ArcheOlbia guida turistica Olbia archeologia della sardegna


Associazione ArcheOlbia
Promozione e Valorizzazione dei Beni Culturali

Guida turistica - Accompagnatore turistico - Attività didattiche - Corsi di formazione - Progettazione di attività culturali

ArcheOlbia
Piazza San Simplicio c/o Basilica Minore di San Simplicio
07026 Olbia (OT)
archeolbia@gmail.com
3456328150 Durdica - 3425129458 Marcello -
3336898146 Stefano
C.F. 91039880900


“Aprire il passato significa raccontarlo. Alla comunità scientifica sì, ma soprattutto alla comunità dei cittadini cui il lavoro degli archeologi e, più in generale, degli operatori dei beni culturali deve rivolgersi.”.

domenica 27 dicembre 2020

Santu Paulu Calta - La sua storia (Arzachena)

 di Durdica Bacciu

Ph Durdica Bacciu

Agli inizi di dicembre, parlando con la cara amica Veronica Chiodino in merito ad un progetto su Rudalza, vengo a sapere che il bisnonno ha lavorato una vita presso il Rifornitore (IGM 1943), come capostazione, nella stessa località. Poi, cercando di capire un po' gli spostamenti della sua famiglia, nel passato,(in modo da capire per quali motivi avessero vissuto tra Rudalza e Arzachena) e come si chiamassero i suoi nonni, mi confermava che tutt'ora è in vita solamente il nonno, di 94 anni! Dio lo benedica. All'improvviso Veronica mi chiede: "Sei mai andata a vedere la chiesa di Paulu Calta?" - conoscendo bene le mie passioni- "No!" Le risposi, "Ti invio una storia...li c'è raccontata una vicenda legata a mio nonno". Improvvisamente si aprì un mondo mentre il racconto di Veronica continuava con "Lì vicino c'è anche uno stazzo, nonna mi aveva raccontato una storia", ecco, ora ha colpito la mia attenzione al mille per mille! 

Santu Paolu Calta:

La chiesa campestre di Santu Paolu si trova nel territorio di Arzachena in località Piredda e, secondo la tradizione fu costruita da "mastru Zappoli ed Ernesto Frau" con i manovali Salvatore Spanedda e Michele Varrucciu. La sua nascita si deve alla visione di una pia donna che avrebbe sognato il Santo sotto un bellissimo Leccio (ancora presente). Presenta una navata unica absidata. Ha un altare stile barocco in muratura, bianco con contorni celesti. Al suo interno sono custodite le statue de la Madonna del Buon Cammino  e San Paolo Eremita. Nelle pareti laterali sono conservate le statue di San Maurizio e di San Sebastiano. Presenta due ingressi, l'ingresso frontale presenta una piccola finestra a semicerchio ed è sormontata da una campanile a vela con una piccola croce. I suoi lavori sono iniziati nel 1909 e finito nel 1911, come ricorda la targa posta sull'architrave. 


Invocata a 
San Paolo Eremita

Per grazia ricevuta da San Paolo Eremita.
Il giorno 4 Dicembre 1932, il bambino Chiodino Francesco di Giovanni di anni 7 mentre si avvicina ad un gioco di buoi che mangiavano nelle apposite mangiatoie visto che un bue si aveva rovesciato la mangiatoia senza che il padre se ne fosse accorto, si avvicinava per accomodare la detta mangiatoia. Allorquando il bue si avventò al bambino infilandogli un corno in bocca e tenendolo penzoloni per aria.
Al gridare disperato del bambino, il padre esclamò invocando da San Paolo Eremita la salvezza del bambino. Infatti il corno strappò la guancia fino a qualche millimetro dall'occhio con una ferita di 20 punti. Ricoverato subito nell'ospedale militare marittimo di La Maddalena, il bambino vi rimase per ben 100 giorni, sotto le cure del colonnello medico Germani.
Invocate pertanto il gran Santo che vi salverà dai grandi pericoli !!
Il Padre del Bambino - Giovanni Chiodino
Stazzo Piccariddoni - 5 Agosto 1933

Di seguito invece vi lascio la storia dello stazzo (di Veronica Chiodino raccontata dalla nonna Giovanna Nieddu) 

 La Casa stregata

L’entroterra gallurese è ricco di luoghi misteriosi legati a fenomeni paranormali. Vecchie abitazioni diroccate e isolate sono le protagoniste di queste testimonianze ricche di misteri. Fanno da cornice ai macabri racconti i nuraghi millenari, ginepri piegati dalla furia del maestrale, le rocce granitiche dalle forme più bizzarre, quasi surreali, tanto da indurre la mente umana ad animarle e a trasformarle fantasiosamente prima in aquila, poi in una maestosa sfinge egiziana o un orso minaccioso. Storie di anime vaganti sospese tra i due mondi: l’aldilà e la vita terrena. Tutti questi elementi ruotano attorno alle vicende della casa stregata di Stazzu Muru. ‘Intorno alla fine dell’800 due fuorilegge di Silanus, appartenenti alla nobiltà tanto da meritare il titolo di “Don”, furono condannati nel loro paese per aver commesso vari omicidi e conseguentemente trasferiti nel carcere di Tempio per essere poi portati al patibolo ad Occhji ad Agghjiu. Ben presto si sparse la voce in città e tutti decantarono le qualità estetiche dei due “belli e dannati”, provocando la curiosità delle due nubili figlie del Giudice che li vollero vedere a tutti i costi. “Noi vulemu idè chisti dui cioani”. Il padre acconsentì alla visita in prigione da parte delle due giovani. L’incontro fu amore a prima vista: le ragazze rimasero folgorate dal fascino ammaliante dei due marghinesi, i quali suscitarono un magnetismo tale da indurle imperativamente a richiedere la loro grazia: “buchetini chisti da galera chi ci li spusemu noi”. Il padre, assillato dai continui capricci delle cocciute ragazze, acconsentì alla richiesta liberando i due criminali. Poco dopo, le due coppie convolarono a nozze. Il giudice era un ricco proprietario terriero e possedeva diversi stazzi in Gallura, tra i tanti quello di Muru, ubicato nei pressi della chiesetta campestre di San Paolo Carta a pochi km da Arzachena, che divenne ben presto il nido d’amore delle due improbabili coppie. I miracoli succedono di rado e la redenzione ebbe i giorni contati. Il matrimonio non fu proprio idilliaco e venne macchiato di rosso e di vendetta dai due malavitosi, che continuarono a spargere un’incessante scia di sangue commettendo diversi delitti e seppellendo le vittime vicino alla loro casa. La famiglia andò in disgrazia e dopo la morte dei delinquenti quell’abitazione divenne ben presto un luogo maledetto, infestato da anime penitenziali.’ Parte della maledizione di questo posto fu attribuita alla supposizione della presenza di “lu suiddhatu”, un tesoro composto da oro e denaro, nascosto dagli antichi. Una leggenda narra che se qualcuno avesse nascosto nella propria casa ingenti quantità di monete d’oro e poi non avesse potuto confidare il segreto ai famigliari o discendenti, il diavolo si sarebbe impossessato del patrimonio. Da allora nella stanza contenente il gruzzolo, nessuno avrebbe più ritrovato pace e riposo, perché il demonio, diventato padrone e custode di esso, si sarebbe mostrato spesso, sotto forma di diverse personificazioni terrificanti. Qualcuno provò a trovare il tesoro, passando la notte nella camera da letto di quella casa. Fu la notte peggiore della sua vita: schiamazzi e lenzuola che scivolavano ripetutamente dal suo letto costrinsero l’uomo ad abbandonare l’impresa. Negli anni successivi la casa fu abitata dalla moglie di uno dei figli dei due delinquenti, deceduti alcuni anni prima. Divenne presto vedova con un figlio piccolo da crescere e le anime resero la sua esistenza un vero e proprio inferno: una sera la réula mise al centro del salotto una cassa da morto mentre lei riposava con il suo bambino. Perseguitata da un destino avverso, passò la sua triste vita a combattere con visioni e fantasmi, arrivando esausta alla morte. Altri raccontano che una volta la casa era abitata da una famiglia di pastori. Era un posto macabro e malandato che incuteva panico e terrore tanto che alcuni uomini evitavano di passarci con il carro a buoi anche nelle ore diurne. Una sera Ziu Pascali e suo nipote Ciccheddu si recarono a Stazzu Muru per ritirare un pacco postale. Arrivati a metà strada, Pascali mandò il nipote alla casa stregata per prendere il pacco. Bussò alla porta e fu aperto dalla moglie del pastore, che invitò il ragazzo ad entrare e ad accomodarsi in attesa del marito. Tutto a un tratto udì un branco di cavalli selvaggi che correvano davanti all’aia: Ciccheddu, incuriosito, si alzò tempestivamente dalla sedia, si affacciò al balcone ma non vide nulla di insolito. Ritornò a sedersi poco convinto e dopo qualche minuto udì nuovamente lo scalpitio di zoccoli, ma la padrona di casa con occhi severi intimò il giovane a restare seduto.  Una volta arrivato il pastore e ritirato il pacco, il ragazzo ritornò dallo zio. Desideroso di capire cosa fosse successo, gli domandò se avesse visto o sentito qualcosa di strano. Pascali, totalmente estraneo ai fatti, rispose di non aver visto nulla. Dopo qualche tempo si venne a sapere che i Pastori avevano abbandonato quella casa, esasperati dalle incessanti incursioni delle anime vaganti. L’ossessione di immagini demoniache e spettrali che diventano incontrollabili nonostante varie contromisure. Personaggi realmente esistiti che testimoniano con convinzione i fatti appena raccontati. I misteri degli abitanti degli stazzi continuano ad appassionarci in un’altalena di emozioni che oscilla tra mito e realtà, storia e leggenda.

Consigli: https://www.facebook.com/Sulla-strada-di-Vera-del-Sol-114538473235692/


Il
Rifornitore, citato all'inizio, si presenta ancora eretto a pochi metri dalla linea ferroviaria, in prossimità della regione denominata "Campo Majore". Le murature sono realizzate prevalentemente in cantoni di granito mentre gli archi e gli stipiti di finestre e porte sono realizzati in laterizi. Il tetto risulta completamente crollato e i segni sulle murature mostrano che era impostato su travi di legno. Si presentava soppalcato in legno con una scala che saliva al primo piano addossata alla parete settentrionale.

All'interno dell'ambiente al piano terra, opposto all'ingresso principale ed affiancato da una finestra, trovava spazio un camino con cappa intramuraria, ora completamente crollato. Il piano superiore mostra la presenza di una finestra e di un armadio a muro. All'esterno abbiamo la presenza di un ambiente aggiunto a settentrione, a unico spiovente mentre nel fianco occidentale ancora residua l'imboccatura dell'enorme cisterna dell'acqua.













venerdì 11 dicembre 2020

"Il Natale" di Terranova secondo Francesco De Rosa

 di Durdica Bacciu

Photo https://autonomiademocraticaolbia.jimdo.com


Negli anni anche la festa di Natale ha subito varie trasformazioni, dovute alla tecnologia, al momento storico e al consumismo. 

Pillole di ricordi: "Quando ero piccola, per Natale era tradizione andare da Nonna Rosina. Tutta la famiglia si riuniva intorno a lei ed era il nostro centro, sia per i grandi che per i piccini. Andare da Nonna era festa, era rivedere gli zii, giocare con i cuginetti e gli amici del paese, mangiare cose buone come la zuppa gallurese di Zia Peppina, sentire la porta del salone aprirsi e chiamare "Peppì" (come chiamavano zia). Il Natale era anche fare il "giro" dei parenti, in un paesino di poche anime ma con tanti ricordi, Cuzzola, il paese di mia madre e delle sue sorelle. Era sentire l'odore del vino offerto dagli zii a mio padre, rigorosamente vino rosso fatto in casa, era sentire sempre mia madre un po' in ansia richiamare "Titino devi guidare" e la risposta di papà "Cosa vuoi che mi faccia un bicchiere di vino ?" Il Il Natale erano le luci dell'albero in ogni casa, il panettone e il pandoro, i pacchi colorati e quel magnifico "maneggiare" di soldi che solo le nonne e le zie sapevano fare (senza essere viste): "...con questi ti compri le caramelle". Il Natale aveva l'odore delle cose buone, della gente allegra e in quei giorni il tempo sembrava non passare mai. Tutti erano felici...tutti erano uniti. Poi, cosa non doveva mancare? La Messa di Natale, si quella era d'obbligo. Si andava in chiesa dopo la cena di Vigilia del 24 notte oppure la mattina del 25, in ogni caso si era contenti perché il significato era chiaro: avrei visto nonna, le zie e i cugini! Diventavo improvvisamente grande fan della messa 😊"

L'unica cosa che non è cambiata in tutto questo tempo è l'emozione e i ricordi che lascia il Natale ed è proprio leggendo il libro di Francesco De Rosa "Tradizioni popolari di Gallura" possiamo rivivere il Natale della vecchia Terranova oggi Olbia.

Basilica di San Simplicio

"La notte di Natale, più che alla commemorazione della nascita di Gesù viene dedicata al dio Ventre e a Bacco sitibondo" scrive De Rosa, spostandosi dalle proprie case alle taverne, mangiando cibi tipici e frutta secca per quanto riguarda gli uomini, mentre le donne stavano tranquille in casa intorno al fuoco raccontando storie e fiabe per i più piccoli, cercando di tenerli sveglia per la messa notturna in onore del Divin Bambino. I giovani invece seguono la tradizione della messa più per svago che per interesse perché è tutto fuori controllo. Riprende il De Rosa "Molti giovanotti portano le saccocce piene di coccole di mirto, di cui i galluresi sono ghiotti, e ne tirano manate in aria facendole piovere sulle persone; altri portano noci, nocciole e mandorle che schiacciano ivi, e sgusciano per mangiarne i semi ed i gherigli, offrendone alle ragazze", gesti che non sempre erano apprezzati, "...altri fichi ed ampolline di Vermouth, di vino o di liquori che bevono e fanno bere agli amici ed ai conoscenti."

Terranova Pausania 

 I discorsi comuni tra un bicchiere di vino e un ficco   secco erano sempre gli stessi, gli sposalizi del paese,   quelli finiti, di femmine galanti e di donne generose,   di scampagnate e feste, di campagne con i relativi   animali, di pesca e caccia, sparlando della vita delle   persone non presenti e di quelle presenti con vanti o   critiche sempre con cuore allegro e aria di festa.   Tutta questa allegria però non è sempre consona al   momento o al luogo dove si svolge la santa messa e   quindi "...i sacerdoti, veduta la mala parata, non   sapendo a quale santo votarsi, sono costretti a fare appello alla Benemerita, perché voglia ristabilire alquanto la calma". Tutta questa allegria raggiunge la sua massima esplosione alla mezzanotte con l'intonazione del Gloria in excelsis Deo che annunzia la nascita del Divino, "...battendo le mani, percuotendo coi piedi il pavimento, dando pugni al confessionale o alle panche..."  

Finita la messa si torna allegramente nelle proprie case dove si mangiano i piatti prelibati della tradizione come "...pan'e sabba, cuccjuleddi melati, origlietti, niuleddi, turroni, ecc..." e nulla viene lasciato sulla tavola e tantomeno con la pancia vuota, specialmente ad Aggius e Bortigiadas dove, secondo una leggenda, chi rimaneva a pancia vuota sarebbe stato visitato da Palpaccja, una figura oscura con il compito di riempire la pancia vuota con dei grossi sassi. 

Albero di Natale Olbia 2020


Leggendo queste poche righe del De Rosa possiamo notare come sia cambiato il modo di festeggiare il Natale, molto più sobrio e silenzioso ma non per questo meno sentito. 

(Francesco DE ROSA, Il Natale in Tradizioni popolari di Gallura,Ilisso edizioni, Nuoro 2003, a cura di Andrea Mulas, pp. 136-138)