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venerdì 28 ottobre 2016

Le Mura Puniche - Olbia di Durdica Bacciu

di Durdica Bacciu


Alla luce degli ultimi rinvenimenti fatti dalla Soprintendenza a Olbia, in via G.D'Annunzio, pare doveroso pubblicare il capitolo I, relativo alle mura puniche, della tesi di laurea in Sc. dei Beni Culturali con indirizzo Storico-Artistico e Archeologico, dal titolo "L'urbanistica di Olbia in età romana", A.A. 2007/2008, discussa da Durdica Bacciu, sulle mura antiche della città, relatore prof. G.P. Pianu e correlatore A. Sanciu.  Il nuovo tratto delle mura è stato scoperto durante i lavori per la rete del gas, si presenta con blocchi squadrati e separava la città dalla zona della necropoli.




Le mura antiche
 Oggi non è più possibile vedere l’intera cinta muraria di Olbia, ma gli studi del Tamponi[1] (fine 800) e in seguito del Taramelli[2] (primi del 900), hanno consentito al Panedda[3] di ricostruire l’originario tracciato ancora in parte riconfermato, ma talvolta modificato ( come verrà chiarito più avanti) o meglio precisato in seguito alle ricerche effettuate negli ultimi decenni del ‘900 e nei primi anni del 2000 soprattutto dal dott. R. D’Oriano e dal dott. A. Sanciu. 

tesi di laurea in Sc. dei Beni Culturali con indirizzo Storico-Artistico e Archeologico, dal titolo "L'urbanistica di Olbia in età romana", A.A. 2007/2008, discussa da Durdica Bacciu
Il tratto murario, tutt’ oggi meglio conservato, è situato tra Via regina Elena e Via Mameli e precisamente in Via Torino.
Lungo circa m. 64 appartiene al settore occidentale delle mura ed è caratterizzato da un torrione, da una apertura e da una doppia cortina.
 Il torrione ha una forma quadrangolare ed è stato costruito con blocchi di grosse dimensioni, ben levigati nella sola faccia a vista appena sbozzati all’interno. Tale torrione, corrisponderebbe a uno di quelli ricordati dal Panedda e denominato “Torre B”, ma già il Taramelli nel 1911, con il ritrovamento di un tratto murario pari a m. 100, ne segnalava altre 4, descrivendo in maniera precisa la torre “A”, che presentava una suddivisione interna in due sezioni una delle quali a sua volta era suddivisa in tre comparti. Tra la torre “A” e la torre “B”, oggi ancora visibile, abbiamo un’apertura che corrispondeva ad una porta del tratto occidentale, larga m. 3,45 dove sono ancora visibili i basamenti degli stipiti. Oggi, come nel momento in cui il Panedda[4] ne parla, non sono rintracciabili tracce di fori per poter capire il sistema di chiusura.
Dopo l’apertura riprende per m. 28 l’andamento del tratto murario, largo m. 6 e costituito da due paramenti, ottenendo così la doppia cortina, certamente più sicura come difesa dagli attacchi alla città nel versante occidentale.
Durante gli scavi eseguiti nell’ultimo decennio del ‘900, a scopo di tutela dal degrado in cui versava e rendere fruibile a tutti questo importantissimo tratto murario, è stata rinvenuta una cisterna ellittica, ora ricoperta, rivestita di malta impermeabile, per la raccolta delle acque piovane da utilizzare come riserva idrica da coloro che erano preposti  alla difesa.
Nel corso degli stessi scavi, sono state evidenziate tecniche di rafforzamento murario a scopo difensivo in caso di attacco con macchine belliche. Questo rafforzamento è stato realizzato attraverso trincee ortogonali riempite di terra e pietre e di mura trasversali all’interno della cortina[5]. I materiali rinvenuti confermano la datazione al IV sec. a.C. per tutta la cinta muraria e smentiscono la convinzione che faceva risalire le mura ad epoca romana[6].
tesi di laurea in Sc. dei Beni Culturali con indirizzo Storico-Artistico e Archeologico, dal titolo "L'urbanistica di Olbia in età romana", A.A. 2007/2008, discussa da Durdica Bacciu
A poca distanza da questo sito, nel corso di uno scavo per la realizzazione di un complesso residenziale in Via Acquedotto, nell’anno 2000, sono riemersi altri resti della cortina occidentale e più precisamente un muro di m. 9 circa, alto m. 0,76, costruito con blocchi granitici, lavorati nella sola faccia a vista e inserito nello scavo effettuato nella roccia granitica sottostante.
Nella parte esterna sono stati trovati scarti di pietra di diverse dimensioni, che creavano uno strato di riempimento tra l’unità stratigrafica muraria e la roccia granitica. Nello stesso orientamento delle mura, in direzione Nord sempre nel 2000, sono state trovate tracce di un probabile fossato che in alcuni punti supera i m. 3 di larghezza e profondità. All’interno di questo fossato erano presenti parti di mura o crollate o abbattute, probabilmente tra la fine del II°  e l’inizio del III° sec. d.C., in base ai frammenti ceramici di sigillata africana di tipo “A” e di ceramica africana da cucina rinvenuti soprattuto in qualche particolare settore.
Negli scavi effettuati all’interno delle mura sono state rinvenute tracce di un’altra struttura muraria sempre di epoca punica in base ai materiali ritrovati, e una cisterna a “bagnarola”, ottenuta scavando direttamente il piano roccioso e rivestita di coccio pesto. In base al ritrovamento del su detto tratto murario l’andamento delle mura occidentali non sarebbe rettilineo, come ipotizzato dal Panedda[7], ma risulterebbe spostato un po’ più a Ovest, sempre che tale tratto non risultasse la cortina esterna di un corpo avanzato[8]. Nel lato occidentale la cinta muraria doveva proseguire sino ad arrivare a Est della dorsale granitica di San Simplicio, nel tratto posto a ovest del Cimitero Vecchio. In località “Idazzonedda” Taramelli, nel 1911, segnala dei ruderi di una torre rettangolare che apparivano in connessione sui lati Nord e Sud con due bracci di mura di uguale struttura e che per dimensione e tecnica costruttiva (nonostante le tracce di restauro posteriori) ricordavano la tecnica edilizia dei tratti murari situati in Via Torino; perciò pensò trattarsi della continuazione della cinta muraria, precisamente dell’ultimo tratto del lato occidentale e dell’inizio del lato settentrionale.
Questi resti in località “Idazzonedda” testimoniano un percorso rettilineo di tutto il tratto occidentale della cinta,  ed inoltre evidenziano una struttura tecnico-difensiva che determinava l’impossibilità di accedere al porto “extra-moenia”. In questo tratto di 580 m ( fra Via Torino e il tratto sino al Cimitero Vecchio) non sono stati trovati, ancora oggi, resti attestanti la presenza di un’altra porta. Da Idazzonedda la cinta doveva svoltare quasi ad angolo retto (da Ovest a Est) per procedere in direzione della località “Oltu Mannu” nel quartiere denominato “Porto romano”. In località “Oltu Mannu”, delimitata a Nord dalla spiaggia e a Sud dal binario ferroviario che conduceva all’Isola Bianca,  nel 1890 il Tamponi[9] ritrovava le fondamenta di un tratto di mura pari a m 360; inizialmente il muro presentava un proseguimento di m. 160 e quasi rasenti alla spiaggia se ne notavano altri m. 200, che svoltando come a gomito si ricollegavano con il fronte orientale. 

tesi di laurea in Sc. dei Beni Culturali con indirizzo Storico-Artistico e Archeologico, dal titolo "L'urbanistica di Olbia in età romana", A.A. 2007/2008, discussa da Durdica Bacciu

Nel lato settentrionale, considerato dal Panedda come il vecchio “Porto Romano”[10], sono visibili resti di strutture quadrangolari molto simili a quelle di Via Torino per le  dimensioni e tecnica.   Situate ad una distanza di m. 5,20 l’una dall’altra, spazio che il D’Oriano considera come una porta nord della cinta in base al catasto del secolo scorso, denominato “Catasto De Candia”, dove si vede una strada che esce dal lato settentrionale e viene chiamata “strada de Parau” (l’odierna strada per Palau), quindi ieri come oggi l’arteria più importante per il Nord Sardegna[11].

Infine, il tratto orientale delle mura è conservato per una cinquantina di metri all’interno del cortile della Villa Tamponi, costruita nel 1874 da Pietro Tamponi. Questo tratto seguiva l’andamento della costa e presentava due aperture, la prima apertura è di m. 4,43 e qui terminava la strada denominata “Karalibus-Olbiam per Hafa”, le cui tracce sono state attestate anche dal Tamponi[12] e dai rinvenimenti di due cippi miliari scoperti in località “Su Cuguttu[13]”. A circa m. 120 da questa “interruzione”, ancora il Tamponi aveva notato un’altra apertura che, secondo il Panedda, giustamente il Taramelli aveva definito una “posterla”[14]. Il lato orientale, infine continuava, fuori dalla villa Tamponi, in località denominata “Regione Mulino” esattamente dietro l’ex scolastico e il Comune. Diventa invece più difficile ricostruire il tracciato  delle mura da “Regione Mulino” sino ad “Isciamariana”, ma il Panedda[15] ritiene che le mura,anche nella prosecuzione del lato orientale e in quello meridionale, si accostassero sempre all’ antico limite di spiaggia. Per avvalorare tale ipotesi osserva che,  fino ai primi del ‘900, il mare appariva vicino ai ruderi delle due torri situate a Nord e Sud del lato occidentale della cinta muraria, cinta che impediva l’accesso al porto via terra.
tesi di laurea in Sc. dei Beni Culturali con indirizzo Storico-Artistico e Archeologico, dal titolo "L'urbanistica di Olbia in età romana", A.A. 2007/2008, discussa da Durdica Bacciu

Datazione della cinta muraria

In relazione alla cronologia delle mura già il Taramelli nel 1911 osservava che gli elementi  architettonici dei ruderi ritrovati. erano scarsi per poter dedurne un sicuro criterio cronologico. Pur avendo trovato riscontri tra i resti murari di Olbia e quelli di città fenicie e fenicio-puniche, sosteneva la teoria dell’origine romana della cinta olbiese, soprattutto per le analogie con quelle di Aosta e Torino. Il Panedda condivide pienamente la teoria del Taramelli, avvalorandola con la citazione di ritrovamenti della necropoli di “Isciamariana”, del monumento funerario scoperto nel 1911, (tutti posti a poca distanza dalla cinta muraria e di epoca romana) ed ancora della zona cimiteriale di “Juanne Canu” contigua a “Isciamariana”, che il Levi[16] colloca tra la metà del III sec. a.C. e la metà del II sec. a.C.. In base a questi dati il Panedda sostiene che le mura furono costruite dai Romani non appena poterono porre piede su questo tratto della Sardegna, così importante non solo come porto, ma come base per il dominio di questa isola, la quale isola nel 238 a.C., cadde in loro potere. Appare tuttavia probabile anche al Panedda che ci fosse stata una precedente cinta muraria punica, della quale però non sono state trovate tracce fino ad oggi, nonostante le numerose indagini di scavo, quasi tutte effettuate per necessità di tutela, soprattutto ad opera di dott. R. D’Oriano direttore della sezione distaccata di Olbia della Soprintendenza dei Beni culturali per le province di Sassari e Nuoro e del dott. A. Sanciu[17]. Il dott. D’Oriano[18] sostiene la cronologia di fase punica per le mura di Olbia rispetto alla precedente datazione romana. Egli osserva che l’area dell’abitato punico coincideva con lo spazio racchiuso dalle mura ritenute romane e non essendo state rinvenute alcune tracce di un’altra cerchia muraria, appare possibile retrodatare le mura ad epoca punica e precisamente, attorno alla metà del IV sec. a.C., al momento della nascita della città.
Non è infatti pensabile una città punica non murata dato che Olbia rappresentava un baluardo punico nel Nord Sardegna, di fronte alla crescente potenza di Roma e all’espansionismo di Siracusa. Si potrebbe ipotizzare la distruzione delle mura puniche da parte romana per poi ricostruirle; ma tutti i dati archeologici fanno ritenere che ci sia stato un passaggio “indolore” di potere tra Cartagine e Roma[19]. La datazione si fonda inoltre su diversi fattori: il materiale ritrovato in prossimità delle mura (ceramica punica e Attica) le strutture abitative, i materiali scoperti nella necropoli punica e le caratteristiche strutturali e edilizie delle mura stesse[20].
La tesi di D’Oriano viene contraddetta dall’Azzena[21], il quale sostiene che questa è basata principalmente sul confronto della tecnica edilizia e ricorda la revisione della cronologia delle mura di Sulci, di quelle settentrionali di Tharros, la diffusione dell’opera quadrata nella “romanissima” Porto Torres e il suo uso in Sardegna fino oltre il Medioevo.  

Considerazioni finali sulla cinta muraria
 
tesi di laurea in Sc. dei Beni Culturali con indirizzo Storico-Artistico e Archeologico, dal titolo "L'urbanistica di Olbia in età romana", A.A. 2007/2008, discussa da Durdica Bacciu
 Il poligono che si veniva a creare, secondo il Panedda, aveva una superficie di ettari 23,7. I recenti studi compiuti in primis dal dott. D’Oriano hanno dato una ampiezza ancora maggiore rispetto alle idee del Panedda, per un totale di ettari 36[22]. La città si presentava con un tessuto urbano ortogonale, orientato nord-sud, est-ovest; il lato occidentale appare l’unico non  condizionato dalla linea di costa.
Per quanto riguarda la tecnica edilizia della cinta, possiamo notare che il circuito delle mura non ha la tipica forma a quadrilatero del “Castrum”, nel quale veniva racchiusa la città romana. Secondo quanto riportato dagli studi sui primi ritrovamenti, non erano presenti torri lungo i tre lati che davano sul mare[23] e non risultava nessuna doppia cortina, ma una sola, che andava da un massimo di m. 3,50 a un minimo di m. 2,30. Invece, nella parte occidentale la situazione era totalmente diversa, in quanto erano presenti torri equidistanti tra loro m. 58 l’una dall’altra e due cortine che superavano i cm. 65 di profondità, costituendo un solo insieme dello spessore di m. 5,50.

Quale poteva essere il motivo di una così diversa tecnica edilizia nel costruire le mura di una stessa città?
Il fatto che il fronte occidentale fosse totalmente diverso dagli altri per la presenza delle torri quadrangolari, nonché la  realizzazione della duplice cortina di cui abbiamo ancora oggi i resti, evidenziano la volontà di difendersi più che dal mare dall’entroterra, dove sicuramente si trovavano gruppi di indigeni non ancora riusciti ad integrarsi con i nuovi conquistatori, che presentavano una costante minaccia per la città.
Il Tamponi[24]  sottolinea la differente tecnica costruttiva ed edilizia degli altri fronti dove esisteva un semplice paramento, ( minimo m. 2,30 massimo m. 3,50) con blocchi di medie dimensioni (cm 50 x cm 25 ) e una lavorazione poco curata.
La totale mancanza di tracce di torri, nei lati confinanti col mare (escluso il lato settentrionale come abbiamo visto prima) fece supporre che da questi lati non si temessero attacchi, anche perché le manovre militari dovevano svolgersi in uno spazio abbastanza ristretto che rendevano impossibili manovre di sbarco, in uno spazio che Panedda riporta a m. 10[25].
 

[1]              TAMPONI, 1890,  pp. 224-225.

[2]              TARAMELLI 1911, pp. 22-235.

[3]                PANEDDA 1953, pp. 42-46.

[4]              PANEDDA 1953, pag. 119.

[5]              D’ORIANO 1997, pag. 71.

[6]              TARAMELLI 1911, p. 234; PANEDDA 1953, pp. 45-46; D’ ORIANO 1990, pp. 487-495; SANCIU 1995, pp. 366-375.

[7]              PANEDDA 1951

[8]              SANCIU 2000, pp. 447-448.

[9]                TAMPONI  1890, pag. 224.

[10]             PANEDDA 1953, pag. 44.

[11]             D’ ORIANO1996, pp.  806 - 808.

[12]             TAMPONI 1889, pag. 26.

[13]             PANEDDA 1953, pag. 97.

[14]             TARAMELLI 1939, fogli 181-182, pag. 65, n° 13.

[15]             PANEDDA, 1954, pag. 44.

[16]             LEVI 1950,  pp. 35-36.

[17]             SANCIU 1995, pp. 366-375.

[18]             D’ORIANO 1989, pp. 487-494.; D’ORIANO 1991, pp. 55-73.; D’ORIANO 1991, pp. 11 ss.; D’ORIANO 1992, pp. 937-948.; D’ORIANO 2005, pp. 71-74.

[19]             D’ORIANO 1989, p. 491 sg.

[20]             D’ORIANO 1989, pp. 487-494.

[21]             AZZENA 2002, pp. 1099-1110.

[22]             D’ORIANO 1989, pag. 491.

[23]             Testimoniato dal Tamponi quando studiò i m. 885 del fronte settentrionale e orientale delle mura.

[24]             TAMPONI 1890, pp. 224 - 225.


[25]             PANEDDA 1953, pag. 44.

martedì 25 ottobre 2016

I Dolmen di "Sa Janna de Su Laccu" e di "Sos Monumentos" - Buddusò

di Marcello Cabriolu
Ph Durdica Bacciu

durdica bacciu
Su Laccu 
Il monumento in questione si trova nella regione denominata "Su Laccu", sita nel Comune di Buddusò. Il materiale di cui si compone è del granito formatosi circa 300 milioni di anni fa e si innalza in un suolo dalle forme aspre, con scarsa copertura arbustiva e arborea, dove possiamo notare delle roccie affioranti che emergono da suoli mediamente profondi, sabbiosi, argillosi, permeabili ed acidi, soggetti ad un forte pericolo di erosione.

durdica bacciu 
La struttura è del tipo semplice, una tavola di granito per la copertura di una camera sepolcrale trapezoidale, composta da quattro pietre fisse nel terreno (ortostati). Il fianco occidentale è composto da un'unica lastra, la cui parte superiore è data da un taglio rettilineo mentre la parte inferiore, si presenta con un profilo arcuato. si trova a pochi metri dal circolo tombale.
durdica bacciu
Il fianco settentrionale è costituito da un ortostato posto in diagonale, mentre il fianco orientale è costituito da due macigni. Il modello, a differenza di molti altri dall'aspetto sub-circolare, tende a somigliare al più grande di Mores - Sa Coveccada o Fontanaccia di Cauria - Corsica. Ci sono buoni presuposti per dichiarare che il posizionamento delle lastre è stato preceduto da una preparazione del terreno tramite una leggera colmata di pietrame (vespaio). Dato che gli ortostati sono ben lavorati, si presume che anche questi abbiano subito una fase preparatoria, e nelle fessure, si possono notare, dei cunei litici per tamponare gli spazi vuoti. La sepoltura risulta aperta verso meridione e il portello, che in origine la chiudeva,si trova a pochi metri dal monumento. Tra i rinvenimenti possiamo segnalare una testina fittile e materiale ceramico di attribuzione incerta (Sanciu 1982: 331-332). E' doveroso sottolineare che in orgine, il monumento, non era come lo vediamo attualmente ma si presentava come un tumulo di terra riconoscibile solamente dal peristalio, il circolo di pietre che ne evidenziava l'area sacra.

durdica bacciu
Come arrivare: 
Coordinate:   40°33'12"N   9°17'33"E
Al Km. 44,3 la SS 389 "Correboi" che da Buddusò porta a Bitti, sulla destra, si innesta ad una strada comunale di penetrazione agraria che porta alla regione "Su Campu". Dopo averne percorso circa 2 chilometri si giunge alla località detta "Su Laccu". 

Bibliografia: 
Mackenzie 1913, pp.136-137, fig.5, tav. XXX 
Sanciu 1982, pp. 131-132
Ciccelloni 2010, pp.51-52, fig. 47-48 
durdica bacciu
Sos Monumentos
Il secondo monumento, di questo articolo, si trova nel medesimo contesto lito-pedologico mentre la sua collocazione fisica si trova ad una quota inferiore rispetto al precedente. La relativa vicinanza al precedente, induce a supporre che, ambedue si trovino in un'unica area funeraria che in origine doveva comprendere anche altri sistemi tombali. Il dolmen si presenta di tipo semplice, dove la consueta lastra di copertura, di forma parzialmente arrotondata e parzialmente allungata, non poggia su ortostati ma su filari irregolari di graniti disposti a secco. Gli unici due ortostati, probabilmente due piccoli menhir già predisposti, risultano nel versante sud-occidentale e delimitano il portello della sepoltura, non presente in situ.
durdica bacciu
Il resto dei massi paiono accostati in maniera disordinata tanto da far supporre una rovina in antico e una eventuale ricostruzione recente. La copertura è caratterizzata da tre piccole coppelle sulla parte anteriore, mentre è probabile che, anche in questo caso, il monumento abbia visto una fase preparatoria avvenuta attraverso lo scavo di una buca per accogliere tutta la muratura. Anche in questo caso si può supporre che in origine la tomba fosse solamente un tumulo di terra evidenziato dal peristalio visibile ancora nella parte anteriore.

durdica bacciu
Come arrivare:
Coordinate:   40°32'41"N   9°17'24"E

Bibliografia:
Mackenzie 1913, pp.136-137, fig.5, tav. XXX 
Sanciu 1982, pp. 131-132
Ciccelloni 2010, pp.51-52, fig. 47-48 

lunedì 17 ottobre 2016

Abbazia cistercense di Santa Maria de Paulis - Ittiri

di Durdica Bacciu
Ph D.Bacciu
 
durdica bacciu
 La chiesa di "Nostra Segnora de Paulis" si trova nella campagna fra Ittiri e Uri, in un sito paludoso da qui la denominazione di "Santa Maria delle Paludi", sul percorso dell'antica strada romana, conociuta come "de sos Padres" perchè collegava l’abbazia cistercense di S.Maria di Corte di Sindia, fondata nel 1149, a quest’ultima. Vedendo la quasi inutilità dei suoi terreni, dovuto alla stato di palude, il Giudice di Torres, Comita II Lacon-Gunale, decide di donare i terreni, per la bonifica, ai Cistercensi dell'abbazia di Clairvaux.
durdica bacciu
Questo viene testimoniato in una lettera scritta dal vescovo di Sorres,
Pietro, dove si parla della sua fondazione, avvenuta nel 1205 a opera di una comunità cistercense.  Nel 1410 il monastero appare già in abbandono e nel  XIX secolo la chiesa era «molto distrutta e danneggiata dai ricercatori di tesori» come testimonia lo studioso G.Spano. 
 
 
 
 Nonostante numerosi restauri, l'ultimo concluso nel 2010, il complesso è invaso dalla vegetazione e versa in precario stato di conservazione, con conseguenti problemi di statica.  Dell’abbazia, costruita in calcare, restano il coro, il transetto, con le due cappelle affiancate al presbiterio, un tratto del lato meridionale con il divisorio e due sostegni di quello settentrionale.  La pianta è a croce “commissa” o a T, ovvero mancante del braccio superiore, è divisa in tre navate da arcate su pilastri. La copertura era volta a botte e la luce arrivava attraverso lunghe monofore. A nord si mantiene un ambiente monastico con volta a botte e robusti sottarchi su mensole troncopiramidali a facce sgusciate e adiacente possiamo vedere, quello che rimane del chiostro con un pilastro portante al quale si addossano colonne con capitelli per l’imposta di arcate che appoggiavano su colonnine affiancate. 
 
durdica bacciu
La pianta ricorda molto quella di Santa Maria di Corte, simbolo, secondo Delogu,  dell’architettura cistercense sarda. Quello che ha colpito gli studiosi è la modesta tecnica costruttiva di Paulis: presenta tratti romanici come i grossi pilastri e gli archi a tutto sesto, nonostante la sua datazione sia fissata al 1205, quando i Cistercensi pensavano già allo stile gotico. Questa particolarità e le irregolarità (strombatura delle due finestre absidali e nella disposizione di alcuni paramenti murari non sfalsati), hanno fatto pensare che le maestranze fossero locali che si limitarono solamente a ricopiare le forme di S.M. di Corte.
 
Come arrivare:
S.P. 15 Uri-Ittiri 07044 Ittiri (SS
 
Bibliografia:
G. ZANETTI, I Cistercensi in Sardegna, in "Rendiconti dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere", XCIII (1959), pp. 71-73;
G. MASIA, L’abbazia di Cabuabbas di Sindia e il suo influsso spirituale e sociale nei secoli XII e XIII, Sassari 1982, pp. 69-70; I Cistercensi in Sardegna, in "Rivista Cistercense", V (1988), pp. 1-109, passim.
R. CORONEO, Architettura romanica dalla metà del Mille al primo ‘300 collana “Storia dell’arte in Sardegna”, Nuoro, Ilisso, 1993, sch. 59:
 

venerdì 14 ottobre 2016

La chiesa palatina di Santa Maria del Regno - Ardara

di Durdica Bacciu
Ph: D.Bacciu


durdica bacciu
I lavori di costruzione della chiesa, in orgine una cappella palatina adiacente al castello di Ardara, (costruiti da Giorgia, sorella di Gonario Comita, giudice di Torres e Arborea) presero inizio nell'XI secolo e si presume vennero conclusi in data 9 maggio 1107, come testimonia una epigrafe situata nell'abside, con la riconsacrazione dell'altare maggiore della chiesa. Per la sua costruzione venne scelto un poggio naturale e vennero impiegati elementi presenti nel territorio: il basalto bolloso e la trachite.

L'edificio si presenta orientato lungo l'asse est-ovest, con l'abside orientato verso il sole nascente e la facciata verso il tramonto. La chiesa si costituisce da una navata centrale con copertura lignea e due navatelle laterali con volta a crociera. Secondo gli studi accreditati, la navata centrale era riservata al clero per la liturgia, la navatella a destra per le donne e quella di sinistra per gli uomini e si suppone che in queste non si pregasse ma si mangiasse, bevesse e avvenisse la compravendita. La forma e la presenza di una sola abside, probabilemente, indicava la costruzione di questo edificio su uno più antico preesistente. Gli scavi condotti negli anni "70 hanno rivelato la presenza di alcune sepolture medievali disposte nell'asse ovest-est. Il rinvenimento di sculture confermano l'arcaicità del monumento relativo a chiese riconducibili all'anno Mille, come San Gavino di Porto Torres e San Simplicio di Olbia. Lo spazio interno è diviso da 8 coppie di colonne in trachite lisciata sormontate da capitelli e abachi. I pilastri cilindrici poggiano su dei plinti quadrati e vanno a sorreggere, tramite degli archi, i fianchi della navata centrale. 

durdica bacciu
Sui pilasti cilindrici sono stati posizionati dei dipinti murali votivi del 1600 opera di un pittore locale e raffigurano una processione di Apostoli, Dottori e Padri della chiesa latina, come per esempio: dall'abside a sx possiamo trovare Pietro con le sue chiavi, Andrea con la croce, Filippo con la croce e cosi via, mentre dall'abside a dx possiamo trovare: Gerolamo e il libro, Agostino con il libro, Simone con la sega, Tommaso con la lancia e cosi via. Le navatelle sono aperte nei lati lunghi da due portali ornati da lunetta. Nell'antichità il fianco destro o meridionale della chiesa era in prossimità di una pendenza, utilizzata come antico cimitero e soggetta al dilavamento delle piogge. Per questo motivo, la chiesa, è sempre stata soggetta a problemi strutturali che resero necessarie ristrutturazioni testimoniate nei secoli. La facciata si ripartisce in tre settori che ricalcano la divisione degli spazi interni. La facciata primitiva venne coinvolta nel crollo della navatella destra e quindi ,attorno al 1150 si rese necessario ricostruirla utilizzando conci di recupero, quali ad esempio, una meridiana posta sul fianco destro. Il prospetto è chiuso da due robuste paraste angolari e lo spazio interno è dimezzato da 4 lesene.
durdica bacciu
Una cornice orizzontale ci isola un timpano dove compare una finestra a croce sormontata da archetti pensili che seguono la copertura a doppio spiovente. Sottostante la cornice orizzontale, si apre una bifora in qui lo spazio mediano è dato da una colonnina spartiluce. La parte centrale del prospetto, compresa tra le due lesene, propone il modello ingresso-lunotto-bifora secondo quelli che erano i modelli dell'architettura lombarda. Il perimetro esterno è spartito da lesene prive di funzione statica, disposte regolarmente lungo i fianchi e l'abside, mentre i due portali laterali sono caratterizzati da lunette arretrate. Particolarità degli archetti pensili è quella di non avere figure umane o animali, elemento che riconferma l'arcaicità della decorazione. 

durdica bacciu
L'abside presenta un modello tipicamente toscano, di forma semicilindrica e si presenta più bassa rispetto alle navatelle, divisa in 5 specchi dalle lesene sormontate da capitelli e poggiate su basi modanate. Uno degli elementi che compongono l'arredo liturgico è il Retablo Maggiore, posizionato alle spalle dell'altare, con una superficie di 63 mq circa e si compone di 29 scene. Nel cartellino attaccato con la ceralacca, alla maniera fiamminga, appare il nome del pittore Giovanni Muru e nell'epigrafe possiamo trovare il nome del comitente Giovanni Cataholo, nonchè vederlo raffigurato in ginocchio presso il letto della Vergine morente. 
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La datazione viene indicata come il 1468 con gli araldi della famiglia Villamari, mentre il cartellino indica che nel 1515 il dipinto viene ultimato. Ancora si ricorda il Retablo Minore, o della Madonna del latte, realizzato nella seconda metà del 1500 da un artista conosciuto come Maestro di Ozieri. Si compone di 24 scene e la più rappresentativa è la madonna che allatta al seno il Gesù bambino. Si narra che in questa chiesa vi fu sempolta la giudicessa Adelasia di Torres, in base ad un rinvenimento sepolcrale, non più ispezionabile, ma testimoniato da alcune vecchie fotografie. La forma descrivibile come "cassone litico" presentava un blocco poggiatesta verso occidente e privo di chiusino tombale. Sulle pareti interne esisteva un affresco raffigurante una figura femminile, ridotto in frantumi durante il tentativo di recupero. Ripetutamente violato e riutilizzato, non fu rinvenuta nessuna bara e lo scheletro scomparve, inducendo gli studiosi a dubitare che potesse accogliere le spoglie di un personaggio d'alto rango, ma la posizione di fronte all'altare maggiore era il luogo privilegiato riservato ai sovrani. Il Libellus Iudicum Turritanorum racconta che la giudicessa Adelasia fu tumulata in questo punto (dae nantis de su altare). 

Come arrivare
Si lascia la SS 131 allo svincolo per Ardara. Dopo pochi km si raggiunge il centro abitato. La chiesa di Santa Maria o Nostra Signora del Regno sorge in corrispondenza di uno degli ingressi del paese.  

 Bibliografia
V. Angius, "Ardara", in G. Casalis Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, I, Torino, G. Maspero, 1833, pp. 352-354;
G. Spano, "Ardara e sua chiesa, antica reggia dei giudici di Torres", in Bullettino Archeologico Sardo, VI, 1860, pp. 17-23;
D. Scano, Storia dell'Arte in Sardegna dal XI al XIV secolo, Cagliari-Sassari, Montorsi, 1907, pp. 111-121;
R. Delogu, L'architettura del Medioevo in Sardegna, Roma, La Libreria dello Stato, 1953, pp. 106-109;
F. Tedde, Ardara capitale del giudicato di Torres, Cagliari, E.Gasperini, 1985;R. Serra, La Sardegna, collana "Italia romanica", Milano, Jaca Book, 1989, pp. 213-224;  
R. Coroneo-R. Serra, Sardegna preromanica e romanica, collana "Patrimonio artistico italiano", Milano, Jaca Book, 2004, pp. 93-101;
R. Coroneo, Chiese romaniche della Sardegna. Itinerari turistico-culturali, Cagliari, AV, 2005, pp. 40-41.
F. Poli, Ardara. La chiesa palatina di Santa Maria del Regno, Sassari, Carlo Delfino Editore, 2015

mercoledì 12 ottobre 2016

Necropoli ipogeica di Santu Pedru - Alghero


di Durdica Bacciu 
Ph D.Bacciu


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La necropoli ipogeica di “Santu Pedru” è composta da decina di tombe del tipo a “domus de janas”, scavate nella roccia trachitica-tufacea ed è conosciuta per la Tomba I. Scavata e studiata dal prof. emerito Ercole Contu nel 1959, fu denominata “tomba dei vasi tetrapodi” per il ritrovamento di due vasi ceramici con quattro piedi perfettamente conservati. L’importanza scientifica di questa tomba consiste nell’aver restituito, per la prima volta in Sardegna, una stratigrafia archeologica, completa ed inviolata che permise di studiare le fasi dal Neolitico Recente (Cultura di Ozieri) all’Età del Bronzo Antico (Cultura di Bonnanaro), età di chiusura ed abbandono della tomba.
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La tomba è uno dei migliori esempi di domus de janas di tipo palaziale” con particolari architettonici di una casa e simbologie scolpite in roccia. Queste caratteristiche fanno ritenere che la tomba avesse anche la funzione di tomba-santuario nella quala si potevano celebrare particolari riti collettivi. L’ipogeo è composto da un lungo dromos, seguito da una anticella semicircolare e da una grande sala centrale intorno alla quale si dispongono 9 vani funerari. L’anticella presenta un soffitto a raggiera, paraste angolari ed uno zoccolo al livello del pavimento; al centro un portello con cornici multiple in rilievo e tracce di pittura con ocra rossa che introduce al vano maggiore centrale.


Questo vano presenta due pilastri e una falsa porta, simbolo dell’impenetrabilità del mondo dei morti. Un portello nella parte di fronte è sormontato da corna bovine, simbologia della forza, della fertilità ed elemento apotropaico. I reperti trovati all'interno di questi anbienti sono esposti al Museo “G.A. Sanna” di Sassari, soprattutto vasellame ceramico: spiccano i vasi della “Cultura Campaniforme” e le ceramiche graffite con zig-zag della fase di Filigosa.
durdica bacciuLe altre tombe della necropoli sono state oggetto, in gran parte, di scavo scientifico dalla fine degli anni Ottanta del XX secolo fino ad oggi. Meritano almeno un cenno alcune caratteristiche degli altri ipogei: la tomba II è dotata di 2 colonnine nella cella; la III presenta le maggiori analogie con la tomba I per i vani disposti a raggiera intorno alla camera centrale, nella quale sono presenti due pilastri e la falsa porta nella parte di fondo; nella tomba VI, riutilizzata ancora nella piena Età nuragica, sono eseguite in rilievo paraste e cornici; l’ipogeo VIII conserva tracce della trasformazione altomedievale (VI - VII secolo) in chiesa rupestre dedicata ai Santi Pietro e Lucia con due absidi.


L’area non è affidata in gestione ad eccezione della tomba I per la quale ci si può rivolgere a:Cooperativa SILT tel. 39079980040 fax 39079981101
Come arrivare: Da Alghero si prende la s.s.127 bis per Uri e Ittiri, dopo il bivio per Olmedo si continua ancora per 2,4 km. Esattamente al km 24,500, sulla strada, si trova l'ingresso della tomba detta "dei vasi tetrapodi". Il resto della necropoli si trova nella parete trachitica sulla sinistra.
Bibliografia:   E. Contu, "La tomba dei vasi tetrapodi in loc. Santu Pedru (Alghero-Sassari)", in Monumenti Antichi dei Lincei, XLVII, 1964, coll. 1-196.;
E. Contu, "Alghero. La tomba dei vasi tetrapodi, in località S. Pedru", in I Sardi. La Sardegna dal paleolitico all'età romana, Milano, Jaca Book, 1984, pp. 223-224;
A. Moravetti, "La tomba II della necropoli ipogeica di S. Pedru (Alghero-Sassari)", in Sardinia Antiqua. Studi in onore di Piero Meloni, Cagliari, Edizioni della Torre, 1992, pp. 97-122;
E. Contu, "Necropoli ipogeica di Santu Pedru (Alghero-Sassari)", in Sardegna, a cura di A. Moravetti, collana "Guide archeologiche", 2, Forlì, A.B.A.C.O., 1995, pp. 19-25;
A. Moravetti.-V. Mazzarello-P. Bandiera, "The necropolis of hypogea in Santu Pedru (Alghero-Sassari). New Data", in Sardinia. Papers of the EAA Third Annual Meeting at Ravenna 1997, 3, collana "BAR, international series", 719, Oxford, Archaeopress, 1998, pp. 7-19;  
Moravetti, Alberto (2000) Nuovi scavi nella necropoli ipogeica di Santu Pedru (Alghero-Sassari): la tomba VII. In: Multas per gentes: studi in memoria di Enzo Cadoni, Sassari, EDES Editrice Democratica Sarda (stampa Tipografia TAS). p. 251-278. 
 
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