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“Aprire il passato significa raccontarlo. Alla comunità scientifica sì, ma soprattutto alla comunità dei cittadini cui il lavoro degli archeologi e, più in generale, degli operatori dei beni culturali deve rivolgersi.”.

lunedì 30 gennaio 2017

Nuraghe Riu Runaghe di Ardara

di Durdica Bacciu
Ph Durdica Bacciu

durdica bacciu Per chi arriva da Olbia è necessario svoltare nello svincolo per Ardara e procedere sino al paese. Poco prima di entrarvi troverete sulla destra uno spartitraffico con l'indicazione per Sassari e per il Nuraghe. Seguendo quella strada, dopo circa due km vedrete il nuraghe sopra una piccola altura sulla destra. Si parcheggia l'auto davanti ad un cancello e si prosegue a piedi attraverso un campo privato. Nel caso ci fosse del bestiamo brado presentare massima attenzione per non disturbare il loro pascolo.

Il nuraghe che vi mostro è un nuraghe complesso, di cui una parte della torre centrale è visibile mentre il resto è completamente interrato. Mentre si risale la cima della collina si notano le prime rovine che corrispondono ad una torre secondaria con la volta distrutta semi coperta dagli arbusti e dal materiale di crollo. Alla sinistra si presenta la medesima situazione di un'altra torre invasa da crolli e arbusti.

Frontalmente invece si presenta in alzato una torre con un'apertura, probabilmente un finestrone posto al primo piano del nuraghe, dove entrando si può notare in fondo una sala circolare con un ampio vuoto nel pavimento. L'apertura è dovuta al crollo della tholos dell'ambiente sottostante. Invito gentilmente chiunque voglia visitarlo a tenersi ben lontano da questo ambiente per la possibilità che crolli. A destra e a sinistra della sala circolare possiamo vedere i corridoi, terminanti in crolli e quindi non percorribili, che probabilmente conducevano alle scale per scendere al piano inferiore oppure salire a quello superiore. Invito ancora una volta i visitatori a osservare la massima attenzione e prudenza.
Fuoriuscendo dalla struttura, e girandovi attorno, possiamo notare una cortina, fatta di massi di notevoli dimensioni, in parte eretta e in parte crollata  occlusa in alcuni tratti dalla vegetazione.

Nonostante il sito non sia stato scavato e studiato il Comune di Ardara ha cercato di valorizzarlo con il classico cartello di interesse turistico (quello marrone tanto per capirci). Se vi dovesse capitare di non riuscire a trovarlo, per chi è pratico della vecchia 597, il cartello si trovava all'ingresso del secondo svincolo per Ardara, parlo sempre per chi arriva da Olbia, oppure al primo svincolo per Ardara per chi arriva da Sassari.
Con un po' di pazienza si trova ma nel caso vi lascio le coordinate: 40°31'39"N   8°41'18"E

domenica 22 gennaio 2017

Antichi riti funebri in Sardegna - Attitadoras

di Durdica Bacciu
Ph Internet

gigi murru
ph Gigi Murru
La nascita e la morte hanno sempre avuto qualcosa di magico per l'uomo. Ad accompagnare questi eventi, in particolar modo in Sardegna, si officiavano dei riti e delle consuetudini ben rigide e quasi sacre. In questo articolo verrà trattato un argomento che tocca tutti noi: la morte. Il cerimoniale sardo prevedeva una figura femminile il cui compito era intessere le lodi del defunto cantandone i  pregi per i quali si era distinto in vita. Molto interessante, a tal proposito, è la testimonianze dello studioso Francesco Poggi, che nel 1897 decrive alcuni riti funebri officiati in diverse parti della Sardegna. In alcuni paesi del Nord Sardegna, quando ci si rendeva conto che la persona era prossima al trapasso, le si toglievano di dosso le retzettas o pungas (amuleti o figure sacre) e si iniziava a recitare il rosario in modo da rendere più lieve la morte del predestinato. Questa usanza, è accostabile alle procedure che si praticavano prima che intervenisse la figura femminile della Accabadora, colei che aveva il compito di porre fine alla vita, dei malati, in modo sereno alleviandone le sofferenze.

In merito a tale figura si veda il seguente articolo: https://archeolbia.blogspot.it/2016/05/pier-giacomo-pala-e-il-museo.html
Una volta sopraggiunta la morte, i parenti più stretti del defunto si lasciavano andare alla più grande disperazione con pianti struggenti, urla. In alcuni paesi, come Orune e Bitti, si arrivava persino a strapparsi i capelli e a graffiarsi in faccia nella celebrazione del dolore. In alcuni paesi come Bonorva, Muravera o Orotelli, questa pratica era talmente sentita e violenta che le donne che la praticavano dovevano rimanere diversi giorni a letto per riprendersi dalle ferite. A Siniscola invece si usava battersi le mani sulle cosce e sul petto. Questo rito aveva una durata ben precisa dopo la quale si ritornava al silenzio ossequioso e alla tranquillità.

In quel momento preciso, il parente più vicino aveva il compito di eseguire tutto il rituale per la cura del defunto: veniva acceso un cero benedetto e fatto il segno della croce (su signale; sa gruxi). Con il sopraggiungimento della morte, prima del fenomeno del rigor mortis, i tendini e le muscolature si rilassano e perdono il loro compito di contenimento, in tal momento veniva serrata la bocca (si credeva che in questo modo il morto non rivelasse i segreti di famiglia) usando solitamente un fazzoletto legato intorno al viso e venivano chiusi gli occhi. Questo è il momento dove le persone uscivano dalla stanza e alcune prescelte si dedicavano alla cura del corpo del defunto. Per chi aveva la possibilità il corpo veniva lavato con il vino mentre chi non era abbiente viene usata semplicemente l'acqua. Sono rare le testimonianze che riportano l'abitudine di porre un catino colmo d'acqua sotto la bara durante il periodo di veglia, con la considerazione che, essendo una sorta di mezzo di collegamento con altre dimensioni, l'acqua avrebbe permesso il passaggio dell'anima verso l'aldilà. Il trattamento dedicato all'uomo prevedeva la cura nel fare la barba e i capelli ed essere vestito solitamente con l'abito migliore ovvero quello del giorno del matrimonio. Alla donna invece venivano lavati e tagliati i capelli e le unghie delle mani, queste venivano conservate per essere donate o al coniuge o al figlio più grande, che aveva il compito di costudire il ricordo. Paesi come Onanì, Lula e Orune conservano ancora tutt'oggi questa tradizione.
Il momento più atteso di tutta la giornata nonchè quello più sentito era l'arrivo delle Attitadoras che avevano il compito di cantare le lodi del morto ovvero celebrare tutte le azioni buone e i pregi che egli aveva compiuto o avuto in vita. Queste figure erano legate al defunto, quasi sempre per parentela, e non cantavano le lodi per essere pagate o rimborsate in alcun modo ma solo ed esclusivamente per rende omaggio al caro estinto.

Anche la loro entrata, nella camera del defunto, era regolata da un rito ben preciso: capo basso, mani giunte e viso teso. Passavano davanti al letto senza rivolgervi nessuno sguardo e vi prendevano posizione intorno. In questo momento si udiva un grido acuto e iniziavano i pianti e le urla di disperazione e memoria. Finito di tessere le lodi, le Attitadoras si avvolgevano dentro il loro lungo scialle nero e si ricomponevano con eleganza e postura. A fine rito si alzava una di esse, si avvicina al defunto e iniziava a cantare la storia della famiglia, dal padre al nonno come ad indicare che era stato di buona stirpe, che aveva una famiglia e che aveva avuto una origine rispettabile. Spesso durante questi canti si trovava anche il momento di esternare, sotto forma di ironia, qualche diverbio degno di nota che c'era stato in vita relativo anche a qualcuno presente in sala. Si racconta ad esempio di una attitadora che intonava un canto per la morte di una giovane donna, sposatasi con un giovane della comunità nuorese ma contro la volontà della famiglia dello sposo: "...suona la campana...torna il figlio solo come ella desiderava..." oppure, in caso di morte violenta le parole erano feroci contro l'assassino e si chiedeva vendetta per il defunto: "...presto si vada a cercar...in sangue del vile traditore...solo il sangue potrà cancellare", come ad esempio venne recitato a Bortigali per un particolare episodio
.
Per uso e costumi, gli uomini stanno in una stanza mentre le donne si dispongono intorno al caro defunto posizionato al centro della stanza, su un rialzo, con i piedi in direzione della porta. Vicino al defunto si siede sempre il parente più stretto e rimane sino a quando il corpo non verrà portato via per l'ultimo saluto. Tutti questi riti avevano il compito di dare una pace definitiva al morto.
Vi ricordiamo che nell'opera "La via del Male" di Grazia Deledda, viene descritto perfettamento questo rituale.
Questo rituale venne condannato dalla chiesa sin dal 1553 dove le figure ecclesiastiche minacciarono di scomunicare chiunque le avesse messe in pratica.
Come esperienza personale, mi ricordo la morte di mio zio in una paesino della provincia di Olbia. Ricordo una delle sorelle, forse la maggiore, una figura imponente vestita di nero con i capelli raccolti che, messasi accanto alla bara del defunto, aveva iniziato a tesserne le lodi. Era la prima volta che assistevo ad un rito del genere di una certa impressione, difatti mio padre mi porto via perchè reputò non fosse una visione addatta ad una bambina. Uscendo dalla casa, tenendo la mano di mio padre gli chiesi: "Papà perchè quella persona si disperava cosi tanto? Perchè urlava cosi?" e lui mi disse "E' un modo per manifestare il proprio dolore e per raccontare la vita del defunto in modo che tutti possano conoscere le cose buone che ha fatto in vita". Continuammo a camminare ma quel ricordo è ben fisso nella mia mente nonostante siano passati tanti anni. Da allora non ho più avuto occasione di assistere ad un' esperienza del genere. Forse i tempi sono cambiati, forse siamo cambiati anche noi!

Bibliografia:
- Stefania Mattana, "Ritualità della morte in Barbagia" Ed. Zènia, 2012
- Grazia Deledda, "La via del Male", Ed. Speirani e figli, Torino, 1906
- Francesco Poggi, "Usi natalizi nuziali e funebri della Sardegna", Ed.Forni, rist.1897
- Andrea Romanazzi, "Antropologia del lutto e morte rituale nelle tradizioni",ACAIM, 2017
- Domenica Chighine, "Il lamento doloroso de sas atitadoras", Meilogunotizie.it, 2014
- Simone Pietro Eupili, "Morte e riti funebri nella cultura popolare sarda", Tesi di laurea in Sociologia, Sapeinza Università di Roma, A.A. 2013/2014
- Ilenia Atzori, "Culto dei defunti e simbologia della morte in Sardegna", academia.edu



domenica 15 gennaio 2017

Sardegna e il suo carnevale dalle mille sfumature - Parte II - Intervista ad un ex Merdule

di Durdica Bacciu
Ph D.Bacciu

durdica bacciu
All'aprossimarsi dei Carnevali sardi è assai comune pensare alle manifestazioni e alla loro storia. Ecco perchè, con un pochino di orgoglio, posso dirvi di essere veramente fortunata ad avere vicino una persona che lo ha frequentato per qualche tempo in veste di partecipe attivo come Merdule, figura del Carnevale di Ottana. A dirvi la verità, ancora oggi, abbiamo una maschera di Merdule in camera da letto. Una sorta di testimonianza del periodo trascorso nel gruppo dei Boes e Merdules e quasi una sorta di amuleto di buon auspicio. Proviamo a capire di più su questa tradizione con Marcello Cabriolu, ex Merdule del gruppo di maschere  "Boes e Merdules" di Ottana.

D. Chi è Marcello Cabriolu?
R. Sono nato a Carbonia ma ho sempre vissuto a Sant'Antioco, la mia bella isola. Sono uno studioso di Beni Culturali, iscritto presso l'Unirvesità di Sassari e appassionato di cultura, tradizioni e usanze sarde. Nella vita di tutti i giorni la mia professione è quella di militare, esperienza che mi è utile tutt'ora per lo sviluppo e lo studio della mia grande passione relativa al periodo nuragico e in particolar modo allo studio della bronzistica e delle figure armate..

durdica bacciu
D. Come è iniziata la sua avventura nel gruppo dei Boes e Merdules di Ottana?
R. Nel gennaio del 2014 ho avuto la fortuna di essere ammesso nel gruppo. Molti si chiederanno come ho fatto da Sant'Antioco a finire ad Ottana? La risposta è semplice: l'amore per la mia terra e per le sue tradizioni. Con il gruppo "Boes e Merdules" ho fatto più di 40 sfilate nei diversi paesi della Sardegna ma cio' che ricordo con più emozione è quando si aveva la possibilità e l'usanza di uscire a "sa sola". Il Carnevale di Ottana è un carnevale spontaneo, quindi, nel periodo che intercorre tra il 16 gennaio e il martedi grasso, ci si può mascherare e uscire in solitaria per le vie del paese.


D. Secondo la tradizione il carnevale ha riti dei quali si perde memoria, lei cosa ne pensa?
R. Probabile che alcuni tra i carnevali riproposti in Sardegna abbiano radici antichissime. Sinora sono l'unico studioso che, interperetando quel tipo di mascheramento, l'ho documentato correlandolo ai rituali della Preistoria. Doveroso prefissare che questo carnevale si compone di tre figure principali: il bue detto su voe, il padrone del bue detto su merdule e una figura femminile sa ilonzana. Tutto il carnevale ruota intorno alla figura del Bue; è il protagonista, è vestito di pelli e porta una serie di campanacci pesanti ed è contradistinto da una maschera zoomorfa bovina. Viene condotto da Su Merdule, una figura vestita di pelli con una maschera antropomorfa e diversi strumenti. Per condurre su Voe, su Merdule, usa: sa socca, una lunga fune di pelle per cingerlo alla vita, su mazzoccu, un bastone nodoso per domarlo, su voette, una frusta. Tutto questo viene chiuso da una figura femminile vestita di nero che ha il compito di segnare il destino del Voe. Nel caso non si risucisse a domare l'animale interviene sa ilonzana, mostrando, ben chiari, quelli che sono i suoi poteri rappresentati da degli strumenti: gomitolo di lana, fuso e forbici che idealmente rappresentano il filo della vita di cui la figura femminile detiene il potere di recidere.

D. Perchè, secondo lei, questa importanza verso la figura taurina?
R. Studiando BB.CC. sono venuto a conoscenza del fatto che tutti i sovrani del Mediterraneo della preistoria si autocelebravano come tori viventi, figli della divinità. Quale attinenza ha tutto ciò con la maschera di Ottana? Era abitudine degli ottanesi, parliamo degli anni 50-70, invitare la gente a buttarsi in terra per il bue come se fosse un personaggio importante da venerare. Questo mi ha fatto ricordare il Minosse come sovrano e la leggenda del Minotauro come figura metà uomo e metà toro. 

durdica bacciu
D. Questa similitudine, credo di averla sentita solo da lei, mi sembra interessante e particolare. Quindi, secondo lei, anche la Sardegna era inserita nei grandi circuiti dei popoli del mediterraneo e delle sue usanze? 
R. Certo! In modo particolare, questa teoria prende corpo dallo studio sulla civiltà Egea condotto da Gustave Glotz e Mackenzie. Nel descrivere i rituali a cui venivano sottoposti i sovrani cretesi, rappresentanti negli affreschi e nelle tavolette come metà uomini e metà tori, si racconta che venivano condotti sul leggendario monte Ida, dove secondo la mitologia, era nato Zeus. Questa processione sacra, secondo le raffigurazioni, era accompagnata da animali sacri: capre, maiali e asini, tutti contraddistinti da una stella in fronte. Il carnevale ottanese prevede lo stesso insieme zoomorfo cretese di figure chiamate, rispettivamente, su porcu, su crapolu e su molente. Tali figure, come comparivano nell'antica Creta con la stella in fronte, sono ora tutte quante, insieme su voe, contraddiste dall'avere in fronte una stella a 6 punte o fiore della vita, o meglio definito, fiordaliso. Lo stesso fiore che, attraverso una triplice corona, cingeva il capo dei sovrani cretesi.

D. Inquadrato il carnevale a livello storico-cultuale, per Ottana, cosa significa il Carnevale secondo la sua esperienza?
R. Prefissando che gli ottanesi sono molto attaccati alle tradizioni, il carnevale probabilmente è il giusto convivio tra il rigori del freddo inverno e le aspettative di primavera e di rinascita della terra. Prefisso questo perchè ora è usanza che le maschere escano per la prima volta dal giorno dei falò di Sant'Antonio sino al martedi grasso, quando invece, in passato probabilmente uscivano in svariate occasioni anche durante la stagione autunnale e quella invernale. Gli ottanesi sono soliti accogliere i neonati in famiglia sia con il corredo del battesimo ma anche con caratza e peddes ovvero la maschera e le pelli come segno di ingresso nella comunità. 
durdica bacciu

D. Durante il carnevale mi è capitato di vedere dei personaggi vestiti in valluto nero, con maschere chiaramente ottanesi. Chi sono queste figure? Che ruolo hanno?
R. Nella cittadina è diffusa l'usanza, testimoniata anche dalle foto storiche che, le maschere non fossero pellite ma in origine, i mascheranti usassero gli abiti di uso quotidiano o in velluto, oppure in tuta da lavoro dato che i coinvolti erano operai, vista la presenza di un nucleo industriale nella periferia di Ottana. I ruoli sono i medesimi delle maschere pellite, cambia solo l'abbigliamento definito in questo caso a s'Antiga (a la maniera antica). 



D. Lei ha accennato la questione del fuoco di Sant'antonio, ormai ci siamo quasi. Cosa rappresenta il fuoco per Ottana e per chi si maschera?
R. Adesso per gli ottanesi "S'Ogulone" il grande falò è l'occasione per creare le compagnie, la raccolta della legna e lo spuntino. C'è da sottolinare che anche questo rituale ha un retaggio preistorico. In numerose rappresentazioni dell'antica Creta, si può osservare il rituale compiuto dalle sacerdotesse o dalla divinità di deradicamento dell'albero sacro e la successiva combustione come rituale collegato alla rinascita del sole. Io personalmente mi ricordo il rituale della vestizione, momento in cui si spiegava agli avventori e ai turisti la composizione del masheramento, un momento conviviale con il resto della gente. Si invitava da bere o si era invitati a bere. Ad un certo punto si sentivano i ritocchi della campana della chiesa di Sant'Antonio, il cielo si faceva scuro visto l'orario, e quello era il segnale della adunanza. In quel momento si indossavano le maschere, si stringeva sa soca nei fianchi del voe e non si era più persone comuni di tutti i giorni, ma ci si trasformava quasi in personaggi mitologici. Da li la discesa era una scena sempre nuova, inventata e interpretata nel momento. Su voe che camminava e si ribellava abbandonando la via e su merdule che lo conduceva  con carezze, maledizioni, fustigate, strattonamenti e un semplice frasario di pochi termini ma incisivi.

durdica bacciu

D. Cosa vorrebbe dire a chi le ha permesso di vivere questa esperienza, sappiamo bene che sos istranzos non sono accetti in questi gruppi. Non per questioni di intollerenza ma semplicemente per salvaguardare le proprie tradizioni.
R. Vorrei ringraziare calorosamente il direttivo del gruppo per avermi permesso di interpretare e provare una emozione del genere, anche perchè tutto ciò è stato di grande spunto per le ricerche antropologiche nel Mediterraneo del passato.  


 





giovedì 12 gennaio 2017

Sardegna e il suo Carnevale dalle mille sfumature - Prima parte

di Durdica Bacciu
Ph Internet

Poco ancora si sa sulle maschere del carnevale tradizionale sardo. Pare d’obbligo ormai, allo scopo del divertimento del pubblico, raggruppare gruppi di mascherate durante i ritrovi paesani o per i carnevali estivi. Tuttavia è poco probabile che da tali incontri si riesca a proporre un’idea puramente conoscitiva delle maschere stesse. Primo perché esse si limitano talvolta ad una semplice sfilata se non ad allietare gli spettatori con gesta strabilianti che poco hanno a che vedere con il loro ruolo rituale; in secondo luogo, molte tra esse tendono a confondersi per la similarità degli elementi che compongono l’abbigliamento; la terza ragione, ma non la meno importante, sta nel fatto che in genere, durante questo tipo di manifestazioni o di ritrovi carnevaleschi, ben poco ci si attiene alla caratterizzazione di ogni singola maschera, finendo per assegnare lo stesso ruolo sia a maschere ben conosciute, con una ritualità di gesti consolidata e dovuta alla tradizione, sia a quelle da poco restituite al sapere collettivo. Prescindendo dalla polemica nata negli ultimi anni che vede contrapposti i paesi di Mamoiada ed Ottana, portatori da sempre del rituale carnevalesco più antico, contro quei paesi in cui il carnevale tradizionale è stato da poco riscoperto, vogliamo portare la nostra analisi su quelle che sono le differenze fra le caratteristiche di ogni tipologia di travestimento. Ciò presuppone, comunque, che prenderemo ad esempio di ogni tipologia quelle che ci sembreranno le maschere più simboliche. Nel nostro studio abbiamo suddiviso le maschere tradizionali in sei tipologie differenti, ognuna caratterizzata da un determinato tipo di abbigliamento - o di elementi accessori - e da un rituale proprio. Esse sono:

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Il Carnevale sardo non è la solita festa che si celebra in tutto il mondo. Ha una sua anima di riti ancestrali formatasi nei secoli lontani. Chi ha avuto la fortuna di parteciparvi, avrà notato la molteplicità delle maschere, dei riti e dei costumi. I Carnevali per antonomasia sono quelli di Mamoiada e di Ottana ma abbiamo cittadine come Fonni, Ovodda, Sarule, Orotelli e Lula i quali mascheramenti nulla hanno da invidiare a quelli più blasonati.
Per prima cosa possiamo dividere i soggetti del carnevale sardo in tre tipologie: 
1) C. con maschere pellite o comunque zoomorfe
2) C. con maschera seria
3) Carnevali equestri
Questa suddivisione nasce in base al vestiario e al  rito che esegue durante le manifestazioni.

Nella prima categoria non possiamo che inserire le maschere conosciutissime di Mamoiada ed Ottana, Mamuthones e Merdules. Queste due maschere si diferenziano per diversi motivi anche se spesso si tende a confonderle. La prima maschera si divide in due figure protagoniste: Mamuthones, con pelli scure di pecora (mastruca), campanacci pesanti e maschera antropomorfa scura chiamata visera tenuta ferma da un fazzoletto e un cappello (bonette). Gli Issohadores, con il copricapo tradizionale (sa berritta)  legato al mento tramite un fazzoletto colorato a fermare una maschera bianca antropomorfa, pantaloni e camicia bianca, corpetto rosso con una tracolla dove sono presenti dei piccoli sonagli. Sopraccalze di lana nere, uno scialle con bellissime decorazioni legato alla vita e alla fine una fune (So'a) completano il mascheramento. E' proprio da questa parola che deriva il nome Issohadores coloro che catturano usando la so'a

Il carnevale di Lula invece si distingue per i personaggi il cui viso si presenta sporco di sangue e per l'uso di uno stomaco di capra appeso alle corna caprine del copricapo. In questo caso la vittima, secondo il rito chiamata Su Battileddu, viene inseguita e picchiata più volte sino a perdere la vita per poi "risorgere" come nei più classici riti Dionisiaci. La maschera di Ottana invece ci presenta principalmente tre figure, Su Merdule e Su Voe (detto anche su boe) e Sa Ilonzana. Sia su Merdule che su Voe indossano abiti pelliti di colore chiaro (ecco la differenza con i Mamuthones di Mamoiada) e presentano rispettivamente una maschera antropomorfe e l'altra zoomorfa in particolare con fattezze bovine.
Il Merdule si distingue per l'uso della soca (la fune di pelle) e ha il compito di tenere legato e condurre l'animale mentre su Voe indossa i pesanti campanacci che possono arrivare a pesare anche 50 kg. Sa Filonzana, la terza figura, è un personaggio femminile mascherato distinguibile dal fatto di essere sempre vestita a lutto, ovvero in nero, e avere con se un paio di forbici, un gomitolo di lana ed un fuso. Questa figura può essere accostata alle parche romane o moire greche.

Nella seconda categoria di carnevali possiamo riconoscere le maschere di Sarule e Aidomaggiore. Nella prima località viene chiamata "maschera a gattu" e consiste nel vestire due gonne del costume tradizionale al rovescio (duos oddes), una tovaglietta bianca in testa fermata con un nastro e un velo nero in viso e un paio di guanti per non farsi riconoscere.
Ad Aidomaggiore, possiamo trovare sa "maschera a lenzolu" caratterizzata da un lungo lenzuolo bianco posto dalla testa sino ai piedi, stretto in vita da una cordicella e ulteriormente rivoltato sul capo quasi a creare un ornamento intorno alla testa. Solo tre piccole fessure indicano gli occhi e la bocca. In questa località è usanza vestire di bianco durante il periodo di Carnevale e vestire di nero il Martedi grasso. 

Al terzo insieme di carnevali appartengono tutte quelle manifestazioni carnevalesche dove si impiegano cavalli. Tra queste spicca maggiormente la Sartiglia di Oristano una corsa sfrenata di cavalieri, una giostra di probabile origine medievale, dove lo scopo era infilzare un anello sospeso e ora tramutatosi in stella. Ancora di forte richiamo è "Sa Carrela 'e nanti"
una manifestazione quasi esclusiva di Santulussurgiu dove i cavalieri si esibiscono in spericolate pariglie (acrobazie a cavallo) corse per gli stretti vicoli del centro storico.

Bibliografia:
M.Cabriolu, "Storie di Re e di Boes" Lacanas n.54



Poco ancora si sa sulle maschere del carnevale tradizionale sardo. Pare d’obbligo ormai, allo scopo del divertimento del pubblico, raggruppare gruppi di mascherate durante i ritrovi paesani o per i carnevali estivi. Tuttavia è poco probabile che da tali incontri si riesca a proporre un’idea puramente conoscitiva delle maschere stesse. Primo perché esse si limitano talvolta ad una semplice sfilata se non ad allietare gli spettatori con gesta strabilianti che poco hanno a che vedere con il loro ruolo rituale; in secondo luogo, molte tra esse tendono a confondersi per la similarità degli elementi che compongono l’abbigliamento; la terza ragione, ma non la meno importante, sta nel fatto che in genere, durante questo tipo di manifestazioni o di ritrovi carnevaleschi, ben poco ci si attiene alla caratterizzazione di ogni singola maschera, finendo per assegnare lo stesso ruolo sia a maschere ben conosciute, con una ritualità di gesti consolidata e dovuta alla tradizione, sia a quelle da poco restituite al sapere collettivo. Prescindendo dalla polemica nata negli ultimi anni che vede contrapposti i paesi di Mamoiada ed Ottana, portatori da sempre del rituale carnevalesco più antico, contro quei paesi in cui il carnevale tradizionale è stato da poco riscoperto, vogliamo portare la nostra analisi su quelle che sono le differenze fra le caratteristiche di ogni tipologia di travestimento. Ciò presuppone, comunque, che prenderemo ad esempio di ogni tipologia quelle che ci sembreranno le maschere più simboliche. Nel nostro studio abbiamo suddiviso le maschere tradizionali in sei tipologie differenti, ognuna caratterizzata da un determinato tipo di abbigliamento - o di elementi accessori - e da un rituale proprio. Esse sono: a) maschere pellite; b) maschere a gabbanu; c) maschere luttuose; d) mascaras serias; e) maschere sonore; f) carnevali equestri.

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domenica 8 gennaio 2017

Corso di Geologia della Sardegna - Monti (OT)

di ArcheOlbia




Per info e contatti: museoetnograficomonti@gmail.com oppure 3207563379
 


Corso di Geologia della Sardegna
Un’ottima occasione per entrare nel mondo della geologia!

I partecipanti, dopo il percorso formativo, saranno in grado di riconoscere i principali tipi di rocce, e minerali ed i processi che modificano il paesaggio. Queste basi saranno fondamentali per iniziare a saper “leggere” un territorio, capire cosa potrebbe essere successo in un passato lontano milioni di anni e magari ipotizzarne il futuro. Il tutto incentrato sulla Sardegna, una palestra a cielo aperto per appassionati di ambiente e natura.
Il corso è rivolto a tutti, semplici appassionati, guide ambientali e turistiche o studenti.






Il corso è tenuto dal dott.
 Luigi Sanciu, geologo e direttore scientifico del GeoMuseo MonteArci di Masullas e P.AR.C (PaleoArcheoCentro) di Genoni (OR).

 

sabato 7 gennaio 2017

Geronticidio in Sardegna - L'uccisione dei padri

di Durdica Bacciu
Ph: Internet

Secondo la tradizione sarda il geronticidio, ovvero l'uccisione dei più anziani della comunità, avveniva per mano dei figli esclusivamente per quelle persone, con oltre i settanta anni di età, considerate "un peso per la comunità". Questo rito, testimoniato da diversi storici classici come Timeo di Tauromenio, avveniva in onore di Kronos. Questo rituale viene descritto per tutto il Mediterraneo come se fosse un fatto necessario e importante per il ciclo della vita e della morte. Secondo la tradizione, gli uomini con più di settant'anni venivano accompagnati dal figlio maggiore verso un precipizio per il supremo sacrificio e, come si racconta, tutto ciò avveniva nella massima compostezza e senza invocazioni d'aiuto da parte della vittima, come se si accettasse il macabro destino. Qui finiva la vita dell'anziano e iniziava simbolicamente la vità del figlio, che avrebbe assunto il ruolo che era del padre ovvero il comando della comunità.
Ancora questo rituale viene riportato da Gustave Glotz quando descrive la processione rituale a cui il Minosse cretese era sottoposto. Il sovrano, raggiunta la vecchiaia, veniva portato in processione sul Monte Ida, la leggendaria montagna dove nacque Zeus, e lì, in una grotta, spinto giù da una rupe. La sopravvivenza del personaggio lo investiva dell'autorità sacra di poter continuare a governare sul popolo. Forse anche la Sardegna preistorica officiava questo rituale dati i numerosi reperti rinvenuti nella grotta "Su Benatzu" di Santadi dove probabilmente si svolgeva questo cerimoniale dedicato ad una divinità ctonia.

Demone ed Eliano da Palestrina, nelle loro opere, descrivono il sorriso che si notava sui volti della vittima e del carnefice, una caratteristica che poi verrà identificata come il "riso sardonico". .quasi una espressione ghignante per esorcizzare la morte. Probabilmente il primo a parlarne fu Omero quando descrisse la risata amara di Ulisse dopo aver schivato la zampa tiratagli da Ctesippo, ma senz'altro l'episodio più conosciuto è quello legato all'automa Talos, secondo il filosofo greco Zenobio, che andava incontro ai Sardi, invasori dell'isola di Creta, ustionandoli e portandoli ad assumere una faccia ghignante e alterata dal dolore durante la morte.





durdica bacciu
Punto panoramico sulla vallata del Riu Pardu
Tutto questo che vi raccontiamo è testimoniato nei racconti popolari di alcuni paesi sardi, come nel caso di Gairo, famoso per essere stato ricostruito dopo avere abbandonato "Gairo vecchia" a seguito una alluvione, dove ancora si usa dire: "is beccius a sa babbaieca". Si trovava nei pressi del ponte sul rio Pardu, ad un migliaio di metri dall'abitato e probabilmente si tratta di un luogo leggendario dove far passare il vecchio padre, in quanto la traduzione letterale suggerisce la parola babbai che significa padre e eca che significa ingresso quindi "uscita dell'anziano". Un'altro detto è: "Ancu ti 'nci ettinti in Sa Babbaieca" (Che possano gettarti nella Babbaieca).
Si racconta di una rupe esistente a Gairo Vecchia e secondo le testimonianze, era la zona destinata al geronticidio. Ad Ovodda invece possiamo trovare la roccia chiamata "su nodu de lupene". Nella zona del sassarese invece, possiamo trovare diverse denominazione "Su Mammuscone" in particolar modo nelle grotte e ricordiamo che a Cossoine è presente una grotta che si chiama: Sa Ucca è Mammuscone e con i suoi 63 metri di profondità è la grotta più profonda del sassarese.

Cossoine
Ancora in campo scientifico Prof. Ugas suppone che il grosso recinto a due ingressi di Monte Baranta - Olmedo fosse destinato proprio a quello. Il recinto circonda solo una rupe e non ha specificità alcuna tranne che per i numerosi rinvenimenti ceramici in un solo corridoio: quello aperto a occidente dove si ipotizza che anziano con giovane si infilassero sino a consumare qualcosa nelle ceramiche distrutte. Successivamente lo studioso ipotizza che solamente il giovane uscisse dal corridoio aperto a Oriente verso il sole nascente quasi a simboleggiare la rinascita. 
Secondo il Lilliu queste uccisioni non avvenivano in maniera generalizzata ma probabilmente erano riservate ai soggetti di elevato rango sociale, in modo da permettere ai nuovi designati di ereditarne le caratteristiche e le virtù, come spesso si suppone in numerose culture che una volta uccisa la persona, le sue doti e qualità vengano prese dall'uccisore.

Bibliografia: 
G.Minunno, Geronticidio punico? L'uccisione degli anziani nelle più antiche tradizioni sulla Sardegna. Studi e materiali di storia delle religioni 69,  (2003), pp. 285-312
G.Ugas, L'alba dei nuraghi, 2005, Ed. Fabula 
Pittau, Massimo (1991) Geronticidio, eutanasia ed infanticidio nella Sardegna antica. In: L'Africa romana: atti dell'8. Convegno di studio, 14-16 dicembre 1990, Cagliari (Italia). Sassari, Edizioni Gallizzi. V. 2, p. 703-712. (Pubblicazioni del Dipartimento di Storia dell'Università di Sassari, 18.2). Contributo in congresso.
M.Cabriolu, Storie di Re e Boes tra i popoli del mare, Lacanas n.54
C. Zedda, Geronticidio in Sardegna, www.claudiazedda.it


domenica 1 gennaio 2017

Epistilio del tempio di Cerere di Olbia

di M.Cabriolu
Ph Durdica Bacciu

Epistilio del tempio dedicato a Cerere ad Olbia con il nome di Claudia Augusti liberta Acte (CIL XI 1414) ovvero la concubina e liberta di Nerone.
Attualmente è custodito presso il Cimitero Monumentale di Pisa e si trova, entrando, sulla destra. Noi lo rivogliamo a Olbia sulla facciata di San Simplicio.#larivogliamoaolbia
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durdica bacciu

(Ph Durdica Bacciu - ArcheOlbia)


 
Ringraziamo la Nuova Sardegna, sezione di Olbia, per aver amplificato la nostra "provocazione" nel segnalare un bene storico della Citta' di Olbia, presente nel Cimitero Monumentale di Pisa. Con l'occasione abbiamo voluto dare luce ad un reperto, forse non ancora conosciuto da tutti, soprattutto i giovanissimi, con la speranza che questo possa riadornare con pregio la nostra Città. 
(Ph Durdica Bacciu - ArcheOlbia)

 
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