud (prima metà VIII sec.a.C.) Il disegno è stato ritrovato sui frammenti ceramici di un pithos venuto alla luce tra le rovine di Kuntillet `Ajrud (caravanserraglio? fortezza? centro di carattere religioso?) nel deserto del Sinai, durante la campagna di scavi del 1975-1976. L’iscrizione sopra la testa della figura umana recita:L. 1: ’MR ’[ŠYW] H[ML]K. ’MR LYHL[L’] WLY‘WŠH W[ ] BRKT ’TKM; L. 2: LYHWH ŠMRN WL’ŠRTH
 “Dice ’[šyhw?] [il re?]: di’ a Yhl[…] e a Yw‘šh e […] vi benedico
da parte di Yhwh di Samaria e della sua Ašerah”

Asherah

.
Per i semiti il pene femminile non solo non era tabù, ma era la rappresentazione scenica della fase immediatamente precedente la deflorazione, come la verginità di Eva e il suo colloquio con il serpente sono la rappresentazione scenica precedente la cacciata dal Paradiso Terrestre, e quest’ultima rappresenta l’atto di stupro – deflorazione – evirazione. Le dee occidentali consideravano la verginità un privilegio che poteva essere concesso da Zeus per meriti speciali, come nel mito di Estia (K.Kerenyi, Gli Dei della Grecia, p.83), figlia di Crono e di Rea, che poté rifiutarsi ad Apollo. Vediamo come le dee vergini si difendono, e si vendicano ferocemente degli uomini che tentano di deflorarle, cioè di evirarle. I greci, che nella vita giornaliera hanno come modello la permissività sessuale, si creano un modello alternativo che faccia da compensazione, e ristabilisca l’equivalenza di valori in un equilibrio ideale, e creano il mito della verginità. La dea da loro più venerata, insieme ad Afrodite, era Pallade Atena, e queste erano i due poli di un’unica equivalenza.
VERGINITÀ E MATERNITÀ
Atena era considerata Parthenos, vergine, ma veniva invocata nello stesso tempo anche come Meter, madre. Vi è una strana storia sulle sue nozze, in cui essa non perdette la verginità, ma dopo le quali affida ugualmente un bambino alle figlie di Cecrope, re della sua amata città di Atene È difficile non notare la somiglianza tra questa storia e il mito cristiano del parto verginale di Maria. Anche la Grande Madre degli Dei dell’Asia Minore veniva denominata dai greci ”La Grande Artemide”. La Diana di Efeso era rappresentata con numerose mammelle ed era denominata Artemis polymastos, la madre universale che allatta l’intera umanità.
L’ARTEMIDE DI EFESO
L’identificazione di Artemide con la Vergine riceve conferma dal fatto che a Efeso, dove era considerato cardinale il culto di Artemide-Diana, sorse la prima grande basilica in onore di Maria, al posto del grande tempio di Artemide che era considerato una della meraviglie del mondo antico. Quindi vediamo come le due grandi dee vergini del mondo greco Artemide e Pallade Atena fossero entrambi contemporaneamente “Grandi Vergini” e “Grandi Madri”.

                                                                                                                        Artemide di Efeso
In Occidente la maternità, invece di essere legata al concetto di copulazione come sarebbe logico aspettarsi, è legata al concetto di verginità. Afrodite non fu una vera dea-Madre e anche Era, la regina degli dei, era più associata al concetto di moglie che di madre. I greci non solo separarono tra le due funzioni, quella di madre e di amante, ma le resero antitetiche: la maternità viene associata alla verginità. Delle tre dee falliche, Atena, Artemide, Persefone, le prime due rimasero vergini e diventarono Grandi Madri, mentre la terza fu deflorata, e divenne dea degli Inferi, cioè dei morti invece che dei vivi. L’equazione diventa ora chiara: verginità = maternità = vita, mentre invece deflorazione = morte. Il cristianesimo ha accentuato questa chiave di lettura, ma come abbiamo visto esisteva inequivocabilmente già nel mondo greco-romano. La Vergine è madre e partorisce il Dio della vita, ovvero, partorisce Dio grazie alla sua verginità. In Occidente l’implicazione che il rapporto sessuale sia di per sé peccato, porta alla morte e alla dannazione. Questa equivalenza: copulazione = peccato = morte è una delle equivalenze base della cultura occidentale. L’Occidente non ebbe bisogno di imparare il concetto di peccato dai giudei, come pensa erroneamente Nietzsche. Questo concetto esisteva in forma embrionale, ma ben definita, all’interno della propria cultura. Nel momento di crisi questo concetto di peccato prese il primato su quello di permissività sessuale, che i greci gli avevano istituito accanto. Una cultura può attingere solo da se stessa. Il contatto con altre civiltà può al massimo stimolare la ricerca di soluzioni verso una direzione piuttosto che un’altra. Il contatto dell’Occidente con i giudei, in un momento di crisi esistenziale, servì da ispirazione a rivolgersi verso quei modelli, che erano però già stati elaborati in maniera autoctona. È piuttosto il caso di pensare che l’influenza sia avvenuta in direzione opposta, e che sia stata l’influenza ellenica a penetrare la cultura ebraica con concetti come l’immortalità dell’anima, il mondo dell’aldilà, il castigo e la retribuzione di peccati e meriti dopo la morte, quando queste culture entrarono in contatto fra di loro. Tutti i concetti di filosofia e di metafisica sono infatti estranei all’ebraismo. Come abbiamo visto, la condensazione simbolica, nel mito come nel sogno, è estremamente precisa. Dopo averlo trattato sommariamente, riassumeremo ed esamineremo ora più da vicino il simbolismo che accompagna il mito di Persefone. La dea, che faceva parte della triade di dee olimpiche vergini, insieme ad Atena e Artemide, e quindi avrebbe dovuto avere anche lei un’arma come il pene apotropaico; ma poichè fu rapita e deflorata questo simbolo venne soppresso. In certe rappresentazioni le viene restituito l’arcaico serpente pre-olimpico, ma diventò l’unica dea occidentale, non vergine, ad essere accompagnata da un simbolo fallico. L’allusione è che fosse deflorata ma vergine allo stesso tempo, la condensazione di due opposti. Infatti, nel mito come nel sogno, non esiste il principio di non-contraddizione. Il mito stesso ci racconta di una dea che, malgrado apparentemente deflorata da Ades, dalle parole di Kerenyi rimane vergine-sterile. Il mito orfico secondo il quale Zeus si sarebbe unito alla dea nelle spoglie di un serpente e da questa unione sarebbe nato Dioniso, non allude a un’unione eterosessuale, bensì Zeus nelle vesti di serpente rappresenta il pene verginale di Persefone, come il serpente che colloquiava con Eva nel Paradiso Terrestre. Lo Zeus dei miti orfici, di cui questa storia fa parte, oltre ad essere dio del cielo e delle sfere superiori, era anche detto Zeus Katachthonios o Chthonios, era cioè anche uno Zeus sotterraneo e questo, a sua volta, non era che un altro nome per Ades. Quando si parla di un “altro Zeus”, “dell’ospitale Zeus dei defunti”, s’intende immancabilmente Ades e l’unione rappresenta più l’unione simbolica con uno spirito che con il Zeus olimpico, di cui conosciamo così bene le altre avventure romantiche che si concedeva. A questo proposito è molto illuminante riportare una credenza diffusa nella tribù australiana degli Arunta, che abolisce la connessione esistente tra atto sessuale e concepimento. Quando una donna si sente madre, ciò significa che uno degli spiriti che sonnecchiano in attesa di rinascere è penetrato nel suo corpo provenendo dal più vicino luogo degli spiriti, e viene partorito da lei in forma di bambino (S.Freud, “Totem e Tabù”, in op.cit., Vol. 7. pp.118-121). Il concepimento indipendente dall’atto sessuale, e per opera di uno spirito, non fu dunque un’innovazione del cristianesimo. Il mito greco stesso ne conservava le tracce dalla sua lontana preistoria. Quindi vediamo che il mito si svolge parallelamente in due strati: il primo è quello in cui la dea ha rapporti con il serpente, come simbolo del proprio pene verginale, come Eva nel mito biblico, e da questo rapporto autoerotico nasce Dioniso, mentre invece dal rapporto autoerotico di Eva non avviene nessuna concezione, poiché il concetto di verginità = maternità è estraneo alla mentalità semitica. In questo strato del mito di Persefone, come fantasia che si accompagna alla masturbazione, il proprio serpente-pene verginale diventa Zeus-serpente, cioè uno spirito che il mito cristiano tradurrà in Spirito Santo. Ed ecco che il colloquio autoerotico di Eva con il suo serpente trova il suo corrispondente nel «colloquio» di Persefone con Zeus-serpente. A differenza del mito semitico, dove Asherah, la prostituta nuda, è madre di tutti gli dei, e Eva, la Grande Madre delle tribù ebraiche, diventa tale dopo che suo marito la «conobbe», la Grande Madre occidentale diventa tale solo rimanendo allo stadio autoerotico, vergine, alla pari di Atena e Artemide, le altre due Grandi Madri della mitologia occidentale. Il secondo strato è quello in cui ha rapporti con Ades, che non è che la versione arcaica di Zeus, che porta alla sua deflorazione e perdizione, dopo la quale però rimane sterile. Il mito qui non è chiaro, poiché più che di rapporti con Ades si parla del suo ratto mentre stava cogliendo fiori. La sua de-florazione è implicata solo da questo simbolismo e forse il mito intende una deflorazione simbolica come equivalenza della sua verginità: la condensazione dei due opposti in uno, una dea che sia vergine che deflorata, e quindi condannata agli Inferi allo stesso tempo. La condanna agli Inferi è parziale: una parte del tempo con lo sposo e una parte con la madre, come dire metà vergine e metà deflorata. Anche dopo il suo «rapporto» con Zeus-serpente la dea rimase vergine e il suo fu un parto verginale come quello di Atena e della Vergine Maria. Anche il fatto che da esso nacque Dioniso, il dio destinato a morire dilaniato dai Titani e a risorgere (K.Kerenyi, ibidem, p.210), allude al mito cristiano dove la dea vergine partorì un dio destinato a morire di una morte violenta e tragica e poi a risorgere. Il mito di Persefone contiene tutti gli elementi principali del mito biblico: i rapporti autoerotici di Eva con il serpente (Zeus-serpente per Persefone) e deflorazione da parte di Adamo (Ades per Persefone) dopo la cacciata dall’Eden, ma a differenza del mito semitico dove ogni concezione è preceduta da un atto di deflorazione-evirazione di carattere eterosessuale, Persefone concepisce Dioniso come conseguenza del rapporto con uno spirito, cioè come conseguenza di un rapporto autoerotico. Dopo il rapporto autoerotico con Zeus-serpente partorisce Dioniso, mentre dopo il rapporto-deflorazione con Ades rimane sterile, quindi non dal suo rapporto eterosessuale con Ades concepisce e partorisce bensì, al contrario, da questo rapporto «non ne nasce nulla». La deflorazione corrisponde alla cacciata dall’Eden per Eva, e per Persefone corrisponderà alla condanna agli Inferi. In entrambi i casi, dopo il rapporto autoerotico avviene la deflorazione-evirazione del rapporto eterosessuale, come il susseguirsi di due stadi inevitabili nell’evoluzione della donna, in cui il secondo allude a una conseguenza e un castigo per il primo. Le differenze tra il mito greco, che continuerà a sussistere quasi invariato nel cristianesimo, e il mito ebraico, sono le seguenti:
1) Persefone, malgrado la sua apparente deflorazione per mano di Ades, rimarrà essenzialmente una dea vergine (sterile, secondo Kerenyi) e la sua concezione di Dioniso da Zeus-serpente una concezione immacolata, mentre Eva, dopo la sua cacciata-deflorazione-evirazione dal Paradiso Terrestre partorì Caino, Abele e figli e figlie, e diventò la Madre di tutti i viventi attraverso il rapporto eterosessuale e il parto.
2) Nel mito ebraico non esiste allusione alcuna alla Santa Trinità
3) Nel mito ebraico non esistono allusioni al culto del Bambino, che sembra più un culto radicato nel modus mentale indoeuropeo, come in India.
Persefone sarà la dea della fertilità occidentale come Eva lo era stata per le antiche tribù ebraiche. Un’ulteriore allusione alla sua natura di dea della fertilità si trova sia nelle sue radici, sia nel ruolo che adempie nel mito dopo essere stata rapita. Ella è figlia di Demetra, dea delle messi, e attraverso la sua discesa e salita dagli Inferi, rappresenta il cambiamento delle stagioni, che permette la semina e il raccolto. Il mito occidentale ha sviluppato dal primario concetto della fertilità, intesa come prolificazione, il concetto di fertilità, nel senso di produzione agricola e fertilità della terra, come era successo precedentemente nel Medio Oriente, quando le tribù seminomadi del periodo calcolitico erano diventate residenti fissi e si erano costituite nelle grandi civiltà del fertile crescente: Sumeri, Egizi, i Babilonesi, Fenici e Cananei. L’arcaico senso di fertilità, intesa come prolificazione, fu tradotto in culti della fertilità della terra. In Babilonia, in Siria e in Palestina, il dio Tammuz moriva all’inizio della primavera per risorgere con le prime piogge, ricalcando il molto più antico culto sumerico di Inanna-Dumuzi. I Sumeri erano infatti stati i primi a costituirsi a civiltà, in concomitanza agli Egizi, per i quali gli stessi culti di morte e resurrezione venivano personificati nel culto di Osiris. Questi giovani dei venivano pianti dalle madri che avevano perso il loro amante: Inanna, Isthar-Astarte, Iside, che diventarono dee della fertilità dei loro popoli. In Mesopotamia e Siria-Palestina erano prostitute sacre. Fino al sesto secolo a.C. questo culto veniva perpetrato anche nel tempio di Gerusalemme, con grande disappunto dei profeti: “Mi condusse all’ingresso del portico della casa del Signore che guarda a settentrione e vidi donne sedute che piangevano Tammuz” (Ezechiele 8,13). Persefone non sarà mai una prostituta sacra poiché, come abbiamo visto, la psiche occidentale sviluppò altri bisogni, ma mantenne quello strano serpente enigmatico: lei non più vergine (forse) e mai prostituta sacra.
Prima dell’avvento del monoteismo, la religione del mondo antico era politeistica, animistica e sciamanica.La religione della gente celta, germanica, baltica e di Slava, che ha abitato Europa prima dell’era cristiana, così come quella dei Greci e dell’altra gente mediterranea,era animistica: gli dei ed le dee, le intelligenze viventi della natura, erano percepiti ed adorati nei boschetti , nella foresta, in zone sacre sulle parti superiori della montagna e nei cerchi di pietra grandi. Oltre che i dei e le dee c’ erano altri esseri connessi con la natura, che non erano umani, ma certamente superiori agli esseri umani tali da meritarsi del rispetto, quali i giganti ed i nani, gli elfi ed i trolls, le fate, gli gnomes, le crisalidi, le sirene .Questi esseri potevano essere invocati da chiunque fosse disposto a seguire la via insegnata dagli sciamani e dai loro successori le streghe, le donne sagge, usando le piante e le pietre magiche, canti, balli e rituali.
Questa è la religione della natura che è stata eliminata dal monoteismo cristiano durante i secoli primissimi della nostra era. Gli dei di Pagani sono stati demonizzati o si ne negata la loro esistenza. Coloro che seguono la vecchia religione della natura sono stati marcati come “pagani”, che originalmente significa semplicemente “gli abitanti del paese” o “abitanti della brughiera”. Alcuni degli dei pagani sono stati assorbiti dal credo cristiano, poichè alcuni posti sacri tradizionali sono divenuti sedi di santuari e chiese. Sotto l’influenza del monoteismo del giudeo-Cristiano il genere di consapevolezza, diretta delle presenze spirituali della natura, che i nostri antenati pagani hanno onorato, è stato perso gradualmente. Come William Blake ha detto, “gli uomini si sono dimenticati così, che tutti gli dei vivono all’interno del seno umano.”
LE MADONNE NERE
Ci sono circa 500 immagini della vergine nera in varie chiese in Europa. Fra le più note ci sono quelle nella cattedrale di Chartres in Francia, della Polonia in Czestochowa, della Svizzera a Einsiedeln, vicino a Zurigo, il Muttergottes (“madre del dio”) in Altötting, vicino a München, in Baviera, e quello in Loreto, Italia. Questi santuari della Madonna nera sono fra i posti più visitati nella cristianità.

Madonna nera di loreto

Anche godendo del riconoscimento popolare, le immagini della Madonna nera sono una fonte di un certo imbarazzo per la chiesa cattolica. Solitamente, le guide turistiche non fanno riferimento al colore; o quando provano a spiegarlo si va dai riferimenti dell’effetto d’annerimento nei secoli del fumo dalle candele e dei bruciatori di incenso. Occasionalmente, ci sono riferimenti al cantico dell’antico testamento di Salomone, in cui la regina di Saba, canta: “sono nera, ma sono bella.”
La vergine nera è stata identificata con parecchie delle dee delle culture pre-patriarcali antiche: Cibele del Medio Oriente mediterraneo, Inanna sumerica, Anath siriana, Lilith ebraica, Kali indiana, Diana e delle dee egiziane Neith e naturalmente Isis. Nelle culture d’adorazione della vecchia Europa e del Mediterraneo pre-patriarcale , il nero era il colore di fertilità e dell’abbondanza, come il terreno nero ricco del Nilo e di altre valli del fiume. Il bianco d’altra parte era il colore simbolico della morte e le immagini della dea associata alla morte sono state intagliate in osso o marmo. Tuttavia, per il pastori nomadi Indo-Ariani, che hanno invaso l’Europa dal quarto millennio a.c., il bianco, l’oro ed il colore giallo erano i colori della vita del sole-dio; e nero era il colore degli dei sotterranei di morte come Ade ed Ecate.
Con l’avvento della religione patriarcale del dio e, in seguito, delle tradizioni monoteistiche dei giudeo-Cristiani, la religione degli dei della natura del mondo arcaico sono state soppresse, desacralizzate e demonizzate. Il rituale sacro connesso con il culto di Inanna e di Ishtar è stato condannato come prostituzione. Lilith, che rappresentava l’autonomia sessuale femminile, la protezione del parto e dei bambini, è stata trasformata in un demone distruttivo che rubava i bambini. I preti e i teologi maschi hanno avuto buon gioco ad insistere sulle funzioni terrificanti del culto della dea, portando ad esempio i culti di Cibele, in cui i sacerdoti offrivano i loro genitali in sacrificio alla dea. Diana è diventata la dea delle streghe. È stata associata con la cristianità esoterica a partire dal dodicesimo secolo ad opera dei Templari. Tutti coloro che hanno provato a sanare la spaccatura dissociativa fra natura-eros e lo spiritualità ascetica sono stati distrutti dalla chiesa di Roma.
S’è salvata soltanto l’immagine del Madonna e del bambino nero, in sè basato sulle immagini egiziane di Isis con il bambino Horus, superstiti della distruzione misogina dei cristiani. Il culto di Isis era la religione dominante del Mediterraneo durante i periodi tardo romani ed era arrivato anche nelle terre occupate dai romani , compresa la Gallia. La città di Parigi è stata dedicata a Isis, poichè Lione era dedicata a Cibele, e Marsiglia a Artemis.

Come altre dee nere, Isis è la dea della terra, della vita e della morte. Nell’asino dorato di Apuleius, Isis parla:
“sono la natura, la madre universale, il mistero di tutti gli elementi, bambino primordiale, sovrana di tutte le cose spirituali , la regina dei morti, regina degli immortali, la singola manifestazione di tutti i dei e tutte le dee. Io sono.”
Il testo continua affermando che è identica a Cibele, Artemis, Aphrodite, Persephone, Demeter, Juno e Hecate. La dea nera della terra, compresa la Madonna nera, è stata tradizionalmente sempre invocata durante i processi naturali della vita: aiutare l’ammalato, facilitare i dolori del parto, portare la fertilità, confortare e guidare l’uomo nella morte. Ha sempre rappresentato la persistenza della Dea durante il periodo di predominanza dei culti patriarcali del dio maschio e rappresenta il bisogno di femmineo dell’animo umano, la dualità insita in ogni cosa, bene-male, notte-giorno, maschio-femmina, yang-yin. Anche il testo sacro del cristianesimo, ribadisce il concetto “dell’UNO” attraverso l’unione dei due opposti maschio e femmina, che nell’unione raggiungono la perfezione.

LA DEA MADRE – TITOLI CONFERITI A ISIDE
Abile nel calcolo, Abile nella scrittura, Abitatrice a Netru, Afrodite, Agape, Alto faro di luce, Ankhet (produttrice e dispensatrice di vita), Anqet (colei che abbraccia la terra, produttrice di fertilità nelle acque), Arbitro in faccende di amore , Aset (un modo di pronunciarne il nome egizio), Ast (un altro modo di pronunciarlo), Atena, Base del più bel triangolo, Bellicosa, Benefattrice del Tuat (gli inferi), Colei che abbraccia la terra, Colei che muove (ovvero potere che interviene), Comprensiva, Consacrata, Cornucopia di tutti i nostri beni, Corona di Ra – “Heru”, Creatrice, Creatrice dell’inondazione del Nilo, Dalla bella forma, Datrice di luce del cielo, Datrice di vita, Dea degli incroci, Dea della rugiada, Dea di tutte le dee, Dea madre di Dio, Dea madre, Dea Stella maris, Dea verde, Diadema di vita,Dea della pace, Divina, Donna trono, Dynamis, Epekoos – colei che tutto ode, Era – Iside identificata con Era, Estia – Iside identificata con Estia, Euploia – dispensatrice di buona navigazione, Figlia di Geb, Figlia di Neb- Er – Teher, Figlia di Nut, Figlia di Ra, Figlia di Seb, Figlia di Thot, Fruttificatrice, Galactotrouphousa – Iside che allatta, che concede il miracolo del latte della vita, Generatrice di monarchi, Generatrice di re, Gentile, Gioia, Gioiello del vento, Giustizia – Iside di giustizia, Grande dea, Grande dea degli inferi, Grande maga che guarisce. Grande signora, Grande signora degli inferi, Grande vergine, Grandissima, Guardiana, Guida, Guida delle Muse, Hent – Regina, Heqet – Iside grande maga, Horus femmina, Immortale, Ineffabile signora, Inventrix – inventrice delle cose, Iside – Afrodite, Iside – Afrodite – Astarte, Iside – Afrodite – Pelagia, Iside – Astarte, Iside – Fortuna – dea del fato e della fortuna, Iside – Hathor, Iside – Inanna, Iside – Nike – Iside associata alla dea della vittoria, Iside – Tyche, Khut – la dispensatrice di luce, Kourotrophos, La bella dea, Libertà, Linopeplos – Iside vestita di lino, Lochia, Luna, Lydia educatrix – Iside educatrice di Lydia, Madre degli dei, Madre dell’Horus d’oro, Madre divina, Maia, Massima degli dei, Materia, Mediatrix tra il celestiale e il terreno, Medicina Mundi – il potere che guarisce il mondo, Menouthis – questo aspetto di Iside era adorato sia a Menouthis sia ad Alessandria dove era considerata una dea dalle potenti capacità terapeutiche, Meri – Iside come dea del mare, Myrionymos – Iside dalla miriade di nomi, Iside dei diecimila nomi, Multiforme, Multinominata, Nanaia – Iside identificata con la dea Nanaia, Nascosta, Natura, Nepherses – la bella Nome del sole, Noreia – Iside identificata con la dea Noreia, Nutrice, Occhio di Ra, Onnidea, Onnimunifica, Onniricevente, Onniudente, Onnivedente, Panthea – la dea di tutte le dee, Pantocrateira l’onnigovernante, Pelagia – Iside del mare cioè protettrice di navi, Persefone, Pliaria – Iside dell’isola di Faro ad Alessandria, Phronesis – personificazione della sapienza, Placidae Reginae – la Regina della pace, Ploutodotai – Iside dispensatrice di ricchezze, Pluonumos – Iside dai molti nomi, Polyonimos – dai molti nomi, Potentissima, Potere che guarisce il mondo, Potere che sorge dal Nilo, Prima delle muse a Heropolis, Primo principio femminile in natura, Primo figlio del tempo, Pterophoros – l’Iside alata, Quella dalle grandi ali e dalla falce di luna, Quella della luna, Quella dalle lodi innumerevoli, Ra femmina, Regina del cielo, Regina della pace, Regina del sole, Regina del sud e del nord, Regina della terra, Regina d’Egitto di lino vestita, Renenet – dea del raccolto, Risurrezione e vita, Saeculi Felicitas – felicità dell’età nostra, Salvatrice, Salvatrice dell’umanità, Salvatrice di marinai, Selene – la luna, Sesheta – dea della letteratura e della biblioteca, Signora degli incantesimi, Signora dell’anno nuovo, Signora del caldo e del fuoco, Signora del mare, Signora del mondo, Signora del pane, Signora del tuono, Signora del vento del nord, Signora dell’abbondanza, Signora dell’amore, Signora delle api, Signora della bellezza, Signora della birra, Signora della casa di fuoco, Signora della crescita e del declino, Signora dell’eternità, Signora della fiamma, Signora della gioia e dell’allegria, Signora della grande casa, Signora della guerra e regola, Signora della luce, Signora della tessitura, Signora della pace, Signora della parola del principio, Signora della piramide, Signora della terra, Signora della terra delle donne, Signora della terraferma, Signora della vita, Signora delle bocche dei mari e dei fiumi, Signora delle due terre, Signora delle messi verdi, Signora delle parole di potere, Signora di ogni paese, Signora di tutti gli elementi, Signora Iside, Signora ricca di nomi, Signora sempiterna di tutte le cose, Signora su un carro a forma di fuoco, Sophia – Iside come sapienza divina, Sothis – Iside dea della stella Sothis (Sirio) e dell’ anno nuovo, Sovrana del mondo, Sposa di Dio, Sposa di Ra, Sposa del signore (Osiride), Sposa del signore dell’abisso, Sposa del signore dell’inondazione (Osiride), Trono – Iside colei che assegna il trono, Uadyet – Iside dea cobra, Una, Unica, Urthekau – colei che è in magici incantesimi, Usert – Iside dea della terra, dispensatrice di vita, Raffigurata con un manto azzurro, cosparso di stelle, una falce di luna ai piedi, la corona, mentre allatta Horus
Sono cose già sentite, cambia solo il nome…
RIFERIMENTO IN RETE:  ACNR- Associazione Culturale Nuova Ricerca
http://www.nuovaricerca.org/dea1.htm
http://memorialezikkaron.blogspot.it/2011/05/la-dea-ebraica-asherah-moglie-di-jahweh.html