ArcheOlbia guida turistica Olbia archeologia della sardegna


Associazione ArcheOlbia
Promozione e Valorizzazione dei Beni Culturali

Guida turistica - Accompagnatore turistico - Attività didattiche - Corsi di formazione - Progettazione di attività culturali

ArcheOlbia
Piazza San Simplicio c/o Basilica Minore di San Simplicio
07026 Olbia (OT)
archeolbia@gmail.com
3456328150 Durdica - 3425129458 Marcello -
3336898146 Stefano
C.F. 91039880900


“Aprire il passato significa raccontarlo. Alla comunità scientifica sì, ma soprattutto alla comunità dei cittadini cui il lavoro degli archeologi e, più in generale, degli operatori dei beni culturali deve rivolgersi.”.
Visualizzazione post con etichetta leggende sarde. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta leggende sarde. Mostra tutti i post

mercoledì 7 dicembre 2016

ArcheOlbia - La leggenda della regina di pietra Iddocca

di Durdica Bacciu
Ph Internet

Numerose leggende sarde parlano di una potente regina dal nome Iddocca che, sotto richiesta del suo popolo, decise di costruire una dei più grandi nuraghi di tutta la Sardegna, sia per omaggiare le divinità ma anche per proteggere il suo popolo in caso di necessità.
La regina, forte e decisa, aveva una bellissima figlia alla quale teneva molto e per la quale avrebbe dato la vita. Durante una giornata di lavoro, venne nel villaggio di Iddocca, una messaggero che annunciò lo sbarco dei nemici lugo la costa e la direzione del loro cammino verso l'entroterra. Udendo queste parole, la figlia della regina si offrì volontaria per andare a prendere informazioni su chi fossero questi nemici, promettendo di tornare con più notizie possibili per preparare la difesa. La regina fu parecchio contraria a questo gesto da parte della figlia ma, rispettando la volontà e la libertà di essa, acconsentì con il cuore pieno di paure.

Passati alcuni giorno e non avendo notizie della figlia, la regina si fermò durante il lavoro a scrutare l'orizzonte. Non fece in tempo a pensare che vide un uomo vestito di nero avvicinarsi al galoppo verso di lei. Il cavaliere si scoprì essere un messaggero le cui notizie non furono buone. La figlia della regina era caduta per mano dei nemici. 
La rabbia e il dolore della regina si poteva vedere nel suo volto e nelle sue azioni, si guardò intorno disperata e inizò a prendere le grosse pietre destinate alla costruzione del nuraghe e a lanciarle lontano e mandandole a fissarsi nella terra tutto intorno. Distrutta dal dolore, essa stessa si tramutò in pietra, pietra come il suo cuore ormai consumato dal dolore, freddo e duro.

Ancora oggi, nel territorio di Laconi si può vedere questa pietra, in memoria della regina e del suo grande dolore per la perdita della figlia.

sabato 19 novembre 2016

ArcheOlbia - Leggende sarde: Sa Musca Macedda

di Durdica Bacciu
Ph Internet

Riprendendo con le leggende sarde, oggi vi raccontiamo quella di una figura chiamata Musca Macedda, un personaggio probabilmente femminile. Secondo le modalità di traduzione della lingua sarda, il termine Macedda (Maghedda e Mahkedda in logudorese e nuorese) dovrebbe derivare dal logudorese "maccellare - fare a pezzi" mentre la variante campidanese traduce il termine musca macedda con "mosca matta". 
Si narra che nelle segrete di alcuni castelli, ci fossero racchiusi due forzieri: in uno venivano conservati gli ori e le pietre prezione e nell'altro uno sciame di musca macedda. Se il malcapitato avesse aperto il forziere sbagliato si sarebbe reso colpevole dello sterminio dell'intero suo villaggio e dei 7 villaggi confinanti. Questo aneddoto aveva probabilmente lo scopo di fare da deterrente per chi spesso andava alla ricerca di tesori nei castelli. Sa musca viene descritta come una essere enorme, con grandi e robuste ali e un pungiglione velenoso.

Questa leggenda è diffusa e viene raccontata in diversi paesi della Sardegna e qui vi raccontiamo quella di Iglesias, Trexenta e Lotzorai.
Ad Iglesias si racconta di un frate che chiese aiuto alla popolazione per combattere sa musca, suonando una musica e facendo mettere tutti in tondo in modo da creare un cerchio magico. Con questo stratagemma il frate riuscì a catturare diverse mosche macedda e le rinchiuse in sette botti, portate nelle segrete del castello e ancora li nascoste.

Nel territorio della Trexenta, esattamente al nuraghe Erra, si narra di un contadino che incontrò una bella donna che lo invitò a seguirla sin dentro il nuraghe. La donna era una musca caddina trasformata per attirare poveri malcapitati nella sua trappola. Una volta entrato dentro il nuraghe, il contadino, vide diversi tesori in un angolo e si meravigliò. La donna gli disse di scegliere il tesoro che preferiva per ringraziarlo della disponibilità. Il contadino, vedendo che qualcosa non andava per il verso giusto, scelse due misere campane di bronzo e chiese di aspettarlo lì dentro chè doveva andare a legarle ai suoi buoi e sarebbe tornato. Una volta fuori chiuse in fretta e furia l'ingresso con una grossa pietra impedendo alla musca di uscire e uccidere altre persone. Da questo momento nessuno ha più visto sa musca.

A Lotzorai invece, si racconta del castello della Medusa abitato dalla principessa Locana e dal consorte. Dovuto partire per una guerra, decise di costruire il castello per mettere in sicuro la moglie Locana, la servitù e i tesori in caso di attacchi nemici. Finita la guerra, Locana seguì il marito e lasciò nel castello i suoi averi e temendo che i servi rubassero tutto, decise di nascondere gli ori in due casse, una con i preziosi e una con la musca macedda. I servi, credendo fosse solo una leggenda per non rubare l'oro della principessa, scoperchiarono un baule e capirono che era tutto vero, trovandosi davanti la temutissima musca. Nessuno ebbe la forza di fermarla e iniziò la sua morte e distruzione sino a quando un uomo non trovò il coraggio di unire le forze dei poveri supertiti, ordinando a questi di seguirlo, di mettersi in tondo e ballare sino a formare un cerchio e avvicinarsi sempre più. In questo modo, il cerchio creatosi divenne sempre più piccolo sino alla sua chiusura. In questo momento successe un fatto inspiegabile, tutte le musca caddero al centro della piazza, formando un mucchio di esseri senza vita. Fu in questo istante che venne dato l'ordine di rinchiudere le mosche in sette botti e farle bruciare tre giorni e tre notti.


 

Dal punto di vista storico, si cerca di dare una spiegazione alla nascita di queste leggende. Si pensa che con l'arrivo dei romani si portino anche le zanzare anofele che con la propria puntura trasmettevano la malaria. Forse tutto nasce da questo...il non riuscire a dare una spiegazione logica ad degli eventi straordinari...

giovedì 17 novembre 2016

Leggende sarde: Ammuntadore - Il demone del sonno

di Durdica Bacciu
Ph: Internet

Nella tradizione popolare che parla dei demoni sardi troviamo una figura sinistra chiamata su Ammuntadore o Ammutadori. Questa figura, secondo quanto si racconta, aggredisce le persone durante il sonno, attraverso gli incubi, impedendo loro di urlare. Difatti il nome dovrebbe derivare dalla parola sarda ammuttadori=colui che ti ammutolisce, zittisce, sostantivo conosciuto non solamente nella variante campidanese ma anche in quella logudorese attraverso il verbo muttire ovvero chiamare. Nel campo degli studiosi, questa leggenda prenderebbe forma con l'arrivo dei romani nell'isola sarda, a seguito della sconfitta dell'esercito dei Cartaginesi presente sull'isola.  Tra la popolazione sarda possiamo incontrare anziani che giurano di aver visto questo personaggio, ne parlano come un demone che ti assale nella notte e che tiene sottopressione il petto. Si racconta che l'eventuale "colpito" cerchi di svegliarsi ma senza successo, provi ad alzarsi o a gridare ma la voce venga fermata in gola e non si riesca neanche ad emettere un sibilo. Si racconta che, per molti malcapitati purtroppo, si potesse arrivare anche al soffocamento. Con l'arrivo dei romani nell'Isola, s'ammuntadore venne identificato nella figura leggendaria di Incubus, derivata dal latino incubare=giacere sopra e Succubus, figura femminile tentatrice.


I testimoni parlano di un essere dalle numerose sembianze che potrebbe manifestarsi come una strega, uno scheletro oppure un demone senza un viso ben definito o ancora sanguinante. Tra i pastori c'era il terrore di addormentarsi sotto l'ombra di un albero per la paura di essere visitati nel sonno da S'Ammuntadore. 
Per allontanarlo da noi, sono state create numerose preghiere o parole, che vengono insegnate e recitate, sin da bambini, prima di andare a dormire o di prendere sonno durante la giornata.
Questa fugura è presente anche in altre culture: in Egitto è conosciuta con il nome di Jinn, in Giappone con Kanashibari e nel centro Italia (Marche e Abruzzo) come Pandafeche o Pantafa mentre in Gallura viene chiamato Pundacciu.

 Ricordiamo che "s'abrebu" o scongiuro, non viene recitato pubblicamente o messo per iscritto, per questo motivo non lo troverete in questo articolo. S'Abrebu si recita di norma in segreto e solo quando se ne ha la necessità. Si tratta di formule segrete, tramandate di generazione in generazione e come tali vanno rispettate.

Bibliografia: 
- Cappello, T. 1957-1958. Le denominazioni italiane dell'«incubo». “Atti e memorie dell'Accademia patavina di scienze, lettere ed arti” 70, III, Memorie, pp. 56-84; 
- Alimenti, A. 1989. Folletti, streghe, vampiri e altri esseri fantastici: il sonno e la notte disturbati. In: Seppilli, T. (ed.). Medicine e magie. Electa, Milano, pp. 37.42. 
- Caschili, S. 1967. Ammuttadore, ammuntadore e altri nomi dell’incubo in Sardegna. “Bollettino del repertorio e dell'atlante demologico sardo”, 2, pp. 33-37.

venerdì 11 novembre 2016

Tradizioni e leggende sarde: Is paraulas mannas di San Martino contro Sa Reùla

di Durdica Bacciu
Ph Internet

Nella tradizione sarda, il mese di Novembre è conosciuto come il mese dei morti durante il quale si crede nel ritorno delle anime penitenti sulla terra. Le anime girano per le vie del paese e vengono riconosciute per le loro lunghe vesti bianche e dalla candela che tengono in mano, questa processione ha un nome ben preciso: Sa Reùla. Questa leggenda ha un particolare aggiacciante: spesso nella processione veniva intravista una persona vivente e secondo la credenza la stessa sarebbe morta entro l'anno. 

La sua morte veniva vista in sa reùla un anno prima, tempo necessario per conoscere le altre anime. Queste processioni potevano essere viste in discesa e il malcapitato  avrebbe avuto una malattia pesante ma non avrebbe rischiato la vita oppure in salita e allora il suo destino era già segnato. I problemi potevano nascere anche per le anime in processione, se una di loro non fossse riuscita a rientrare in orario nel regno dei morti, avrebbe avuto una pena da espiare 10 volte più pesante. Questa figura veniva identificata come Su Zoppu, lo zoppo proprio per la caratteristica di essere lento.
Chi aveva la sfortuna di incontrare questa processione, doveva difendersi dalle anime e molto spesso la difesa era ben visibile attraverso lividi, graffi o segni. Ci si poteva salvare solo se nel gruppo si indentificava un parente o un amico che aveva il compito di attenuare la lite. Un'altra soluzione era quella di recitare Is paraulas manna, ovvero le 12 parole di San Martino. Queste dovevano essere recitate con precisione e senza sbagliare, pena? La rabbia delle anime. 


La formula era composta da 13 strofe e recitava la lotta leggendaria tra Satana e San Martino, chiedendo l'intercessione del santo per la salvezza della propria anima. La resposabilità era notevole perchè in caso di buona riuscita della formula, il malcapitato avrebbe salvato la sua anima, quelle della propria famiglia e quelle delle sette case vicino a lui.

 




sabato 5 novembre 2016

Fiabe sarde - Sant'Antonio e il fuoco

di Durdica Bacciu
Ph: Internet

Tentazioni di Sant'Antonio, Bosch (attribuito), Museo del Prado, Madrid
Tanto tempo fa, la Sardegna era una terra triste e fredda, nessuno aveva il coraggio di metterci piede, nè uomini nè animali. Un giorno però qualcuno trovò il coraggio e si spinse fino alle coste nord e iniziò a conoscere la nostra isola. Camminando camminando incontrò le prime persone che lo fissarono incuriosite e domandarono, tra un battito di denti e l'altro: "Chi siete voi e come mai andate in giro con questi animali?". Infatti, una signora anziana vestita di orbace, notò che lo strano personaggio era circondato da piccoli animaletti rosa, belli grassotelli e giocherelloni ma tremanti dal freddo, proprio per questo motivo correvano intorno alle gambe del signore sconosciuto senza lasciarlo mai un momento.

Con calma e un con sorriso il personaggio rispose: "Io mi chiamo Antonio e sono un porcaro, stò cercando un posto per fermarmi e allevare i miei maialetti, non solo questi che vedete intorno a me ma anche tanti altri che ho lasciato lontano da qui". Guardandolo sorpreso, un giovane totalmente congelato e con un filo di voce disse: "Non mi sembra un posto ideale per allevare questi simpatici animaletti cosi grassotelli e giocherelloni, se si guarda intorno noterà che qui è tutto congelato e senza speranza". A queste parole Sant'Antonio chiese chiarimenti a tale rassegnazione e l'uomo gli spiegò che alla creazione della nostra isola, ovverò la Sardegna, Dio aveva insegnato tutto agli uomini tranne come accendere il fuoco. Infatti in tutta l'isola non si trovava alcuna pietra focaia e le case erano fredde e le campagne sempre innevate. Sentendo questo racconto, Sant'Antonio non si perse d'animo ma si guardò intorno e notò la ricchezza delle foreste di querce piene di ghiande, ghiande che sarebbero state ottimo pasto per i suoi maialini rosa. Si sedette e iniziò a pensare, ricordandosi di avere con se una mappa dove erano segnate le creazioni di Dio, sia sulla terra che nel sottosuolo. Osservando osservando notò subito un puntino dove c'era qualcosa che brillava e disse subito. "Ecco dove devo andare, ecco dove posso trovare quello che vi può servire".

Detto questo ordinò al giovane dal naso congelato di portare un bastone di ferula e di aspettarlo li. Senza essere seguito da nessuno tranne che dai suoi inseparabili 7 animaletti rosa,  impugnò il bastone e si diresse verso una masso poco distante, sollevò il bastone e bussò per ben tre volte. Si sentì subito: "Chi disturba? Chi siete?" da una voce stridula. "Qui non vi troverete nessuno" disse una voce sgradevole. "Andate subito via" disse una voce tremante. Sant'Antonio, meravigliato da queste risposte, non si fece spaventare e incalzò: "Ma non ho bussato all'inferno?". Subito le voci risposero: "Chi sei, cosa vuoi, perchè disturbi?". Sant'Antonio, con la risposta pronta: "Sono l'ufficiale per il controllo dell'inferno, ho qui i documenti che lo dimostrano, chiusi con la cerchialacca". Improvvisamente silenzio e poco dopo si senti rispondere: "Non ci interessa, no grazie". Ma la terza voce disse "Cosa è la cerchialacca?". Da questo momento Sant'Antonio inizio a raccontare il significato di quella parola mai sentita e di tante altre, come ad esempio, controsento, centimento e divelto. Presi dalla curiosità, i diavoli, aprirono uno spiraglio nella roccia, abbastanza da sentire ma senza permettere l'ingresso di alcuno e cosi, sant'Antonio ebbe la possibilità di far entrare i suoi 7 maialini che iniziarono a corre da una parte all'altra, sporcando e mettendo in disordine l'ambiente dei diavoli. Appena si resero conto della situazione, i tre diavoli inferociti si rivolsero a Sant'Antonio:" Cosa hai fatto, come ti sei permesso, se viene il Gran Diavolo e vede tutto questo ci uccide", in quel momento il Santo riuscì ad entrare e richiamando i suoi maialetti, si sedette su una roccia vicino ad un falò. "Che bel caldo" disse e toccò il fuoco con la punta del bastone  facendo in modo che bruciasse all'interno senza darlo a vedere all'esterno, infatti, la ferula, contiene al suo interno un materiale spugnoso e oleoso, facilmente infiammabile. Fuoco, fuochino, in ogni acciarino, braciere e forno, tutto d'intorno, pietra focaia, camino e caldaia..." "Fuoco, fuoco, per ogni loco, per tutto il mondo, fuoco giocondo".

ilmaghine.net
"Ci hai imbrogliato" esclamarono i diavoli, tu non sei un ufficiale dell'inferno, tu volevi solo il nostro fuoco", "Vattene via e non farti mai più vedere e portati via anche i tuoi maialetti rosa". Sentendo queste parole, Sant'Antonio si alzò, raccolse il suo bastone di ferula e uscì. Appena fuori, iniziò a girare il bastone e si notarono le scintille, rosse come i frutti del melograno ma calde come il fuoco che nessuno aveva mai visto. Poi disse: "
Da questo momento, la Sardegna conobbe il fuoco e iniziò a scaldarsi e a smettere di battere i denti. Fatti arrivare gli altri maialetti, Sant'Antonio rimase a vivere per sempre nella terra sarda. 

Da questa leggenda, tutt'oggi, la Sardegna festeggia Sant'Antonio e su fogu. Una versione tutta sarda, della leggenda, evidenzia che Sant’Antonio portò la magica e calda fiamma anche nella terra dei nuraghi accompagnandola al grido di: “Fogu, fogu pò donnia logu; linna, linna pò sa Sardinna”.