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“Aprire il passato significa raccontarlo. Alla comunità scientifica sì, ma soprattutto alla comunità dei cittadini cui il lavoro degli archeologi e, più in generale, degli operatori dei beni culturali deve rivolgersi.”.

mercoledì 29 giugno 2016

I Sardi nel Mediterraneo - Il Popolo Shardana - ed. Domusdejanas 2010



di Marcello Cabriolu
Ph: Internet
Fin da epoche remote, e per via delle sue innumerevoli risorse, la Sardegna fu verosimilmente un crocevia di beni e di ricchezze provenienti dai commerci e dalla navigazione. Probabilmente culla della più antica marineria, l’isola riuscì, come prima testimonianza di floridi commerci, a distribuire l’ossidiana estratta sul Monte Arci e nell’Isola di Sant’Antioco[1]  dalle coste del Golfo del Leone sino alle coste della Puglia e poi fino in fondo alle foci del Danubio[2]. Grazie a studi accurati sono stati indagati i circa 300 punti di estrazione del “vetro vulcanico” collocati sul Monte Arci e sono stati individuati diversi tipi di ossidiana più o meno fragili probabilmente indicati per diversi usi. 

Monte Arci
 Naturalmente l’ossidiana è testimoniata anche in altri contesti estranei alla Sardegna collocati nel Mediterraneo Occidentale quali le Isole Pontine, Lipari e Pantelleria. Degna di riflessione è la constatazione che in questi ultimi contesti lo sviluppo della vita - o di una comunità in grado di estrarre e distribuire il materiale – si manifestò solamente in epoca storica, ponendo il dubbio su chi realmente fosse lo sfruttatore delle risorse. La distribuzione del materiale dei quattro principali giacimenti vede, nell’ambito dei contesti di fruizione sparsi tra l’arco franco ligure, la Corsica, l’Italia Centrale e l’Europa Danubiana, una spiccata preferenza per il materiale Sardo nelle sue quattro varianti. Pare doveroso chiedersi, in virtù dell’assenza di forme civili negli altri contesti produttivi, quale altro gruppo umano distribuì il materiale dando preferenza a quello Sardo. Lo scrivente, stimolato da altri studiosi quali ad esempio Mikkelj Tzoroddu, è portato a ipotizzare che solo la marineria sarda fosse in grado, in epoca preistorica, di distribuire da sola sia il proprio materiale che quello estratto dai siti precedentemente citati fissando perciò un vero e proprio controllo sul traffico di ossidiana[3]. La distribuzione del materiale, avvenuta in percentuali a favore del prodotto sardo (almeno il 50% del prodotto rilevato in ciascun sito di distribuzione), è riconducibile almeno al 12.200 + 400 BP ( Before Present – prima del presente), periodo indicato dalle datazioni ottenute dall’ossidiana rinvenuta nel Riparo Mochi (Egeo). Grazie a queste indelebili tracce nella storia è possibile testimoniare la capacità dei sardi, tacciati di isolamento, di muoversi al di fuori del contesto isolano.

L’elemento marino e la felice posizione geografica della Sardegna, al centro del Mediterraneo Occidentale, hanno costituito da sempre degli elementi di coesione anziché di isolamento. Basta riflettere su esempi quali il fiorire della Cultura campaniforme in Sardegna contemporaneamente a quella dell’Europa Centrale per capire quanto la Sardegna preistorica fosse in contatto con l’Europa continentale. Si può ancora studiare il successivo fenomeno dell’ipogeismo e ascoltare Giovanni Lilliu imputare l’origine degli ipogei eneolitici francesi della conca di Parigi ad una matrice sarda di cultura Abealzu – Filigosa[4], per avere altre testimonianze relative agli spostamenti dei Sardi. In merito al rapporto profondo e assodato tra i Sardi ed il Mediterraneo è possibile osservare l’arrivo precoce della metallurgia in Sardegna, congettura sostenuta pienamente dalle relative datazioni fatte da Tykot sulle lame di bronzo della necropoli di Mesu ‘e Montes (Ossi – Tomba II), imputate attorno al 3200 a.C e la spatola di Monte Baranta (Olmedo) del 2700 a.C.[5]. Grazie all’elemento marino le popolazioni nuragiche si rivelano esportatrici, sotto molti punti di vista, di elementi quali ad esempio la cultura materiale legata alla produzione del vino, oppure la cultura materiale legata alla produzione di armi, oppure ancora delle tecniche relative all’edilizia. Tra le regioni che condividono con la Sardegna del Bronzo Medio e del Bronzo Finale similitudini nell’edilizia abitativa e in quella religiosa troviamo la Penisola Iberica, la Francia, la Corsica e le Baleari, tutte regioni raggiungibili unicamente attraverso il mezzo marino. Si possono inoltre riscontrare somiglianze marcate, in ambito culturale, tra la Sardegna nuragica e svariati contesti umani oltre mare quali l’Etruria, il basso Tirreno, la Sicilia, le regioni ioniche e Creta, sia per quanto riguarda la ceramica della facies eoliana di Capo Graziano sia  per la presenza in tutti questi territori di brocche askoidi esclusivamente sarde[6]. A prova della familiarità con l’ambiente acquatico si possono inoltre citare le ceramiche nuragiche testimoniate a Cadice, Huelva, Sevilla e sull’Atlantico iberico a dimostrazione di una capacità commerciale di tutto rispetto[7]. La padronanza del mezzo acquatico permise ai Sardi di esportare l’attività edilizia e gli stili esclusivamente indigeni sino al Mediterraneo Orientale. La conferma di tale affermazione possiamo trovarla se analizziamo le capanne circolari del Levantino:
Capograziano - Sicilia
strutture abitative e di vario genere caratterizzate nell’architettura[8] [9] da elementi nostrani ravvisabili nell’inconfondibile paramento murario a sacco tipico delle architetture sarde. La Grecia micenea richiese l’intervento di mastri edili Sardi per edificare l’Unterburg di Tirinto come per la fonte Perseia di Micene; le sepolture ipogeiche a cassone litico circondate da circoli di pietre del diametro di 8 mt circa, create nella penisola greca [10], richiamano fortemente i circoli tombali di Arzachena e di Goni.
Goni - Circolo tombale
 
In aggiunta alle già numerose testimonianze si possono citare gli Hittiti come committenti di una muraglia favolosa per le città di Hattusha e di Buyukkake, oppure di un favoloso tunnel ad Alacha Huyuk in Anatolia[11], tutte prove di un’edilizia sarda giunta molto lontano. Infine sembra doveroso citare i contatti tenuti con l’antico Egitto grazie allo sfruttamento delle reti commerciali. I traffici di merci e di uomini, avvenuti attraverso il Mediterraneo, sono ora testimoniati nei dipinti raffiguranti l’aspetto dei principi delle Isole del Cuore del Verde Grande “recanti doni” ai faraoni Ashepsut e Tuthmosis III o verosimilmente commercianti con il regno Egizio. I caratteri somatici e le armi raffigurate nei dipinti egizi ci dimostrano che i principi delle Isole del Cuore del Verde Grande non sono Micenei, bensì appartengono al gruppo etnico dei Sardi o definiremmo meglio degli Shardana[12], citati persino nelle cronache a El Amarna tra il XIII e il XII secolo a.C.. Gli Shardana si rivelano tra i protagonisti di quella lega definita “dei Popoli del Mare” e delle vicende ad essa legate quali ad esempio l’invasione del Mediterraneo Orientale. L’antropologia ci fornisce ora i dati che ci supportano nell’elaborazione di chi fossero i Popoli del Mare ed in particolar modo su chi fossero gli Shardana e la loro identità Sarda.
 
Ramses III contro i popoli del mare
  Nonostante si conosca l’immagine riprodotta sui bassorilievi egizi, di certo non ci è ancora dato conoscere quale fosse la pigmentazione dei Sardi presenti in Egitto. Ad incoraggiarci in questa ricerca ritroviamo le analisi fatte sui rinvenimenti indigeni, le quali ci mostrano che l’indice cranico degli uomini Sardi di cultura Ozieri è accostabile alle popolazioni stanti nell’Egitto predinastico e a Creta[13]
. Dalle rappresentazioni dell’età del Bronzo[14] egizi e cretesi compaiono caratterizzati da un colorito abbronzato, che perciò ci porta a considerare che la pigmentazione dei Sardi, stanti anche nel Levantino, potesse essere più colorita rispetto a quella dei Sardi residenti nella Sardegna, magari a tal punto da meritare l’appellativo di “Phoinikes”- uomini rossi. Dalle raffigurazioni egizie sui dipinti delle tombe di Tebe del XV sec. a.C[15] emergono degli individui armati di spade a sezione triangolare con costolatura mediana, la cui valutazione ci permette di allacciarci agevolmente alla produzione metallica Sarda.
 
La produzione Sarda testimonia infatti che tali armi hanno una matrice indigena e che solo grazie al rapporto uomo sardo - mare questa produzione è potuta giungere oltre le sponde del Mediterraneo e portate alla forgiatura di modelli come quelli individuabili nel Midì francese, nella regione di El Argar, a Filitosa, Castaldu e Cauria in Corsica. Ancora si può affermare che l’esportazione della metallurgia, avvenuta nel Bronzo Medio ad opera di agenti nostrani, ci permette di individuare forme bronzee tipiche esclusive sarde anche nella penisola Iberica, nella Locride, sull’isola di Creta e nell’attuale Israele. In conclusione si può asserire che dal Bronzo Medio alla fine dell’età del Ferro, i Sardi gestissero rapporti commerciali e tecnologici navigando in lungo e in largo nel Mediterraneo, anziché stare isolati nel proprio contesto geografico, entrando in contatto con diverse civiltà, scambiandone i prodotti e cogliendone il Know – How o gli elementi che consideravano a proprio vantaggio.


[1] M. Cabriolu, La Preistoria a Sant’Antioco, Gruppo Ed. L’Espresso, 2008
[2] M. Tzoroddu, Kircandesossardos – Sardegna, ricerca dell’origine, Zoroddu Editore, Fiumicino 2008, p. 58
[3] D.Binder, J.Courtin, Un point sur la circolation de l’obsidienne dans le domaine provencal, in “Gallia Prehistoire”, 36 (1994), p.310 – 322
[4] G.Lilliu, Aspetti e problemi dell’ipogeismo Mediterraneo, serie IX vol. X fasc. 2, in A. Moravetti (a cura di) Sardegna e Mediterraneo negli scritti di Giovanni Lilliu, Carlo Delfino Editore, Sassari1998, p.2450
[5] R.H.Tykot, Radiocarbon dating and absolute chronology in Sardinia and Corsica, Skeates & Whitehouse, London 1994, p.115-145
[6] P. Bartoloni, I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 2009, p.37
[7] Bartoloni, I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna, p.37
[8] L. Bernabò Brea, Gli Eoli e l’inizio dell’Età del Bronzo nelle Isole Eolie e nell’Italia meridionale: archeologia e leggende, Arte Tipografica, Napoli 1985, pp.151-201
[9] G. Ugas, L’Alba dei Nuraghi, Fabula, Cagliari 2005, p.199
[10] F. Matz, Creta Micene Troia, Primato, Collana Le grandi civiltà del passato, Roma 1958, p. 31
[11] Ugas, L’Alba dei Nuraghi, p. 200
[12] W. Wolf, Il mondo degli Egizi, Collana Le grandi civiltà del passato, Primato, Trieste 1958, p.153
[13] Ugas, L’Alba dei Nuraghi, p.254
[14] Ugas, L’Alba dei Nuraghi, p.254
[15] Ugas, L’Alba dei Nuraghi, pp.205-206

martedì 28 giugno 2016

OΛBIA - Museo Archeologico di Olbia

di Durdica Bacciu
PH: D.Bacciu - Internet

Il museo archeologico di Olbia, progettato dall’architetto G. Maciocco, espone i principali reperti provenienti da Olbia e dal territorio circostante. I materiali esposti consentono di ripercorrere la storia di Olbia a partire dalla preistoria (età nuragica, dal XVII sec. a. C.) fino al medioevo (XIV sec. d. C.), attraverso le fasi nuragica, fenicia, greca, cartaginese, romana e medievale della città. Il museo espone inoltre tre dei ventiquattro relitti di navi di età romana e medioevale rinvenuti durante lo scavo per la costruzione del tunnel della S.S. 125. I relitti, del tutto eccezionali in quanto normalmente il legno non si conserva nel tempo, mostrano due eventi fondamentali della storia di Olbia: la distruzione della città ad opera dei Vandali intorno al 450 d. C., e la riapertura delle rotte commerciali grazie alla Repubblica Marinara di Pisa nell’XI sec.

durdica bacciu
L'allestimento, ad opera dell'architetto G.Maciocco, R.D'Oriano e A.Huber, si basa sulla semplicità con pareti bianche libere da pannelli o schermi, vetrine trasparenti con l'esposizione dei reperti più significativi della città e "totem" con pannelli esplicativi e per la visione dei video che narrano la storia e le scoperte archeologiche della città. 
Per quando riguarda la didattica dobbiamo assolutamente citare i due plastici, uno al piano terra che ricostruisce il vecchio porto romano e uno al primo piano, nella sala romana, che mostra l'urbanistica di Olbia. Qui possiamo vedere le riproduzioni dei templi gemelli, le mura che circondavano la città, l'acquedotto, le terme e l'acropoli. Due sezioni a grandezza reale di come doveva essere la stiva di una nave con il suo carico e una con le dotazioni di bordo e la bellissima statua di Ercole, situata al primo piano, divinità consacrata alla città di Olbia in epoca romana, ricostruzione possibile sulla base del ritrovamento di una testa di Ercole all'isola Bocca.
Visitiamo il Museo

- Ingresso: Sala circolare, a sinistra entrando, troviamo una sarcofago e un coperchio di un'altro sarcofago di epoca romana. Frontalmente troviamo il ricevimento e il personale del museo.

- Sala 1: Qui possiamo vedere due delle 11 navi scoperte durante gli scavi del tunnel situato sotto Via Principe Umberto, tre aste da timone e due alberi maestri con una lunghezza pari a 7-8 metri.

Questi reperti, di archeologia navale e navigazione antica, rendono il nostro museo unico nel suo genere in quanto  forniscono solide basi di studio per chi si interessa della navigazione nell'antichità oltre a testimoniare l'attacco dei Vandali nel 450 d.C. e la distruzione del porto di Olbia.

 - Sala 2: Vi sono due gigantografie del rinvenimento delle navi durante lo scavo del tunnel e due video che mostrano l'evolversi delle ancore e degli oggetti ritrovati nello scavo.


durdica bacciu
- Sala 3: Presenta un relitto di epoca medievale in parte poggiato su una struttura lignea che ci permette di capire meglio la forma originaria. Questo tipo di imbarcazione veniva usata per navigare nell'area del golfo interno e nelle coste limitrofe.
- Sala 4: Proiezione a 180° dell'attacco dei Vandali nel porto di Olbia

durdica bacciu
 - Sala 5: Grande plastico con la ricostruzione dell'antico porto romano di Olbia attivo nel II sec. d.C.



 Primo Piano 
 Illustrazione della storia della città e del suo territorio, dalla preistoria sino al XIX secolo ponendo l'accento sulle popolazioni che vi si sono succedute  (Fenici, Greci, Punici, Romani, Vandali, Bizantini, Pisani, Aragonesi.

- Sala 1: Qui troviamo spiegata, con reperti bronzei, tra i quali un modellino bronzeo di navicella nuragica proveniente da Enas e ancore preistoriche, la fase pre-nuragica e nuragica . Si passa poi al contatto con i Fenici, che creano nella città, intorno al 750 a.C, un emporio come base commerciale, Intorno al 630 a.C. si testimonia la presenza dei greci di Focea, i quali attribuiscono il nome alla città: OΛBIA, probabilmente l'unico centro greco dell'intera Sardegna del periodo. In questa sala possiamo ammirare una splendida coppa "corinzia" con diverse decorazioni animali e una testina fittile femminile.

- Sala 2: Sala di Cartagine dove si rimarca la conquista della città, da parte dei cartaginesi, intorno al 330 a.C. i quali crearono una vera e propria colonia per resistere a Roma. Qui possiamo vedere i materiali che testimoniano i vari rapporti commerciali tra Cartagine e l'intero Mediterraneo oltre alla cultura materiale, in particolar modo quella legata al culto dei morti e i materiali provenienti dalla necropoli. Si ricorda inoltre l'importante ritrovamento della collana di matrice fenicia, oggi conservata al Museo Nazionale di Cagliari, e qui resa visibile attraverso un pannello e la sua descrizione.

- Sala 3: L'ambiente testimonia la fase di passaggio tra l'Olbia punica e l'Olbia romana dove sono presenti alcune terracotte figurate e dei vasi provenienti da corredi funebri oltrechè le anfore del porto. Qui possiamo distinguere due tipologie di anfore da carico: la prima per la conservazione dell'olio con collo espanso e le altre due, una punica e una italica, per il vino. Da sottolineare la presenza di un blocco di granito con scolpita la dea Tanit proveniente dall'agro olbiese.
- Sala 4: Sala Romana o di Ercole si caratterizza per la presenza della statua, a grandezza naturale, relativa all'Eroe. In questo ambiente troviamo il plastico relativo all'Olbia romana, sculture degli imperatori Domiziano e Costantino, oggetti di uso quotidiano come pettini, fermagli per capelli etc, iscrizioni e urne cinarie, vetro e gioielli. Il reperto di gran lunga più importante è la straordinaria testa di Ercole, residuo di una statua di notevoli dimensioni, principale Divinità della città, della quale si propone al visitatore una ricostruzione completa sia nei colori che nella grandezza.

durdica bacciu
- Sala 5: L'Olbia romana intrattiene, direttamente e indirettamente, relazioni con l'intero Mediterraneo. Questo ambiente mostra insieme alle numerose merci di importazione da tutto il mondo antico, diversi reperti che spiegano una rete di traffici estesa a tutto l'Impero. Gli oggetti più significativi sono un bruciaprofumi a figura di ananas o pigna da Cnido, un askòs a forma di cammello dalla Siria, coppe a rilievo da Corinto, un minuscolo zaffiro da Ceylon. Con il IV sec. d.C. si arriva all'epoca dei Vandali, una popolazione estranea all'Impero a cui si attribuisce la distruzione della città e del porto. In questa sala troviamo i reperti che testimoniano i contatti commerciali e l'interesse, da parte dei Vandali, per Sardegna, il Nord Africa e la Spagna.


durdica bacciu
- Sala 6: In quest'ultima sala troviamo descritta la storia di Olbia dalla presenza dei Bizantini sino alla dominazione aragonese e l'evolversi della situazione politica socio-economia del territorio. Qui si descrivono i vari nomi dati alla città durante le varie dominazioni: Phausania, Civita, Terranova, Terranova Pausania e per ultimo, nel 1939, Olbia.

durdica bacciu
Orari di Apertura / Opening TimesLUNEDI' - MARTEDI' chiuso
dal MERCOLEDI' alla DOMENICA
10:00-13:00 / 17:00-20:00 
MONDAY - TUESDAY closed
from WEDNESDAY  to SUNDAY
10:00-13:00 / 17:00-20:00 
Ingresso gratuito | free entrance 
INFO Tel. +39 0789 28290
Per visite guidate: Associazione ArcheOlbia - 3456328150 oppure archeolbia@gmail.com

lunedì 27 giugno 2016

MUT - Museo della Tonnara di Stintino

di Durdica Bacciu
Ph D.Bacciu

durdica bacciu

Il Museo della Tonnara di Stintino è stato realizzato nel 1995 all'interno di una struttura dell'A.L.P.I. ed è situato sulla strada panoramica che porta da Stintino alle Saline.

 L'edificio è di forma allungata ed è suddiviso in sei parti, caratteristica della tipica "tonnara", ovvero la rete di cattura. Le sale del Museo si dividono in:
durdica bacciu
Camera grande, Bordonarello, Bordonaro, Bastardo, di Ponente e della Morte, obbligando il visitatore a seguire lo stesso percorso che veniva compiuto dal branco quando si infilava nella rete e recependo le sensazioni della pesca attraverso il punto di vista del pescatore e supponendo un punto di vista del pesce. 

durdica bacciu
Questo rende la visita interessantissima in quanto trasmette al visitatore la sensazione di essere un pesce predato. Nella seconda camera si approccia la biologia del tonno relativamente alla classificazione e all'indicazione delle specie presenti nel Mediterraneo. Una mappa riporta le rotte del pesce nel Mediterraneo indicando le principali stazioni tonnare, partendo dalla fine dell'ottocento, attive sino a poco tempo fa.

durdica bacciu
La camera n° 3 detta Bordonaro racconta la storia e i processi produttivi della Tonnara "Saline" posta nel Golfo dell'Asinara. Vengono mostrati i diari del direttore Penco e di alcuni pescatori risalenti ai primi del novecento. Vengono ancora descritti i compiti della ciurma di terra, di quella di mare e del Rais.

durdica bacciu
La camera detta "bastardo" affronta le radici del tempo ovvero caratterizza e cerca di descrivere la pesca del tonno dalla preistoria sino all'epoca classica raccontando quanto la pesca fosse importante addirittura per l'imperatore Caracalla. La "camera di ponente" è dedicata alle immagini.

durdica bacciu
Un settore riguarda l'interpretazione in chiave artistica data da maestri contemporanei mentre l'altro settore ospita la documentazione fotografica dall'ottocento fino agli anni settanta. La sesta camera detta " della morte" mostra l'atto finale della pesca attraverso filmati d'epoca e gigantografie dei pescatori impegnati nella cattura dei tonni. 

durdica bacciu
Come raggiungere:
Indirizzo: Via Lepanto, 07040 Stintino SS

sabato 25 giugno 2016

Acquedotto romano di Olbia



di Durdica Bacciu
Ph: D.Bacciu

L’Acquedotto romano

durdica bacciu
Secondo gli studi effettuati dal Panedda[1] la prima citazione sull’acquedotto è stata trovata nell’opera De Choreographia Sardiniae di Fara[2] del XVI sec. d.C. ; una successiva menzione è stata rinvenuta un secolo più tardi in una petizione del sindaco di Tempio al viceré spagnolo. Soltanto nel XIX sec. Angius[3] descrive in modo abbastanza particolareggiato l’acquedotto, quando ancora i resti del monumento certamente apparivano in uno stato di buona conservazione. E’ possibile trovare altre notizie negli scritti del canonico Giovanni Spano[4], del Tamponi[5] e del Taramelli[6].  

durdica bacciu
           Il maggiore contributo per lo studio dell’acquedotto è stato fornito dal D. Panedda[7] e in epoca molto più recente dagli studi effettuati da D’Oriano[8] e Sanciu[9].
L’acquedotto di Olbia è il monumento meglio conservato del periodo romano, tanto che ancora oggi possiamo ammirarne numerosi resti e facilmente ricostruirne tutto il tragitto e l’intera struttura. Intorno al II° sec. d.C.[10], quando la città e il suo agro si andavano popolando notevolmente, venne realizzata questa opera che, attraverso un percorso di circa Km 3.5, raccoglieva e incanalava fino alla città antica le acque delle sorgenti di Cabu Abbas[11], altura granitica ricca di falde acquifere. Si consentiva così l’approvvigionamento idrico sia per le terme che per tutte le altre necessità della popolazione.
Il toponimo “CABU ABBAS”, di evidente derivazione latina[12], corrisponde alla traduzione in lingua sarda di “Caput Aquarum”, cioè “capo delle acque” (cabu = logudorese e campidanese significa “principio” e corrisponde in latino a “caput”, mentre abba = logudorese corrisponde in latino ad “aqua”).
I resti più evidenti dell’acquedotto si trovano in località “Sa Rughitta”, dove è possibile vedere la piscina limaria, le arcate, un breve tratto di muratura che si interrompe in prossimità della linea ferroviaria Olbia - Golfo Aranci[13] per poi ricomparire in Via Canova e Viale Aldo Moro.
durdica bacciu
Piscina limaria
In località Porto Romano e precisamente in Via Nanni  si può vedere il tratto finale, dove sono stati rinvenuti 9 piedritti, sui quali poggiavano le arcate; infine procedendo verso la ferrovia, sempre in Via Nanni, sulla sinistra si notano dei ruderi che testimoniano l’ultimissimo tratto dell’acquedotto, in prossimità del sito dove si trovavano le terme.
Inoltre, sempre in località “Sa Rughitta”, è visibile una delle 4 cisterne prima esistenti, per la raccolta delle acque.


Analisi dei resti sopra citati

SA RUGHITTA
Questa area archeologica, situata a Km 1.5 dalla città e agevolmente raggiungibile, è stata recintata e dotata di pannelli esplicativi, tra la fine del 1989 e i primi mesi del 1990, in occasione della prima campagna di scavo e restauro presso l’acquedotto romano, intervento motivato dal notevole degrado del sito[14] .


         
durdica bacciu
L’acqua arrivava attraverso condutture sotterranee, oggi non visibili, dalle falde del monte Cabu Abbas in direzione Sa Rughitta, dove iniziava il percorso vero e proprio dell’acquedotto e dove potevano vedersi due canali collettori su muro pieno, attualmente appena intuibili per la vegetazione e l’interro,  ma che il Panedda[15]  descrive in maniera precisa. Tali collettori di ampia luce ( cm 22 di larghezza per almeno cm 15 di altezza) presentavano una struttura tecnica complessa: nel fondo una colata a “secco”, nelle spallette strati alterni di mattoni triangolari e di calce, nello “specus” un fine intonaco in “opus signinum”.

           Durante i lavori effettuati nell’ 1989-1990, sono emersi i resti di due condutture,  una delle quali, mediante uno specus su muro pieno[16], raggiungeva una vasca (oggi sotterrata) per la decantazione dell’acqua, che affluiva  all’interno di una grande cisterna ( m. 13,75 x m. 9 x m. 9 ) con volta a botte, oggi sostenuta da puntelli in ferro, divisa in due parti da un tratto divisorio con 4 aperture arcuate; sulla volta risultavano inizialmente 6 fori circolari ( attualmente ne risultano 5 per il crollo di una parte della volta) per l’aerazione e la manutenzione dell’ ambiente. Tale cisterna era stata realizzata in “opus cementicium” ricoperto da “opus signinum”, per renderla impermeabile; anche alla base di tutte le pareti, compresi i pilastri delle aperture, è stata realizzata la “cordonatura” per isolare ancora meglio le basi della struttura da infiltrazioni e impedire l’ accumulo di depositi, per evitare questo inoltre tutti gli angoli erano stati resi tondeggianti, sempre mediante il ricorso alla tecnica dell’ “opus signinum”.
durdica bacciu
L’opera non appariva collegata al successivo percorso dell’ acquedotto e pertanto è da ipotizzarsi l’uso locale, forse per scopi agricoli. Secondo il Sanciu: “l’opera fu probabilmente realizzata per le necessità di una villa rustica forse appartenente ad un latifondo imperiale, che doveva sorgere nelle vicinanze[17].
La seconda conduttura è stata evidenziata, sempre nel corso degli scavi sopra citati, per un tratto di m. 30. attualmente rinterrati, realizzato con mattoni triangolari in 4 strati legati con malta, di cm. 26 di luce; questo canale trasportava l’acqua alla “piscina limaria”, una vasca di decantazione ( di m. 3,60 x m. 3,50 x m. 0,60 ), le cui pareti sono state edificate nella parte inferiore in opera cementizia, con pietre di medie dimensioni legate tra loro con malta e pietre di piccole dimensioni, ricoperta in “opus signinum”; la parte finale sovrastante, invece era stata realizzata con due file di mattoni ( bipedales ), internamente rivestita con cocciopesto (opus signinum), più duro, più compatto e di colore più scuro rispetto all’esterno, onde garantire una più efficiente impermeabilizzazione. 

durdica bacciu
Plastico della città "Olbia romana"
In prossimità della vasca sono stati recuperati numerosi frammenti di anforette, databili tra il I e il II sec. d.C. , ritrovamento che pare plausibile con l’utilizzo del sito per attingere l’ acqua[18].
Sul lato meridionale della piscina sono visibili ancora i resti del muro che metteva in connessione la piscina con la struttura arcuata, sulla quale era collocato lo “specus” e della quale ancora oggi si conservano due archi interi e due integrati con una struttura in ferro, l’altezza massima della struttura meglio conservata è di circa m. 2,20.

          Il restante tratto è segnato dall’ allineamento dei  piedritti, regolarmente distanti l’uno dall’altro reggenti la struttura arcuata, la quale consentiva il superamento del dislivello del terreno degradante da N verso S.
durdica bacciu
A partire dal tratto in cui il terreno superato il dislivello  assumeva un andamento non più degradante, è possibile notare i resti di un muro pieno di circa m. 100 con un’ altezza  massima di m. 1, 80 sul quale poggiava lo “specus” dell’ acqua, realizzato in opera cementizia come la struttura arcuata, dove però sono stati utilizzati anche mattoni sia nei pilastri che negli estradossi[19].
Dopo il tratto su muro pieno la struttura è stata interrotta per la realizzazione della linea ferroviaria Olbia - Golfo Aranci, negli anni 1860-70, sotto la direzione dell’ ing. inglese Piercy.


Via Canova angolo Viale Aldo Moro (già nota come Solladas)
durdica bacciu
Oltrepassata la linea ferroviaria, l’acquedotto si presentava di nuovo con la struttura arcuata a causa del dislivello del terreno che riprendeva a degradare ( tale situazione di degradamento ci viene confermata dagli scavi effettuati nel 1990 in Via Bernini per la costruzione di una casa privata, dove sono stati messi in luce quattro basi di piedritti che dovevano sostenevano l’opera arcuata. Nel tratto scavato non è stato possibile rinvenire elementi utili per la datazione)[20]. 
Attualmente soltanto parte dei basamenti della struttura sono visibili, mentre altri risultano interrati, fino alla periferia del centro urbano. In prossimità del vecchio Ospedale “S. Giovanni di Dio”, tra Via Canova e Viale Aldo Moro, riappaiono in luce alcuni piedritti come alcuni tronconi della massa muraria in opera listata, in situazione di crollo. Su qualche tratto murario possono rilevarsi i resti di due condotte, una delle quali obliterata dall’altra. La parte dell’ acquedotto di cui si parla era stata minuziosamente descritta dal Panedda[21].
durdica bacciu
Nel corso degli scavi effettuati nel 2003 sotto la direzione del Sanciu nel cortile interno dell’ Ospedale, sono stati rinvenuti quattro piedritti inseriti nella roccia opportunamente scavata, a testimonianza di una modifica del tracciato dell’acquedotto, dovuta evidentemente ad errori di calcolo della prima progettazione, modifica da porre in relazione alla obliterazione e successiva ricostruzione dello specus, già notate in Via Canova[22]. 
Tutta la zona attraversata dal suddetto tratto di acquedotto era un’area non ancora urbanizzata ai margini della zona palustre attorno alla città.



Via Nanni (già nota Via Circonvallazione)
durdica bacciu
Asx: tratti dei piè dritti dell'acquedottoromano
L’acquedotto, superata l’area palustre, proseguiva all’interno dell’ antica cinta muraria, in loc. Porto romano. Qui troviamo oggi l’ultimo tratto visibile della struttura, messo in luce dal Sanciu con la campagna di scavi del 2000[23]. Sono stati evidenziati nove basamenti di piedritti, che in media misurano m. 1,50 per lato, distanti tra loro circa m. 2,70-2,90, realizzati in opera cementizia, mentre per il parametro esterno erano stati utilizzati massi granitici, molto probabilmente prelevati da costruzioni più antiche preesistenti nell’area, nella quale sono stati trovati ruderi di strutture puniche e tardo-repubblicane[24].
Nel corso degli scavi, protrattisi per individuare esattamente la datazione della struttura, al di sotto di uno strato di formazione recente, sono stati rinvenuti resti di massa cementizia, con pietrame e pochi frammenti laterizi, materiale riconducibile al crollo della struttura arcuata e utilizzato anche per la realizzazione di una massicciata quale base di un viottolo  che correva lungo l’antica struttura e di cui si ha notizia fino al 1950[25].
In base agli studi effettuati sui ritrovamenti[26], il Sanciu sostiene, come già il Panedda, (al quale egli rimanda anche per la descrizione della tecnica costruttiva) che l’ intera costruzione sia stata realizzata tra gli anni successivi al 125 e l’inizio del 200 d.C. e che gli stessi lavori di rettifica del tracciato siano stati eseguiti subito dopo il primo collaudo dell’opera[27].
Sempre in quest’ area, sul lato opposto della stessa Via Nanni, sono visibili i resti dell’ultimo tratto in luce dell’acquedotto;  originariamente dovevano raggiungere un’ altezza di m. 5 e che oggi, causa interri, sono visibili per un’ altezza di m. 2,50.
Tali ruderi sono ritenuti resti di un serbatoio per l’acqua o anche di una torre  per regolarne la pressione[28].
Da qui l’acquedotto doveva continuare per circa m. 200 sino alle terme, come testimonia il Panedda, il quale scrive[29] che nel 1889 il Tamponi[30] segnalava un tratto di ben m. 135 di rovine della struttura, facenti capo alle terme, situate nell’area oggi delimitata da Via S. Croce, Via delle Terme e Corso Umberto I. Confermano tale percorso dell’ acquedotto i ritrovamenti effettuati nel 1980[31], 1981[32] e nel 1987[33].
durdica bacciu
Nel 1980, all’incrocio tra Via delle Terme e Via Acquedotto romano, è stato ritrovato un troncone dell’acquedotto su muro pieno realizzato con la tecnica a sacco e canaletta in cocciopesto.
 Nel 1981 durante i lavori per la rete idrica e fognaria del centro storico, in Via delle Terme vicolo “F” sono stati evidenziati due tronconi dell’acquedotto, lunghi complessivamente circa m. 7, realizzati con blocchi di granito legati tra loro con malta, formando cosi una struttura a muro pieno che si collegava con il troncone messo in luce l’anno precedente e con il pilastro originariamente alto m. 5, già esaminato, in Via Nanni ( vedi pag. 7).
Nel 1987 i lavori per le fondamenta di una abitazione, sempre in Via delle Terme vicolo “F”, hanno rimesso in evidenza un ulteriore tratto costituto dalla base di un pilastro di arcata in connessione con il pilastro già noto al Panedda e gli altri sopra citati.

Considerazioni finali sull’ acquedotto
L’ acquedotto di Olbia, monumento del periodo romano più significativo, trasportava l’acqua dalle sorgenti delle falde granitiche di Cabu Abbas fino alle terme della città, con un percorso rettilineo di oltre Km. 3, realizzato interamente tra il II e l’inizio del III sec. d. C. , datazione confermata anche dagli scavi più recenti[34].
Si deve ricordare che durante il secondo secolo d.C. in numerose aree della Sardegna vengono realizzati nuove opere pubbliche oppure vengono ristrutturate quelle preesistenti, come ad esempio le terme e il primo impianto dell’acquedotto a Nora, l’acquedotto di Cagliari, di Tharros, l’acquedotto e le terme di Neapolis e di Fordongianus, il restauro dell’ acquedotto di Porto Torres. Pertanto è da inquadrarsi nello stesso periodo la costruzione dell’ acquedotto di Olbia; datazione supportata anche dai dati evidenziati nei sondaggi stratigrafici[35]. Si può comunque affermare con sicurezza che la storia dell’acquedotto di Olbia sia legata allo sviluppo della città in epoca imperiale, in un momento di massima espansione dell’agro e di una maggiore floridezza economica, testimoniata anche dalla costruzione nello stesso periodo delle terme. La tecnica edilizia appare omogenea nell’intero percorso (utilizzo dell’opus cementicium e dell’ opus signinum);  presenta una struttura a tratti in “opus arcuatum”, li dove necessitava seguire l’andamento degradante da N a S del terreno, a tratti in muro pieno, là dove il terreno riprendeva l’andamento non degradante.
Per oltre due chilometri l’opera proseguiva con struttura arcuata, ad eccezione di un breve tratto con struttura a muro pieno,  al di fuori della cinta muraria antica fino a raggiungere l’area urbana, con una leggera pendenza che garantiva l’afflusso dell’acqua; quando questo non è avvenuto regolarmente per errori di calcolo nella progettazione, l’opera è stata opportunamente adeguata subito dopo il primo collaudo ( vedi pag. 6 tratto Via Canova).

Il tratto urbano presenta sempre lo stesso tipo di struttura, in gran parte arcuata. Particolarmente interessanti risultano, a mio modestissimo avviso, i resti di una costruzione imponente (vedi pag. 7), ritenuta oggi un torre che consentiva il regolamento della pressione dell’ acqua.

Come raggiungerlo:
I resti dell'acquedotto romano sono visibili in località Sa Rughittula (dal lungomare di via dei Lidi si svolta a s. e subito dopo il cavalcavia si percorre la strada asfaltata per circa 1 km). Per info: ArcheOlbia 3456328150 oppure archeolbia@gmail.com

Bibliografia:
D. Panedda, Olbia nel periodo punico e romano, Roma, 1953;
D. Panedda, L'agro di Olbia nel periodo preistorico, punico e romano, Roma, 1954;
R. D'Oriano, "Olbia: ascendenze puniche nell'impianto urbanistico romano", in L'Africa Romana. Atti del VII convegno di Studio (Sassari, 15-17 dicembre 1989), Sassari, Gallizzi, 1990, pp. 487-496;
Olbia e il suo territorio. Storia e archeologia, Ozieri, Il Torchietto, 1991; 
A. Sanciu, "Scavi all'acquedotto romano di Olbia", in Sardinia, Corsica et Baleares antiquate. International Journal of Archaeology, I, 2003, pp. 147-156; 
A.R. Ghiotto, L'architettura romana nelle città della Sardegna, Roma, Quasar, 2004, pp. 194-195;
A. Mastino, Storia della Sardegna antica, Nuoro, Il Maestrale, 2005, pp. 286-289.
  

[1]              PANEDDA 1953, pag. 54.
[2]              FARA 1978, pag. 160. 
[3]              ANGIUS , pag. 66.
[4]              SPANO 1860, pp. 170-173.
[5]              TAMPONI 1899.
[6]              TARAMELLI 1939.
[7]              PANEDDA 1954.
[8]              D’ ORIANO 1992, pag. 212.
[9]              SANCIU 1991, pp. 127-128; SANCIU 2003, pp. 147-152.
[10]             D’ORIANO 1992, pag. 212.
                La datazione è stata confermata dal materiale archeologico ritrovato ai piedi della piscina limaria: si tratta di frammenti di ceramica comune e terra sigillata africana tipo “A”.
[11]             La sorgente principale era situata presso la chiesa di S. Maria di Cabu Abbas, tutt’ ora esistente. Probabilmente nei pressi si trovava un luogo di culto delle acque già dal periodo protosardo.
[12]             SANCIU 2008, pag. 33.
[13]             Il tratto ferroviario fu realizzato tra il 1860 e il 187 dall’ing. Inglese Piercy.
[14]             SANCIU 1991, pag. 127.
[15]             PANEDDA 1953, pag. 54-56
[16]             D’ ORIANO 1997, pp. 73
[17]             SANCIU 2008, pag. 35.
[18]             SANCIU 1991, pp. 127-128.
[19]             SANCIU 2004, pag. 53.
[20]             D’ORIANO 1997, pag. 136.
[21]             PANEDDA 1953, pp. 115-116.
[22]             SANCIU 2005, pag. 152.
[23]             SANCIU 2003, pp. 147-152.
[24]             SANCIU 2003, pag. 147, nota 3.
[25]             PANEDDA 1953, pag. 56 e 109.
[26]             SANCIU 2003, pp.  147- 149.
[27]             SANCIU 2003, pag. 149.
[28]             SANCIU 2004, pag. 54.
[29]             PANEDDA 1953, pag. 58.
[30]             TAMPONI 1889, pag. 2.
[31]             SANCIU 1996, pag. 131.
[32]             SANCIU 1996, pag. 133.
[33]             SANCIU 1996, pag. 135.
[34]             SANCIU 2004, pag. 54.
[35]             SANCIU 2003, pag. 152.