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Associazione ArcheOlbia
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“Aprire il passato significa raccontarlo. Alla comunità scientifica sì, ma soprattutto alla comunità dei cittadini cui il lavoro degli archeologi e, più in generale, degli operatori dei beni culturali deve rivolgersi.”.

domenica 31 luglio 2016

Mostra fotografica - “Antichi Mestieri” - Olbia dal 10 al 31 agosto 2016 - Museo Archeologico

di Durdica Bacciu

Verrà inaugurata il 10 Agosto 2016 alle ore 18, la mostra denomianta "Antichi mestieri" del gruppo Photowalkers Sassari presso il Museo Archeologico di Olbia, Molo Brin, un progetto curato da Rossella Gadau, Antonio Ruzzoli e Marta Pais in collaborazione con l'Associazione ArcheOlbia e con il patrocinio del Comune di Olbia - Assessorato alla cultura.



A un anno dalla sua nascita il gruppo PhotoWalkers, nato su impulso di un gruppo di appassionati di fotografia, è lieto di presentare il progetto fotografico “Antichi Mestieri”, un percorso visivo alla scoperta delle antiche tradizioni artigiane ancora vive in città. Dal 10 agosto al 31 agosto 2016 il progetto, che coinvolge 22 fotografi, impegnati a raccontare 34 mestieri antichi, sarà esposto al Museo di Olbia, presso la sala piano primo.

Il gruppo
Il gruppo PhotoWalkers Sassari ha ormai compiuto un anno e ha raggiunto la soglia dei 500 iscritti. Nel corso di questo periodo ha organizzato decine di escursioni e una prima esposizione collettiva, intitolata “15 scatti. Sguardi tra terra e mare”, dedicata al tema del paesaggio. Esposte le opere di 15 fotografi del gruppo, con una sorprendente presenza di pubblico in entrambe le location nelle quali è stata proposta. 


durdica bacciu

Il gruppo prende forma online alla fine del 2014, utilizzando come base la piattaforma Facebook, allo scopo di far avvicinare tra loro diversi fotoamatori presenti a Sassari e nell’hinterland. A differenza però dei tanti gruppi amatoriali già esistenti, PhotoWalkers decide di non limitarsi a fornire uno spazio in cui fotografi e fotoamatori possano mettere in mostra le proprie immagini, bensì si propone come luogo di incontro, di discussione e di conoscenza reciproca, tra persone accomunate dalla stessa passione: la fotografia. A tale scopo gli amministratori organizzano, a settimane alterne, degli incontri fotografici domenicali scegliendo di volta in volta luoghi e temi differenti. Alla base di tutto c’è la forte e convinta volontà di creare una rete, stimolare la collaborazione reciproca e la creazione di legami, e contemporaneamente migliorare la conoscenza della fotografia dei partecipanti attraverso la pratica e il confronto. Photowalkers Sassari si propone poi di mostrare al pubblico i risultati fotografici delle sue attività e dell’operato di chi vi partecipa, attraverso l’organizzazione di mostre collettive. In questo modo chiude il cerchio degli obiettivi, con l’autopromozione e la sua crescita; la promozione dell’operato dei fotografi che vi partecipano e dell’arte fotografica in genere; e, infine, non da meno, porre l’accento e far emergere luoghi, problemi e tematiche strettamente legate al nostro territorio.
durdica bacciu


"Antichi Mestieri".
 In questo quadro di inserisce l’ultimo nato in casa PhotoWalkers, intitolato “Antichi Mestieri”. Un progetto fotografico dedicato interamente agli artigiani sardi che lavorano in città, sono infatti ancora presenti una serie di realtà legate a doppio filo con il passato e la tradizione ma, contemporaneamente, guardano con costanza e determinazione al futuro. Che siano nascoste tra le stradine del centro storico o sparse in diversi punti della città o nelle borgate, queste attività sono infatti tutte accomunate dalla loro farsi mediatrici tra un passato radioso, fatto di gesti, conoscenze e strumenti antichi, e un presente dove le innovazioni tecnologiche, la crisi economica e la concorrenza spietata da parte della grande distribuzione e del sistema di produzione industriale, la fanno da padrone.
È attraverso le immagini fotografiche che il gruppo Photowalkers prova a dare nuova luce e dignità a queste realtà. Tre scatti di ognuno dei ventidue fotografi coinvolti e trentaquattro artigiani è il mix giusto capace per restituire lustro e visibilità a tematiche, problemi e contesti troppo spesso e troppo a lungo dimenticati.
Quella che il gruppo intende raccontare è una storia di resistenza, fatta di difficoltà ma anche di passione, determinazione, coraggio e poesia. Azioni che rendono la passione reale, concretizzandosi, giorno dopo giorno, anno dopo anno, in gesti, conoscenze, strumenti e  prodotti  che purtroppo oggi corrono sempre più il rischio di estinguersi e cadere nell’oblio.
Le attività prese in considerazione, per questi motivi, sono tra le più varie: si va dal cestinaio, al calzolaio passando per il falegname, il pastore, il liutaio e l’orologiaio e così via. Ognuna di queste piccole imprese è portata avanti da uomini e donne, giovani e meno giovani, da singoli o gruppi di persone, che i fotografi hanno avuto il piacere di cercare, incontrare e conoscere in questi mesi di lavoro. Ognuno di essi rappresenta un microcosmo con le sue regole, i suoi oggetti, le sue routine e le sue conoscenze che costituiscono un patrimonio collettivo e sociale che non deve assolutamente andare perduto ma, al contrario, deve essere valorizzato e preservato in ogni modo possibile.

durdica bacciu
Dove, come, quando. 
L’esposizione fotografica sarà visibile presso la Galleria del primo piano del Museo Archeologico di Olbia dal 10 al 31 AGOSTO 2016. 102 immagini di 22 fotografi racconteranno 34 mestieri antichi, ogni scatto accompagnato con l’esposizione dei manufatti di ogni singolo artigiano immortalato e un video con le foto del progetto.

I fotografi. Ecco i nomi dei 22 partecipanti che hanno contribuito a raccontare queste piccole storie di poesia e passione, di storia e tradizione: Alessandro Taras, Alessio Angiargia, Alessio Cantara, Antonio Ruzzoli, Francesco Dettori, Giuseppe Mangano, Giuseppe Mura, Lorella Comi, Marcello Dongu, Marco Grechi, Maria Giovanna Manunta, Marta Pais, Maurizio Scanu, Max Turrini, Patrizia Cau, Pino Demartis, Rosathea Cossu, Rossella Gadau, Rossella Zinnarosu, Selene Dessena, Silvia Bussu, Uccia Sechi.

I mestieri. Ecco le antiche attività lavorative artigianali e non, raccontate e immortalate dagli obiettivi dei PhotoWalkers: accordatore e restauratore pianoforti, agricoltore, barbiere, calzolaio, ceramista, cestinaio, coloreria lana, coltellinaio, corniciaio, fabbro, falegname, farmacista, liutaio, marmista, orafo, orologiaio, panettiere, pastificio, pastore, pellettiere, produzione candele, produzione faine’, produzioni pipe artigianali, restauratore, rilegatore, riproduzione armi antiche, sellaio, sarta ricamatrice, stagnino, tamburi lavorazione artigianale, tappezziere, vetri artistici, vetro soffiato.

Collettiva promossa dall’associazione culturale Centro Ricerche Filosofiche Letterarie e Scienze Umane di Sassari, con il contributo economico della Banca di Sassari e sponsor vari.

Per la Città di Olbia viene promossa dall'associazione ArcheOlbia in collaborazione con l'assessorato alla cultura.

Gruppo Photowalkers Sassari

Dove trovarci:

Museo Archeologico di Olbia
Isola Peddona - Porto vecchio - Molo Brin
Lunedì e Martedì chiuso; 
Da mercoledì alla domenica:10-13 / 17-20
Inaugurazione mostra: 10 Agosto 2016 ore 18
Per info: 3456328150 oppure archeolbia@gmail.com

 



lunedì 25 luglio 2016

Villa Sulcis - Museo Archeologico - Carbonia

di Durdica Bacciu
Ph D.Bacciu


Inaugurato nel 1988, ha rinnovato le esposizioni con i temi che descrivono i cambiamenti dei vari periodi e delle varie culture susseguitesi nel territorio. Uno spazio è stato dedicato anche ai laboratori e alla didattica per una più semplice divolugazione dell'archeologia.

I percorsi
Il percorso si divide in tematiche, in modo che ogni tema sia fruibile singolarmente e conprensibile nel suo contesto ma si può seguire anche un percorso cronologico generale, seguendo un nastro colorato presente nelle pareti: il colore indica il periodo, es. preistorico, nuragico, fenicio e punico, romano. Per concludere, le tre sale invitano alla conoscenza dell'archeologia di Carbonia dal particolare al generale.
Sala 1

durdica bacciu

Sala del territorio, reperti della fase più antica del Neolitico (6000-4000 a.C.) con la nascita dell'agricoltura, i contenitori in terracotta ela vita nei ripari sotto roccia (Su Carroppu).
Nella teca successiva si parla della nascita dei villaggi, del culto delle divinità edel culto dei morti e la nascita delle necropoli (3200-2800).
 Tra le attività che testimoniano il grande sviluppo del Neolitico finale possiamo notare la produzione della ceramica e un atelier per la lavorazione dell'argilla. 

Si passa al periodo Neolitico (2800-2200 a.C.), ovvero l'età dei primi metalli. In questo priodo possiamo vedere i contatti con le altre civiltà, come quella Campaniforme.

durdica bacciu
Per l'età del Bronzo (2200-1800/900 a.C) arriviamo all'epoca Nuragica con lo studio della vita delle diverse comunità elo sfruttamento delle miniere (Su Fussu Tundu di Santadi).
I cambiamenti nell'età del Ferro (900-550 a.C.) vengono descritti attraverso i nuovi modelli insediativi come le fortezze e le innovazioni tecnologiche. i contatti artistici con i Greci, Etruschi e Fenici. Qui troviamo anche la riproduzione del nuraghe Sirai.

durdica bacciu
Seguendo la rampa si possono trovare gigantografie con i paesaggi della preistoria e della protostoria: domus de janas di Monte Crobu, le grotte abitate e i templi. Si arriva poi alla Sulcis fenicia attraverso le foto dell'antica via Sulcitana che collegava il Campidano di cagliari al Sulcis sino ad arrivare a Sant'Antioco, girando intorno a Monte Sirai. Tutto questo si può vedere nella seconda rampa.
durdica bacciu
Monte Sirai



Sala 2
durdica bacciu

Qui troviamo tutto quello che riguarda la Sulcis fenicia attraverso Sulky (attuale Sant'Antioco) e Bithia. vediamo esposti i ritrovamenti del Cronicario e i corredi della necropoli di Is Pirixeddus.

Gli elementi di Bithia esposti riguardano la necropoli fenicia con reperti provenienti dalla mensa delle elites aristocratiche fino ai gioielli in vetro e metalli.

Sala 3 
durdica bacciu
Qui troviamo tutto quello che riguarda Monte Sirai di Carbonia. Il ruolo del tempio e delle divinità, l'architettura e le attività quotidiane, le sepolture e i riti funerari.
 
durdica bacciuRiprendendo la rampa in discesa, troviamo i paesaggi archeologici del periodo romano, con una villa, una strada e il tempio di Antas. I temi della sala romano riguardano il culto di Demetra, la monetazione, i miliari delladurdica bacciu
via Sulcitana, delle anfore da trasporto di Cala Piombo e lingotti di piombo e rame.

Informazioni
Indirizzo: via Napoli, 1 - 09013 Carbonia
tel. +39 0781 63512
Ente titolare: Comune di Carbonia
Gestione: Soc.Coop. Mediterranea e Sistema Museo
sito internet: www.comune.carbonia.ca.it
e-mail: museovillasulciset@tiscali.it; direzionemusei@tiscali.it
Orari: 10.00 - 19.00 (da aprile a settembre, dal martedì alla domenica), 10.00 - 17.00 (da ottobre a marzo, dal mercoledì alla domenica)
Biglietto: € 5,00 (intero); € 3,00 (ridotto); € 8,00 (cumulativo intero); € 5,00 (cumulativo ridotto); supplemento visita guidata € 1,00. Il biglietto cumulativo comprende la visita al Parco Archeologico di Monte Sirai e al Museo Archeologico Villa Sulcis.  

 



giovedì 21 luglio 2016

ArcheOlbia - Il Nuraghe Riu Mulinu di Olbia



di Marcello Cabriolu
Ph D.Bacciu

durdica bacciu
Il territorio in esame, denominato impropriamente “Castello di Cabu Abbas” (Fg n°182 IV NO), ricopre un’area di circa 23 ha e geologicamente si compone di graniti grigio-rosati biotitici (305-285 Ma)[1]. Il paesaggio interessato dalle emergenze archeologiche si basa su rocce intrusive del Paleozoico e relativi depositi di versante con suoli acidi, mediamente profondi, franco-argillosi permeabili[2] dove si presenta un forte pericolo di erosione colmabile unicamente con il ripristino della vegetazione naturale arborea e la regimazione dei deflussi. Il monumento, costituito probabilmente da un nuraghe tancato di buona leggibilità, appare ancora seminterrato su una delle cime minori del Monte di Cabu Abbas.
durdica bacciu
La torre arcaica (diam. m 8,40 x 8,60; alt. m 2) - realizzata da conci di granito sbozzati e disposti su file regolari - presenta un accesso architravato rivolto a SE (largh. m 1,20) che introduce in un corridoio strombato (lungh. m 3) sulle pareti del quale si aprono a destra una piccola nicchia e, a sinistra, una scala (di cui rimangono 9 gradini) che portava al piano superiore, ora scomparso. La camera, di pianta leggermente schiacciata (diam. m 3,50 x 3,65), oggi svettata, presenta due nicchie affrontate rispettivamente in direzione SSW e NNE. In prossimità della parete di fondo è realizzato un pozzo di forma troncoconica profondo m 2,60 foderato con pietre di piccole dimensioni disposte a filari. La presenza del pozzo e la scoperta, nel corso degli scavi del 1936, di un bronzetto raffigurante una donna con anfora sulla testa, hanno indotto il Levi a ritenere che il nuraghe fosse in realtà una costruzione dedicata al culto delle acque.
durdica bacciu
Il bronzetto si può stilisticamente inserire nel gruppo definito barbaricino-mediterraneizzante in base alle forme del busto, del bacino e delle gambe e la sus datazione si potrebbe collocare nel Bronzo Finale in base alla tipologia del vaso sul capo della figura. Lo stretto pianoro su cui sorge il nuraghe, situato circa 15 m al di sopra della muraglia, era circondato da una struttura circolare di spessore variabile della quale si conserva ora un breve tratto a N addossato alla roccia naturale. La muraglia eneolitica sottostante (lungh. m 220; spess. m 4; alt. m 5,10) - con sviluppo curvilineo irregolare che ingloba numerosi affioramenti rocciosi - è costruita da un paramento “a sacco” con un riempimento interno di piccole pietre.
durdica bacciu
Le strutture murarie presentano, nella parte inferiore, grandi blocchi di granito ai quali si sovrappongono nei livelli superiori massi di minori dimensioni. Due ingressi - aperti rispettivamente a SE, verso il golfo, e a NW, verso la montagna - interrompono il percorso della muraglia: il secondo ingresso, protetto da un saliente di roccia, immette in un corridoio rettilineo coperto da tre lastroni a piattabanda (alt. m 2).

Come arrivare:
da Olbia ci si dirige verso la zona industriale/strada litoranea per Pittulongu, alla seconda rotatoria della zona Industriale si svolta a sinistra direzione villaggio Osseddu (o Olbia 2), per tutto il percorso ci sono le indicazioni che segnalano il sito. Poco oltre il villaggio troviamo un parcheggio dove si lascia l'auto e si continua a piedi, da qui inizia una suggestiva passeggiata attraverso la macchia mediterranea. 

Per info e visite:
ArcheOlbia: Associazione di Tutela e Valorizzazione dei Beni Culturali  della Città di Olbia e del suo territorio. E-mail: archeolbia@gmail.com oppure 3456328150




[1] S.Barca, L.Carmignani, G. Oggiano, P.C. Pertusati, I. Salvadori, Carta geologica della Sardegna scala 1:200000, (a cura di) Comitato per il coordinamento della Carta Geologica e Geotematica della Sardegna
[2] Angelo ARU-Paolo BALDACCINI-Giuseppe DELOGU-Maria Antonietta DESSENA-Salvatore MADRAU-Rita Teresa MELIS-Andrea VACCA-Sergio VACCA, Carta dei suoli della Sardegna scala 1:250000, Dipartimento di Scienze della Terra – Università di Cagliari, Cartografia S.E.L.C.A., Firenze 1990

sabato 16 luglio 2016

Imbarchi e porti nuragici nel Sulcis - Relazione di M.Cabriolu


di Marcello Cabriolu
Ph D.Bacciu - GF Palmas

Analizzando la geomorfologia e la batimetria dell'attuale arcipelago sulcitano, si possono ancora individuare quelli che in un passato remoto erano i confini naturali dell'Isola di Sant'Antioco. Considerando che durante il secondo pleniglaciale di Wurm, dal 28.000 B.P. al 14.000 B.P., il mare si ritirò toccando i -110 mt rispetto al livello attuale[1], possiamo, data la profondità del Golfo di Palmas e del Canale di San Pietro e individuate le linee batimetriche dei -20 mt, verosimilmente dichiarare che durante la preistoria e gran parte del periodo storico, non esistesse un arcipelago sulcitano ma un unico promontorio legato alla Sardegna. Tale considerazione si è resa possibile grazie allo studio della cartografia storica relativa al Golfo di Palmas, all’osservazione della progressiva ingressione delle acque e all’occlusione e al graduale arretramento delle foci del Rio Palmas e dell’arcaico Rio Maqarba – Santu Millanu[2]. Gli ulteriori interventi di antropizzazione hanno dato origine ad un impaludamento compreso tra le località di Corrulongu e Cruccianas e alla formazione di numerose lagune costiere ampliatesi, a seguito dell’impianto della Salina, sino al comune di Sant’Anna Arresi.
La prolungata presenza dell’uomo nell’area è testimoniata in maniera efficace da innumerevoli siti preistorici e protostorici di lunga durata e notevole estensione. I gruppi umani che si sono succeduti, in epoca preistorica e storica, nell'Isola, hanno avuto, nello sviluppo della propria cultura e per complessi fattori esistenziali, la necessità di navigare. Il bisogno si è creato quando le materie prime locali non sono state più in grado di soddisfare i fabbisogni delle comunità. Vecchie credenze portano a pensare che il popolo dei Nuraghi non amasse il mare, ma ciò non è vero anzi è piuttosto vero il contrario.

Sono diverse infatti, le strutture arcaiche presenti sull'isola la cui articolazione e complessità, legate a una collocazione costiera, fanno pensare ad un utilizzo prettamente marino. Gli uomini Sardi del passato scelsero appunto dei promontori o l’interno di foci - pratica testimoniata anche da gruppi umani stanziati nell’Egeo[3] -, opportunamente riparati dai venti dominanti e dai marosi, per sviluppare dei sistemi d’approdo definibili porti a tutti gli effetti. Forse il più conosciuto della zona, di cui rimane traccia nella letteratura, è il Sulcitanum Portus, un ampio tratto formato da fiumi, terra e litorale inclusi ora nelle pertinenze dei comuni di San Giovanni Suergiu e Masainas e già anticamente sfruttato per l’imbarco di legname, metalli, sale e carbone vegetale[4].
L’analisi fornita dall’articolo invece è mirata alla rivalutazione di una particolare insenatura presente sull’Isola di Sant’Antioco, su Portu de Co’e Cuaddu, opportunamente riparato ai venti dominanti della zona, e che ricalca un’abitudine insediativa di probabile origine neolitica. Tramite lo studio di questa installazione, correlata a su Portu de Cal’e Saboni, intendiamo definire appunto il criterio del doppio approdo da sfruttarsi alternativamente a seconda delle stagioni e dei venti dominanti. Le insenature preannunciate si dispongono geograficamente a Oriente e a Occidente della Piana di Cannai, una pianura coltivabile di origine alluvionale solcata da diversi sistemi idrici e chiusa a 360° da alcuni gruppi collinari popolati anticamente da svariati insediamenti. Descrivendo la località denominata Porto di Co’e Cuaddu possiamo inquadrare un grosso arenile risultato dalla polverizzazione di una antichissima e più avanzata spiaggia fatta di fossili di molluschi impastati nella roccia effusiva[5].
Questo arenile esposto ai quadranti orientali è costellato, a partire dall’estremità settentrionale, da strutture turrite e affini le quali si elevano ben oltre il limite meridionale dell’insenatura, giungendo alla non lontana estremità sud dell’Isola di Sant’Antioco. Partendo da settentrione le emergenze si possono enumerare in un Nuraghe, sistemato a 42 mt s.l.m., denominato di Cala Bianca e costituito da macigni di calcare.
Ancora seminterrato nella collina, visti i resti che spuntano dal piano di campagna, il Nuraghe di Cala Bianca doveva originariamente avere una struttura complessa. Scendendo di quota verso l’insenatura scavalchiamo un rio che sfocia in spiaggia e costeggia delle fornaci rifasciate di basalto. Si giunge quindi, percorrendo un sentiero, al Pozzo de S'Acqua Durci, sistemato in pianura. A circa 50 mt di distanza ai piedi della collina mesozoica di Cala Bianca si trova un'altra fornace rifasciata di basalto e, da questa, in direzione sud, percorrendo meno di cento metri, si giunge ad una terza fornace di basalto interrata dalla sabbia.
Abbiamo sottolineato la componente litica delle fornaci per evidenziare che in passato non vi cossero del calcare ma furono impiegate nella metallurgia. Vista la concentrazione di fornaci e l'abitudine, da parte dei fochisti dei secoli scorsi, di demolire i forni dopo le cotture del materiale, si suggerisce la corretta interpretazione del toponimo di Co’e Cuaddu anziché con l’inflazionata ma insostenibile "coda di cavallo”, con una più probabile  "cuocilo e nascondilo"
. Ad Occidente si eleva un gruppo collinare di più cime, residuo di una caldera vulcanica, denominato Monte Arbus. Su una di queste cime insiste un Nuraghe trilobato, parte di un contesto estrattivo, denominato di Montarveddu, costituito da megaliti in andesite basaltica. Un’altra cima ancora, sistemata a Sud Ovest rispetto all’insenatura, ospita un altro Nuraghe trilobato, di nostra scoperta, detto S’Acqua e sa Canna, in collegamento visivo con la costa. A spezzare la linea di costa appena a sud dell’insenatura di Co’e Cuaddu si allunga in mare un promontorio dalle pareti scoscese detto Turri ospitante una torre spagnola edificata ristrutturando, nel 1757, il già Nuraghe ‘e Mori. Nel promontorio insistono tuttora una tomba dei giganti, un tempietto con antis e diverse strutture abitative da noi scoperte.
I promontori a seguire, Bithia e sa Pispisia, mostrano rispettivamente toponimi e strutture a precipizio sul mare facenti da corollario al complesso. Il toponimo Bithia indica nella variante locale della lingua sarda una figura femminile che guarda o, riallacciandoci agli studi di Massimo Pittau, una figura sacerdotale in grado di ammaliare con lo sguardo. Archeologicamente parlando, nella località denominata Bithia, possiamo rinvenire una struttura di forma sub rettangolare situata fronte mare. Il toponimo sa Pispisia mostra una località dove si colloca, integro, un braciere - fanale del diametro di un metro e quaranta compreso di un macigno ortostatico, il quale presenta, fronte mare, un lato abraso da ripetuti e intensi fuochi. Un’altra emergenza compare infine nell’estremità Sud dell’isola, denominata Su Portu de S’acqua ‘e sa Canna, che si concretizza in un secondo fanale semi distrutto del diametro di un metro e sessanta. Sino al secolo scorso questa insenatura veniva frequentata da vaporiere e velieri per il carico dei derivati dalla lavorazione del calcare nonché dei metalli provenienti dal Sulcis. Le testimonianze portate dagli anziani ci raccontano dell’abitudine di segnalare con dei fuochi il contorno della terraferma al fine di permettere l’attracco dei natanti persino in condizioni di scarsa visibilità. Questo sistema di instradamento marino, in seguito ottimizzato dalla sostituzione dei fanali con fari alimentati da bombole a gas, trova origine nella preistoria ed è pratica comune ai Popoli del Mare. Tuttora l’impianto segnalatore residua di pochi fari sistemati sull’adiacente isolotto del Toro e lungo il Golfo di Palmas ma nonostante ciò l’insenatura offre ancora un valido ed efficace riparo ai mercantili in transito quando si verificano condizioni di burrasca di maestrale. Come avveniva l’atterraggio nell’insenatura chiaramente diversa rispetto a oggi? Ipotizzando per il periodo nuragico prevalentemente una navigazione di piccolo cabotaggio la penetrazione nel Golfo di Palmas avveniva più che altro da Sud.
Credo che l’avvicinamento al litorale fosse eseguito tenendo conto di riferimenti terrestri, in questo caso mirando quindi i fanali e i Nuraghi. Provenendo da Sud si possono tenere come riferimenti terrestri gli allineamenti e le sovrapposizioni prospettiche, in un supposto punto “a”, delle due coppie Nuraghe Montarveddu – fanale Sa Pispisia e Nuraghe Cala BiancaNuraghe‘e Mori. Ad un certo punto della navigazione sarebbe possibile osservare che alle spalle del Nuraghe‘e Mori inizia ad aprirsi la vista del Portu di Co’e Cuaddu in quanto sarebbero ben visibili le fornaci sopra elencate in piena attività. Proseguendo in direzione NE, supposta conosciuta la conformazione del fondale, si può fare tappa verso un punto “b”, tenendo a mira due coppie di sovrapposizioni prospettiche: quella del Nuraghe S’acqua ‘e sa Canna – fanale Sa Pispisia e del Nuraghe MontarvedduNuraghe’e Mori. Il percorso di atterraggio ci mostra un altro punto definibile come “c”, dal quale è possibile osservare l’allineamento fisico di altre due coppie quali Nuraghe S’Acqua’e sa Canna - Nuraghe’e Mori e delle due fornaci nel costone settentrionale dell’arenile. Per la precisione si può affermare che accostando a riva seguendo questo allineamento un navigatore della preistoria sarebbe atterrato direttamente in spiaggia, con la propria imbarcazione, aiutandosi attraverso altre due coppie di allineamenti. Il finale di questo approdo, punto “d”, viene infatti segnalato dalle coppie di allineamenti date da Nuraghe Montarveddu – fornace in spiaggia e dalle fornaci sul costone settentrionale. Dopo questa breve simulazione possiamo riflettere sul fatto che i punti tracciati si collocano tutti quanti in un mare più profondo di -15 mt, quindi già presente nonostante i livelli inferiori dell’Età del Bronzo. Possiamo osservare che se non avessimo rispettato questi allineamenti saremmo andati incontro a diversi incagliamenti, vista la presenza di altine appena sotto il pelo dell’acqua, considerando inoltre che queste altine sarebbero stati scogli emersi durante il II millen. a.C.
Queste simulazioni mostrano che l’edificazione delle torri e dei fanali è mirata senza dubbio ad un uso marittimo visto che si coglie l’utilità delle strutture solo se apprezzate dal mare. Il Nuraghe trilobato de
S'Acqua ‘e sa Canna, costituente l'ultimo baluardo preistorico a Sud dell'Isola, svolgeva una triplice funzione. La prima era quella di avvistamento e instradamento: vista la sua elevazione era in grado di vedere i due porti e quindi di instradare eventuali imbarcazioni verso entrambe le comunità portuali a seconda delle condizioni meteo. La seconda funzione, quella del controllo dell'orizzonte derivata dall’elevazione geografica, mostrava un orizzonte più vasto di vedute più ampie. In terzo luogo esso assolveva ad una funzione meteorologica, presunta dalla favorevole osservazione delle condizioni marine. Infine la considerazione che il porto di Co’e Cuaddu fosse un porto vero e proprio sin da epoca preistorica scaturisce da due elementi fondamentali legati all’antico culto della Dea Madre: la presenza nella toponomastica di una figura religiosa quale la Bithia (ripresa in tempi moderni in una sorta di sincretismo religioso[6] e rinominata in altri contesti come Domus de Maria); la presenza di un tempio con antis votato alla Dea Madre nel promontorio di Turri[7],  proprio come era uso erigere nei principali sistemi portuali della fine del II millenio a.C..






[1] M. TZORODDU, Kirkandesossardos sardegna ricerca dell’orogine, Zoroddu editore, Fiumicino 2008, pag. 91 fig.4
[2] P.ORRU’ A.ULZEGA, Carta Geomorfologica della piattaforma continentale e delle coste del Sulcis, 1:100.000, N.O. 11/89, Istituto Idrografico della Marina - Genova
[3] R.W.HUTCHINSON, L’antica civiltà cretese, Giulio Einaudi editore, Torino 1976, pag.78
[4] M.CABRIOLU, Il Popolo Shardana – La Civiltà, la cultura, le conquiste, Domusdejanas editore, Selargius 2010, pag. 164
[5] AA.VV. Torre Canai a Sant’Antioco – Ambiente e storia, Edizioni Stef, Cagliari 1994, p. 13
[6] M.CABRIOLU, Il popolo Shardana, La cultura, la civiltà, le conquiste, Ed Domus de Janas, Selargius 2010, p. 212
[7] M.CABRIOLU, Il popolo Shardana, La cultura, la civiltà, le conquiste, Ed Domus de janas, Selargius 2010, p. 212