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Associazione ArcheOlbia
Promozione e Valorizzazione dei Beni Culturali

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ArcheOlbia
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“Aprire il passato significa raccontarlo. Alla comunità scientifica sì, ma soprattutto alla comunità dei cittadini cui il lavoro degli archeologi e, più in generale, degli operatori dei beni culturali deve rivolgersi.”.

mercoledì 30 novembre 2016

ArcheOlbia - Il nuraghe Nuraddeo di Suni

di Marcello Cabriolu
Ph Internet

Il complesso, ancora in fase di scavo e di studio, si mostra reso in basalto locale. Composto da un mastio centrale a cui si addossa un bastione trilobato, mostra uno sviluppo tronco conico fino all’altezza di 10,50 mt mentre per i successivi quattro filari (circa 4,50 mt) presenta uno sviluppo cilindrico. Il bastione si compone di tre torri: la “B” a NNE, la “C” a ESE e la “D” a WSW, raccordate da altrettante cortine murarie delle quali, quella occidentale, si apre nel cortile antistante al mastio. Si penetra nel bastione e si giunge ad un cortile aperto posto tra la torre B ed il mastio e da lì si raggiunge, tramite un corridoio architravato con finestrella di scarico di forma taurina, la sala al piano terra della torre A.
Il corridoio, dalla volta ad ogiva, non presenta nicchie e si raccorda con la sala quasi integra se non per l’assenza dei massi sommitali della tholos. La sala presenta sulla sinistra una nicchia e contrapposto ad essa, a circa mt 2,50 di altezza dal pavimento, si apre un vano scala che sale in maniera oraria al secondo livello. La scala giunge al primo piano e va ad incrociare un corridoio che congiunge un finestrone, orientato a NNE, con la sala del primo piano. Questa sala, fuori asse rispetto alla stanza del piano terra, si presenta ancora integra nella tholos, e al suo interno, sulla destra, a circa mt 1,10 dal piano di calpestio, si apre il vano per un ulteriore scala che sale in senso orario verso un piano superiore di cui residua ben poco. Il bastione presenta delle cortine rettilinee ad accorpare le torri, circolari sia nella pianta che nella camera: alla torre B si può accedere attraverso un ingresso parzialmente rilevabile aperto sul cortile, mentre alla torre C - che come la torre D presenta un ambiente attiguo che la separa dal mastio - tramite un accesso direttamente con l’esterno mediante una postierla. La torre D infine, pur essendo di forma circolare, non mostra - forse per via del crollo che la ingombra - ancora nessun ingresso. Da una visione area si possono intravedere un intorno costellato di tante strutture ed un antemurale a cingere l’impianto.

Informazioni
Esiste un servizio di visita guidata lungo l'itinerario archeologico ambientale che comprende anche il nuraghe Seneghe, le domus de janas di Chirisconis e la zona umida di Pischina. A Suni è possibile visitare anche il Museo Casa della Tecnologia contadina Tiu Virgilio.
Ente Titolare: Comune di Suni
e-mail: protocollo@pec.comune.suni.or.it
sito web: www.comune.suni.or.it
Telefono 0785 34273 - fax 0785 34170 


Come arrivare: 
Si lascia l'abitato di Suni e si prende la strada per Padria. Arrivati al km 65,5 si svolta a sinistra e si oltrepassa un cancello che introduce in un viottolo per l'area archeologica, distante circa 200 m.


 
 

sabato 26 novembre 2016

ArcheOlbia - La necropoli di Anghelu Ruju

di Marcello Cabriolu
Ph Internet

La necropoli venne scoperta in maniera fortuita nel 1903, mentre si cavavano pietre per la costruzione di una casa colonica. Dopo le segnalazioni all’archeologo Antonio Taramelli riguardanti la presenza di un cranio e di frammenti di un vaso tripode, l’area vide l’inizio degli scavi e delle indagini nel 1904. Coadiuvato da Nissardi, l’allora Soprintendente alle antichità poté inquadrare e riprodurre su carta almeno dieci ipogei (tombe scavate nel sottosuolo) nella prima fase di scavo, mentre nella seconda il numero raggiunse 21 unità. Le ricerche condotte durante gli anni trenta e sessanta elevarono ancora il numero delle sepolture sino alle 38  unità, evidenziando l’abitudine già sottolineata in altre località, da parte degli uomini preistorici sardi, di scavare ampie necropoli per soddisfare le esigenze funerarie di più centri abitati.
Ricavata in parte sulle rive di un torrente (Riu Filibertu), e in parte su una mezza collina di circa 23 mt s.l.m., la necropoli mostra l’intenzionalità dei costruttori di implicare le acque fluviali nel rituale di seppellimento degli individui. La pianta dell’area ci mostra una disposizione delle tombe a semicerchio, sia in prossimità del fiumiciattolo che a circondare la mezza altura, considerazione valutabile dall’osservazione dei dromos (corridoi d’accesso) e delle camere. Gli ingressi alle sepolture si rivelano di vari tipi: sia a pozzetto verticale o anche obliquo che a dromos discendente. Le camere si presentano generalmente a pianta tondeggiante (la tipica forma dell’utero della divinità) tranne quelle a dromos le quali presentano ambienti rettilinei. Le pareti delle sepolture, a sottolineare il carattere sacro, presentano decorazioni architettoniche, pitture rosse, protomi taurine e false porte.
Nei pavimenti sono ricavate delle coppelle (forme tondeggianti incavate), nelle quali venivano alloggiati i betilini votivi. L’utilizzo della necropoli è testimoniato per un ampio periodo che va dal Neolitico Recente (3500 a.C.) alla cultura di Bonnannaro (1800 a.C.), dimostrando una continuità culturale di ben 1700 anni. Le analisi condotte sui resti umani mostrano che la popolazione era in maggioranza (84%) di tipo mediterraneo, con cranio dolicomorfo (forma cranica allungata, lunghezza maggiore rispetto allo spessore tra tempia e tempia). Le forme grafiche ben precise e i segni scolpiti su alcune sepolture ci fanno inoltre intuire che le genti dell’epoca conoscevano già simbologie idonee a una primordiale forma di scrittura.


Come arrivare:
Da Alghero si prende la "strada dei due mari". Dopo 10 km sono i visibili i cartelli che segnalano la necropoli
Per informazioni:
Telefono +39 329 4385947 /+39 349 0871963
Sito internet: www.coopsilt.it
e-mail: silt.coop@tiscali.it 
 

giovedì 24 novembre 2016

ArcheOlbia - Il nuraghe Palmavera di Alghero

di Marcello Cabriolu
Ph Internet



Nel 1905, a seguito della volontà da parte del Soprintendente A. Taramelli di indagare un sito in prossimità del mare per cogliere elementi di importazione tra i prodotti indigeni, si decise di scavare il Nuraghe Palmavera. Questa scelta fu motivata dal fatto che l’area, dall’enorme massa di pietre sconvolte, occupava una posizione dominante, ma allo stesso tempo si presentava riparata e facilmente raggiungibile dalla strada provinciale. Le indagini condotte, rese a segnare i limiti della costruzione e le parti che la costituivano, evidenziarono una struttura formata originariamente da un Mastio (torre A) e da alcune capanne attorno, edificate attorno al XVI sec. a.C., tutto in calcare. La seconda fase edilizia, individuabile tra il XII e il X sec. a.C., dovrebbe coincidere con il momento di edificazione della torre B, in calcare anch’essa, che venne compresa, tramite il rifascio in arenaria, in un unico corpo con la torre arcaica e con una sorta di cortile interposto tra le due strutture.
Nello stesso momento il villaggio crebbe e sorsero numerose altre capanne e strutture, compresa la “capanna delle riunioni”. Al momento è ancora possibile notare uno stacco netto tra la struttura turrita e il resto del villaggio. La separazione è resa dall’antemurale di forma pentagonale, con torri disposte nei vari vertici liberi, a eccezione del versante sud ovest, occupato dalla capanna delle riunioni. Quest’ultima risulta l’unica struttura inglobata in un particolare ‘temenos’, un recinto sacro o comunque inviolabile. La torre principale conserva due nicchie di luce trapezoidale ed è ancora voltata a ogiva, mentre la torre aggiunta, originariamente in calcare come mostrano le foto d’epoca, venne scoperta quasi rasa al suolo e letteralmente ricostruita da chi compì gli scavi, inglobando numerosi elementi in arenaria provenienti dal rifascio. La capanna delle riunioni, forse la più grande dell’insediamento, mostrò in fase di scavo di avere un bancone - sedile che seguiva parzialmente il profilo circolare della struttura. Il punto in cui non si segnalava la presenza del sedile era opposto all’ingresso e corrispondeva a una grossa nicchia sulla cui soglia era posizionato un seggio - tronetto in arenaria, probabilmente destinato alla figura di potere della comunità.
Al fianco destro del seggio del comando stava uno spazio quadrangolare delimitato da lastre ortostatiche - inquadrato come vasca - mentre al centro della sala stava una base con un betilo che, verosimilmente, fungeva da supporto per il simbolo della giustizia e della divinità: l’ascia bipenne. In relazione all’area indagata si segnala una quantità abbondante di reperti: dalle ceramiche rese con il tornio e decorate con uno stampiglio in osso di bovino, agli strumenti reali (non votivi) in bronzo e in rame, passando per la consistente quantità di ceramiche restaurate con grappe di piombo. Tutti elementi che, per consistenza e varietà, ci indicano un’economia di tipo misto: agricoltura, allevamento, caccia, pesca, metallurgia e commercio. Un insieme di risorse per un modello di vita più che dignitoso.


Per informazioni
Telefono: 079 9944394; Fax 079 981101
Gestione: Coop SILT a r.l., via Mattei 14/16, Alghero  Sito internet: www.coopsilt.it e-mail: silt.coop@tiscali.it


Bibliografia:
A.Taramelli, "Il nuraghe Palmavera di Alghero", in Monumenti Antichi dei Lincei, XIX, 1904;
G. Lilliu, I nuraghi Torri preistoriche della Sardegna, Cagliari, La Zattera, 1962, p. 86-89;
E. Contu, "Considerazioni su un saggio di scavo", in Rivista di Scienze Preistoriche, XVII, 1962, p. 297;
A. Moravetti, "Nuovi modellini di torri nuragiche", in Bollettino d'Arte, VII, 1980, pp. 65-84; 

A.Moravetti, Il complesso nuragico di Palmavera, collana "Sardegna archeologica. Guide e itinerari", Sassari, Carlo Delfino, 1992;

martedì 22 novembre 2016

ArcheOlbia - Il nuraghe Iloi di Sedilo



di Marcello Cabriolu
Ph D. Bacciu 

durdica bacciu
L’altipiano basaltico che domina il lato settentrionale del Lago Omodeo ospita, in regione Iloi, un complesso di svariate componenti: un nuraghe polilobato, delle Tombe dei Giganti e numerose Domus de Janas. Le ricerche condotte documentano, tramite  gli innumerevoli saggi specifici, un’ampia e varia frequentazione preistorica del comune di Sedilo, mentre la descrizione analitica in merito al nuraghe è pochissima, quasi nulla. Dalla planimetria possiamo analizzare il nuraghe, che la Prof.ssa Tanda inquadra come misto, intuendone un mastio centrale circondato da un bastione trilobato.
durdica bacciu
Si suppone che il bastione, l’elemento forse più recente riconducibile al Bronzo Recente, fosse perlomeno trilobato per via delle tre torri secondarie che lo costituiscono, visto che il crollo sul lato occidentale non permette di osservare altro se non l’accenno di un corridoio. In virtù di questo si elabora che la forma originaria del complesso, inquadrabile tra il Bronzo Antico e il Bronzo Medio, fosse trapezoidale e comprendesse la torre centrale. 

durdica bacciu
L’elemento utilizzato nell’erezione della struttura è il basalto, che risulta impiegato in filari ordinati di grandezza decrescente man mano che si raggiungono le parti superiori dell’edificio. La parte visitabile del complesso consiste nella torre secondaria E che presenta un ingresso con architrave senza finestrella. Tramite quest’ingresso si accede a una sala voltata a tholos integra, dove sulla sinistra si aprono una rampa di scale sopraelevata rispetto al piano di calpestio e sul fondo una nicchia sempre sopraelevata. Nella parete esterna della torre in esame risultano presenti due feritoie sovrapposte.
durdica bacciu
Degna di nota è la presenza del villaggio, dove è possibile notare l’esistenza di un isolato molto simile al complesso di Serra Orrios di Dorgali oppure ancora di Sedda ’e Sos Carros di Oliena. La parte meridionale del complesso risulta occupata dall’area funeraria, dove almeno due Tombe dei Giganti, caratteristiche dell’Età del Bronzo, emergono dal terreno. Il corridoio di entrambe le sepolture è di sezione ogivale ed è ottenuto dalla sovrapposizione, nella sepoltura A, di conci lastriformi ben lisciati con faccia a vista obliqua, mentre, nella sepoltura B, di conci poligonali più piccoli. La rifinitura venne fatta con lastre ortostatiche in basalto ben rifinito; l’ingresso venne chiuso con un portello a cui si sovrapposero un concio a dentelli e un lunotto, mentre il corridoio venne chiuso con archetti sempre più piccoli verso l’abside (parte posteriore arrotondata). 
 durdica bacciu
Come arrivare: 
Dalla Abbasanta-Nuoro (SS 131 bis) si prende lo svincolo per Sedilo/Sud. Si costeggia l'abitato e quindi, subito dopo il campo sportivo, si svolta a sinistra. Si procede per circa 800 metri, svoltando quindi ancora a sinistra. Percorsi 400 metri la strada ha termine in un piccolo spiazzo.  



durdica bacciu
Bibliografia: 
M. Sequi, Nuraghi, manuale per conoscere 90 grandi torri megalitiche della Sardegna, Robbiate, Multigraf, 1985, p. 21;
G. Tanda, "La tomba n. 2 di Iloi a Sedilo. Nota preliminare alla campagna 1987", in La Sardegna nel Mediterraneo tra il Bronzo Medio e il Bronzo Recente (XVI-XIII sec. a.C.), Atti del III Convegno di studi: Un millennio di relazioni fra la Sardegna e i paesi del Mediterraneo, (Selargius, Cagliari, 19-22 novembre 1987), Cagliari, Edizioni della Torre, 1992, pp. 55-69;
Sedilo. I monumenti - 1: I monumenti situati nell'area del progetto, a cura di G. Tanda, Villanova Monteleone, Soter, 1995, pp. 113-117, pp. 122-123;
A. Depalmas, "Il territorio di Sedilo durante i tempi preistorici", in Sedilo – I: La storia, Cagliari, 1998, pp. 14-18.

lunedì 21 novembre 2016

Cortes Apertas con ArcheOlbia


PROSSIMA ESCURSIONE 4 DICEMBRE 2016 - TETI

Teti è un piccolo centro del Mandrolisai situato sulle montagne della Barbagia di Ollolai, nella splendida valle del Taloro. Il territorio è interessante sia dal punto di vista archeologico, per la presenza dei villaggi nuragici di "Abini" e "S'urbale", sia dal punto di vista naturalistico, grazie ai fitti boschi di lecci, sughere e roverelle ricchi di sorgenti.


domenica 20 novembre 2016

ArcheOlbia - La tomba dei giganti di San Cosimo di Gonnosfanadiga



di Marcello Cabriolu
Ph D.Bacciu

durdica bacciu
L’area funeraria di San Cosimo, detta anche Sa Grutta de Santu Giuanni, consta di un corpo tombale contornato da un insieme trilobo di menhir. Il corpo tombale, reso in macigni di granito, si apre in direzione S ed è lungo circa 22 mt. La sepoltura mostra un corridoio interno di sezione trapezoidale chiuso da architravi sino alla parte postica. I fianchi vengono resi da macigni sub rettangolari disposti in sette filari per parte, rincalzati da qualche zeppa, mentre la parete di fondo vede quattro filari di massi più grandi a chiudere la sepoltura.
durdica bacciu
Il prospetto tombale è costituito da un’esedra ampia di conci poligonali resi a prospetto murario. Il principio edilizio di costruzione dell’emiciclo è basato sul muro a “sacco” ed è interrotto solamente in prossimità del portello dove un poderoso architrave delimita l’ampiezza del corridoio. I conci disseminati sul terreno circostante mostrano che la tomba non venne chiusa da un'unica stele gigantesca ma che questa venne resa da almeno due grossi macigni assemblati e posati sopra l’architrave. La “pratza” antistante il monumento è caratterizzata da alcuni bacini cultuali, da un percorso lastricato e da altre strutture inerenti il quartiere funerario, immerso in una platea naturale di grande impatto visivo oltreché collocato in prossimità di un corso d’acqua. 

durdica bacciu


Tre grandi circoli di menhirs sia aniconici che antropomorfi creano una scena di antenati o una “reula” di anime attorno alla sepoltura megalitica. I materiali rinvenuti nell’intorno collocano l’edificazione e l’uso del contesto tra il XV e il XIV sec. a.C.





durdica bacciu


Come arrivare:  
Da Gonnosfanadiga si procede per Guspini sulla SP 126. Si prende il primo bivio a sinistra, poi si svolta a destra verso Arbus, si continua per 2,5 km e si prende una strada sterrata per le cave di sabbia. Dopo m 300 al bivio si svolta a d. poi si prosegue per oltre 200 m

  

durdica bacciu
Bibliografia
G. Ugas, "La tomba megalitica 1° di San Cosimo-Gonnosfanadiga (Cagliari): un monumento del bronzo medio (con la più antica attestazione micenea in Sardegna)", in Archeologia sarda, 1, 1981, pp. 7-20;
G. Ugas, "Gonnosfanadiga (Cagliari) San Cosimo", in I Sardi: la Sardegna dal paleolitico all'età romana, a cura di E. Anati, Milano, Jaca Book, 1984, pp. 99-101. 

sabato 19 novembre 2016

ArcheOlbia - Leggende sarde: Sa Musca Macedda

di Durdica Bacciu
Ph Internet

Riprendendo con le leggende sarde, oggi vi raccontiamo quella di una figura chiamata Musca Macedda, un personaggio probabilmente femminile. Secondo le modalità di traduzione della lingua sarda, il termine Macedda (Maghedda e Mahkedda in logudorese e nuorese) dovrebbe derivare dal logudorese "maccellare - fare a pezzi" mentre la variante campidanese traduce il termine musca macedda con "mosca matta". 
Si narra che nelle segrete di alcuni castelli, ci fossero racchiusi due forzieri: in uno venivano conservati gli ori e le pietre prezione e nell'altro uno sciame di musca macedda. Se il malcapitato avesse aperto il forziere sbagliato si sarebbe reso colpevole dello sterminio dell'intero suo villaggio e dei 7 villaggi confinanti. Questo aneddoto aveva probabilmente lo scopo di fare da deterrente per chi spesso andava alla ricerca di tesori nei castelli. Sa musca viene descritta come una essere enorme, con grandi e robuste ali e un pungiglione velenoso.

Questa leggenda è diffusa e viene raccontata in diversi paesi della Sardegna e qui vi raccontiamo quella di Iglesias, Trexenta e Lotzorai.
Ad Iglesias si racconta di un frate che chiese aiuto alla popolazione per combattere sa musca, suonando una musica e facendo mettere tutti in tondo in modo da creare un cerchio magico. Con questo stratagemma il frate riuscì a catturare diverse mosche macedda e le rinchiuse in sette botti, portate nelle segrete del castello e ancora li nascoste.

Nel territorio della Trexenta, esattamente al nuraghe Erra, si narra di un contadino che incontrò una bella donna che lo invitò a seguirla sin dentro il nuraghe. La donna era una musca caddina trasformata per attirare poveri malcapitati nella sua trappola. Una volta entrato dentro il nuraghe, il contadino, vide diversi tesori in un angolo e si meravigliò. La donna gli disse di scegliere il tesoro che preferiva per ringraziarlo della disponibilità. Il contadino, vedendo che qualcosa non andava per il verso giusto, scelse due misere campane di bronzo e chiese di aspettarlo lì dentro chè doveva andare a legarle ai suoi buoi e sarebbe tornato. Una volta fuori chiuse in fretta e furia l'ingresso con una grossa pietra impedendo alla musca di uscire e uccidere altre persone. Da questo momento nessuno ha più visto sa musca.

A Lotzorai invece, si racconta del castello della Medusa abitato dalla principessa Locana e dal consorte. Dovuto partire per una guerra, decise di costruire il castello per mettere in sicuro la moglie Locana, la servitù e i tesori in caso di attacchi nemici. Finita la guerra, Locana seguì il marito e lasciò nel castello i suoi averi e temendo che i servi rubassero tutto, decise di nascondere gli ori in due casse, una con i preziosi e una con la musca macedda. I servi, credendo fosse solo una leggenda per non rubare l'oro della principessa, scoperchiarono un baule e capirono che era tutto vero, trovandosi davanti la temutissima musca. Nessuno ebbe la forza di fermarla e iniziò la sua morte e distruzione sino a quando un uomo non trovò il coraggio di unire le forze dei poveri supertiti, ordinando a questi di seguirlo, di mettersi in tondo e ballare sino a formare un cerchio e avvicinarsi sempre più. In questo modo, il cerchio creatosi divenne sempre più piccolo sino alla sua chiusura. In questo momento successe un fatto inspiegabile, tutte le musca caddero al centro della piazza, formando un mucchio di esseri senza vita. Fu in questo istante che venne dato l'ordine di rinchiudere le mosche in sette botti e farle bruciare tre giorni e tre notti.


 

Dal punto di vista storico, si cerca di dare una spiegazione alla nascita di queste leggende. Si pensa che con l'arrivo dei romani si portino anche le zanzare anofele che con la propria puntura trasmettevano la malaria. Forse tutto nasce da questo...il non riuscire a dare una spiegazione logica ad degli eventi straordinari...