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Associazione ArcheOlbia
Promozione e Valorizzazione dei Beni Culturali

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ArcheOlbia
Piazza San Simplicio c/o Basilica Minore di San Simplicio
07026 Olbia (OT)
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3456328150 Durdica - 3425129458 Marcello -
3336898146 Stefano
C.F. 91039880900


“Aprire il passato significa raccontarlo. Alla comunità scientifica sì, ma soprattutto alla comunità dei cittadini cui il lavoro degli archeologi e, più in generale, degli operatori dei beni culturali deve rivolgersi.”.

venerdì 25 ottobre 2019

Il retablo perduto di Don Francesco Tamponi

Venerdi 25 ottobre 2019
ore 20
Basilica di San Simplicio - Olbia

Museum Civitatense - Basilica di San Simplicio - Olbia


di Museum Tempio Ampurias

L’antica Cattedrale di San Simplicio, oggi innalzata al rango di “Basilica Minore” costituisce, da sempre, con la chiesa di San Paolo uno dei due poli geografici dell’identità di Olbia.
L’edificio romanico è testimonianza di un intreccio di storie che si cristallizzarono nel XII secolo nelle forme architettoniche che lo caratterizzano. La collina o temenos di San Simplicio, localizzata fuori dal circuito urbano antico, fu utilizzata fin dall’epoca fenicia (750 a.C.) come area cimiteriale e per il culto di divinità legate alla morte e alla rinascita. Il luogo fu occupato, in epoca imperiale romana, dallo sviluppo di un tempio dedicato al culto di Cerere. Con il passaggio all’epoca Costantiniana e paleocristiana il temenos di San Simplicio non perse la sua funzione e l’antico tempio pagano fu rilanciato con il nuovo culto dei quattro Martiri olbiesi: Simplicio, Diocleziano, Fiorenzo e Rosula, che trovarono in questo luogo la loro sepoltura.
Gli spazi di culto furono completamente rinnovati con l’edificazione dell’attuale struttura basilicale tra il 1113 e il 1140 a segnare la nuova funzione della città di Olbia quale capitale del Giudicato di Gallura e della Diocesi di Civita.
La Basilica di San Simplicio, nella sua austerità, nasconde un intrico di storie che il Museum Civitatense offre ai visitatori, guidandoli a osservare con attenzione una miriade di particolari che rivelano misteri non visibili ad uno sguardo superficiale. La direzione dell’abside a Occidente è traccia delle antiche strutture templari e del racconto delle devastazioni islamiche e pisane che le abbatterono definitivamente, lasciandone pochi frammenti ancora visibili tra i blocchi di granito delle murature medievali. La disposizione a tre navate richiama le liturgie che riecheggiarono sotto le sue volte e delle quali rimangono immagini nelle sinopie dell’abside. Le forme del romanico tosco-lombardo riportano al legame con l’altra sponda del Mediterraneo che fece del Giudicato di Gallura e della Diocesi di Civita la propria testa di ponte nell’isola.

museum civitatense

Il cuore della Basilica è occupato dal culto dei Martiri olbiesi, i primi che in Sardegna caddero vittime della persecuzione di Diocleziano. La fede in San Simplicio è testimoniata, fin dalla prim’ora, dalle reliquie e tra queste dal sangue del martire custodito fino ad oggi nella sua ampolla di alabastro sotto l’altare.
La visita guidata alla Basilica di San Simplicio, primo polo del Museum Civitatense, permetterà al visitatore di entrare nel cuore della storia, della cultura e dell’identità più intime della città di Olbia.


Dove:
Olbia (OT), c/o Chiesa S. Simplicio
Orari:
dal Lunedi al venerdì dalle 09.30 alle 17.30 e il sabato dalle 09.30 alle 13:00.
Domenica su prenotazione

Per informazioni:
(FR IT) +39 3456328150
(EN) +39 3425129458

venerdì 18 ottobre 2019

Basilica della Natività della Beata Vergine Maria - Luogosanto


Basilica della Natività della Beata Vergine Maria

di Durdica Bacciu 
Ph D.Bacciu


Simbolo della fortissima devozione mariana dell’intera Gallura, fondata dai padri francescani nel XIII secolo, dichiarata Basilica nel 1228 da Papa Onorio III, secondo un documento del 1519, fu la prima chiesa gallurese a ricevere questo titolo, ebbe l’istituzione della porta santa, documentata negli archivi diocesani sin dal 1700 e viene aperta ogni 7 anni.
Secondo quanto afferma il Vescovo di Ampurias e Civita, Ludovico Gonzales, in una lettera compilata nel 1519, asserendo di aver tratto la notizia da un probabile Condaghe di Luogosanto, tre frati francescani si trovavano nella chiesa di S. Giovanni Battista in Gerusalemme dove ebbero l’apparizione di Maria che chiedeva loro di recarsi in Sardegna, in una zona boscosa denominata Capo di Sopra dove avrebbero trovato  i resti dei corpi di Nicola e Trano, santi, i quali avevano condotto la loro vita da eremiti in quei luoghi e lì vi avevano trovato la morte. La Vergine chiese ai frati di costruire tre chiese, una in suo nome, una per San Nicola e una per San Trano. I tre frati obbedirono e arrivati in Sardegna, trovato il luogo indicato, vi costruirono il loro eremo e attraverso le offerte dei fedeli, le tre chiese, nel luogo chiamato Logosancto ovvero Luogosanto. Costruite le tre chiese, i principales di Sardegna fecero la richiesta al pontefice Onorio affinché inviasse un delegato per la consacrazione e conferisse alle stesse «indulgencias et perdonos». Onorio inviò in Sardegna Giovanni, cardinale di Avignone, il quale arrivato a Luogosanto, convocò tutti gli arcivescovi e vescovi di Sardegna per la consacrazione delle chiese, intitolando la prima a Dio e alla Vergine Maria, la seconda a San Nicola e la terza a San Trano, unendo queste due ultime alla prima. Quindi affiliò le tre chiese all’Ospedale di S. Giovanni Battista di Gerusalemme.


Già nel 1600 Luogosanto divenne meta dei pellegrini galluresi e non solo, come testimonia Dimas Serpi nella sua Chronica de los santos de Sardeña.
Nel XVIII secolo, quando la basilica fu ricostruita, ricevette il privilegio della porta santa, in passato murata, dagli anni Settanta del XX secolo rappresentata da una porta bronzea.
Costruita in conci di granito ben squadrati, ha mantenuto la classica forma romanica e con la suddivisione in tre navate. La facciata è in granito a vista, divisa in due livelli da una cornice. In quello inferiore si aprono tre porte sormontante da timpani e una lunetta al centro, due oculi ai lati, mentre quello superiore presenta un rosone cieco e due volute a spirale. L’interno è a tre navate, divise in quattro campate da pilastri reggenti arcate e volte a vela. L’altare è adornato da una Madonna lignea del XVIII, ritrovata in una spiaggia nelle zone di Arzachena e custodita all’interno di una teca. È il simbolo di Luogosanto, città mariana dal 2008, venerata in tutta la Gallura e meta di pellegrinaggi in Maggio, Giugno e per l’8 Agosto, festa manna per la nascita della Vergine. 

Caratteristici sono gli affreschi del 1944 eseguiti da un pittore militare, Carlo Armanni, lombardo, soldato della divisione Cremona, come ex voto per ringraziare la Madonna per essere sopravvissuto alla II guerra mondiale. Sono opera sua e dei suoi compagni Beccali, Callegari, Volpini, Tosini Alberto (muratore): i Santi Nicolò e Trano e tutte le pitture parietali.
Nelle cappelle troviamo la statua dell’Addolorata e di Sant’Antonio Abate, tutte opere ricondicibili ai primo trentennio del ‘900.










Bibliografia:
- Alessandro Soddu:
"La lettera d’indulgenza del vescovo González (1519)e il cosiddetto condaghe di Luogosanto" in http://www.sardegnamediterranea.it /pdf/Alessandro_Soddu_Luogosanto_2009.pdfn
-Mastino Attilio:
Valutazioni storiche su "Il Condaghe di Luogosanto": Francescani in Gallura. Almanacco gallurese, Vol. 2010-2011, p. 321-329. 
- G.FOIS,M.MAXIA:
 Il Condaghe di Luogosanto, Taphros, Olbia, 2009  
- Luigi Agus:
 Basilica-santuario della Natività di Maria in http://www.archgall.it/basilicaluogo.html



mercoledì 16 ottobre 2019

Presentazione Volume: Il retablo perduto di Don Francesco Tamponi

di Durdica Bacciu

VENERDI 25 OTTOBRE ORE 20
BASILICA DI SAN SIMPLICIO MARTIRE - OLBIA

Nella parte più nascosta della cattedrale di Ampurias in Castelsardo si materializza finalmente un indizio. Antonio il Grande, l'anacoreta del fuoco e del deserto, nel suo vecchio simulacro di legno, sebbene defilato e ramingo tra le sacristie e gli altari, è da sempre presente e si manifesta come arcano testimone di una rivelazione. Il suo racconto affida a queste note la storia non detta, nella puntuale geografia dei fatti, che le cronache delle evoluzioni e delle trasformazioni dei luoghi e delle opere hanno percorso. Il retablo perduto, attraverso le parti che di esso sopravvivono, ritrova i passi della sua storia e riannoda le trame del tempo intorno a un enigma di cui tutto ignoravamo fuorché l'esistenza.

https://www.canale12.it/2019/08/21/castelsardo-svelati-misteri-sul-retablo-perduto/

Santuario di Nostra Signora di Tergu – Tergu



Santuario di Nostra Signora di Tergu – Tergu

 di Durdica Bacciu
Ph D.Bacciu


Il Santuario di Nostra Signora di Tergu, già Sancta Maria de Therco, viene fondato dai frati benedettino di Montecassino (e figura al primo posto fra le filiazioni sarde celebrate nelle porte bronzee di Montecassino: IN SARDINIA/S(AN)C(T)A MARIA IN/THERCO CUM/PERTINENTIIS SUIS) sotto il governo del Giudice Mariano I De Lacon-Gunale ( testimonianza citata nel Libellus judicum turritanorum  - Cronaca in volgare logudorese del sec. XIII). Il complesso monastico rappresenta al meglio l’architettura romanica con segni di maestranze pisane e lombarde. Non si hanno notizie certe sulla data della sua consacrazione ma gli studi propendono per la data del 1117, come narrato nello PseudoCondaghe di Tergu, altrettanto non si hanno notizie certe neanche sull’edificazione dell’annesso monastero che non era più in funzione già nel 1300. La testimonianza di cio ci viene dall’assemblea voluta da Pietro IV d'Aragona nel 1355, dove non compare nessun rappresentante del monastero, mentre sono presenti quelli dei Vallombrosani, dei Cistercensi, dei Camaldolesi e degli Ospedalieri gerosolimitani. Nel 1444 i beni di Santa Maria di Tergu vengono aggregati alla mensa arcivescovile turritana. Più tardi, nel 1503, Giulio II, con bolla del 26 novembre, univa l'abbazia al vescovado di Ampurias, trasferito allora nella nuova sede di Castel Aragonese (Castelsardo). Tracce del complesso monastico sono perfettamente riconoscibili tutt'attorno attraverso gli scavi archeologici svolti nel 1959, che permettono ancora oggi, di ricostruirne la pianta con il refettorio dei monaci e dei conversi, la cucina, il chiostro, i magazzini e il profondo pozzo.
Sardegnaturismo.it
Nata probabilmente ad unica navata con abside semicircolare e copertura lignea (1065-1082), la chiesa mostra di aver subìto nel tempo varie aggiunte e rifacimenti. Due frammenti di iscrizione recano la notizia di lavori edili condotti nel monastero e nella facciata che, probabilmente, venne ricostruita tra il 1150 e il 1200.  In seguito furono edificate due cappelle laterali ai lati del presbiterio, a formare un transetto. Più tardi, probabilmente nel 1664 come attesta una epigrafe, si sostituì l'abside romanica con un'altra rettangolare con la volta a botte con cornice decorata a dentelli.  L’intera fabbrica si presenta in rossa trachite ad eccezione di alcuni elementi decorativi della facciata, quali le ghiere degli archi, i capitelli delle paraste angolari e le colonnine con annessi capitelli del secondo ordine (tutti in calcare bianco). Tutto il corpo presenta uno zoccolo a scarpa, viene scandito da lesene e, sopra le lesene, un coronamento ad archetti. Le porte laterali si presentano architravate e sovrastate da un lunotto a sesto rialzato.
La facciata priva del frontone, di cui restano soltanto le basi di due colonnine, è divisa in due ordini tramite una cornice marcapiano in calcare bianco con un fregio ad ovoli classici, foglie d’acqua e caulicoli. L’ordine inferiore è mosso da tre arcate scolpite in calcare bianco sorrette da due colonnine e parastre laterali, mentre quello superiore è decorato con cinque arcate bianche intercalate centralmente da quattro colonine in calcare bianco, due lisce e due tortili mentre lateralmente terminano con due lesene. Sotto ogni arco è presente una formella con motivi geometrici e sopra ogni incroco d’archi si posizionano altrettante quattro formelle. Tutta la scena sovrasta l’oculo centrale a quattro lobi. L’ingresso si presenta gradonato. Addossato al settore settentrionale del transetto si presente la colonna campanaria con una pianta quadrilatera.
Vicino all’ingresso principale, nel lato destro della navata, è visibile un’antica iscrizione, ormai quasi illeggibile che recita:  
A. EGRILIVS A. F.
PLARIANVS
DECVRIAL. SCR. CER. ET
CL. TIFHERMIONE
FECERVNT
CL. TIF. IRENAE
LIB. LIBERTABVS. POSRISQ. EORVM

Il cippo testionia la presenza di un sepolcro famigliare eretto da Aulo Egrilio, figlio di Aulo Plauriano, e da Claudio Tifermione a Claudia Tifermione Irene, e ai liberti, liberte e loro posteri.


Bibliografia: 

- R. Delogu, L'architettura del Medioevo in Sardegna, Roma, La Libreria dello Stato, 1953
- M. Botteri, Guida alle chiese medievali della Sardegna, Sassari, Chiarella, 1978
- R. Serra, La Sardegna, collana "Italia romanica", Milano, Jaca Book, 1989
- R. Coroneo, Architettura romanica dalla metà del Mille al primo '300Nuoro, Ilisso, 1993
- G. Dore, Tergu (SS), S. Maria di Tergu, La decorazione architettonica, Milano, 1994

- Salvatore Chessa, L'insediamento umano medioevale nella curatoria di Montes (Comuni di Osilo e Tergu), Sassari, Magnum, 2002
- R. Coroneo, Chiese romaniche della Sardegna. Itinerari turistico culturali, Cagliari, AV, 2005