di Durdica Bacciu
Ph: D.Bacciu
L’Acquedotto romano
L’acquedotto di Olbia è il monumento meglio conservato del periodo
romano, tanto che ancora oggi possiamo ammirarne numerosi resti e facilmente
ricostruirne tutto il tragitto e l’intera struttura. Intorno al II° sec. d.C.[10],
quando la città e il suo agro si andavano popolando notevolmente, venne
realizzata questa opera che, attraverso un percorso di circa Km 3.5,
raccoglieva e incanalava fino alla città antica le acque delle sorgenti di Cabu
Abbas[11],
altura granitica ricca di falde acquifere. Si consentiva così
l’approvvigionamento idrico sia per le terme che per tutte le altre necessità
della popolazione.
Il toponimo “CABU ABBAS”, di evidente derivazione latina[12],
corrisponde alla traduzione in lingua sarda di “Caput Aquarum”, cioè “capo
delle acque” (cabu = logudorese e campidanese significa “principio” e
corrisponde in latino a “caput”, mentre abba = logudorese corrisponde in latino
ad “aqua”).
I resti più evidenti dell’acquedotto si trovano in località “Sa
Rughitta”, dove è possibile vedere la piscina limaria, le arcate, un breve
tratto di muratura che si interrompe in prossimità della linea ferroviaria
Olbia - Golfo Aranci[13]
per poi ricomparire in Via Canova e Viale Aldo Moro.
Piscina limaria |
In località Porto Romano e precisamente in Via Nanni si può vedere il tratto finale, dove sono
stati rinvenuti 9 piedritti, sui quali poggiavano le arcate; infine procedendo
verso la ferrovia, sempre in Via Nanni, sulla sinistra si notano dei ruderi che
testimoniano l’ultimissimo tratto dell’acquedotto, in prossimità del sito dove
si trovavano le terme.
Inoltre, sempre in località “Sa Rughitta”, è visibile una delle 4
cisterne prima esistenti, per la raccolta delle acque.
SA RUGHITTA
Questa area archeologica, situata a Km 1.5 dalla città e agevolmente
raggiungibile, è stata recintata e dotata di pannelli esplicativi, tra la fine
del 1989 e i primi mesi del 1990, in occasione della prima campagna di scavo e
restauro presso l’acquedotto romano, intervento motivato dal notevole degrado
del sito[14] .
Durante i lavori effettuati nell’
1989-1990, sono emersi i resti di due condutture, una delle quali, mediante uno specus su muro
pieno[16],
raggiungeva una vasca (oggi sotterrata) per la decantazione dell’acqua, che
affluiva all’interno di una grande
cisterna ( m. 13,75 x m. 9 x m. 9 ) con volta a botte, oggi sostenuta da
puntelli in ferro, divisa in due parti da un tratto divisorio con 4 aperture
arcuate; sulla volta risultavano inizialmente 6 fori circolari ( attualmente ne
risultano 5 per il crollo di una parte della volta) per l’aerazione e la
manutenzione dell’ ambiente. Tale cisterna era stata realizzata in “opus
cementicium” ricoperto da “opus signinum”, per renderla impermeabile; anche
alla base di tutte le pareti, compresi i pilastri delle aperture, è stata
realizzata la “cordonatura” per isolare ancora meglio le basi della struttura
da infiltrazioni e impedire l’ accumulo di depositi, per evitare questo inoltre
tutti gli angoli erano stati resi tondeggianti, sempre mediante il ricorso alla
tecnica dell’ “opus signinum”.
L’opera non appariva collegata al successivo percorso dell’ acquedotto e
pertanto è da ipotizzarsi l’uso locale, forse per scopi agricoli. Secondo il
Sanciu: “l’opera fu probabilmente
realizzata per le necessità di una villa rustica forse appartenente ad un
latifondo imperiale, che doveva sorgere nelle vicinanze”[17].
La seconda conduttura è stata evidenziata, sempre nel corso degli scavi
sopra citati, per un tratto di m. 30. attualmente rinterrati, realizzato con
mattoni triangolari in 4 strati legati con malta, di cm. 26 di luce; questo
canale trasportava l’acqua alla “piscina limaria”, una vasca di decantazione (
di m. 3,60 x m. 3,50 x m. 0,60 ), le cui pareti sono state edificate nella
parte inferiore in opera cementizia, con pietre di medie dimensioni legate tra
loro con malta e pietre di piccole dimensioni, ricoperta in “opus signinum”; la
parte finale sovrastante, invece era stata realizzata con due file di mattoni (
bipedales ), internamente rivestita con cocciopesto (opus signinum), più duro,
più compatto e di colore più scuro rispetto all’esterno, onde garantire una più
efficiente impermeabilizzazione.
Plastico della città "Olbia romana" |
In prossimità della vasca sono stati recuperati numerosi frammenti di
anforette, databili tra il I e il II sec. d.C. , ritrovamento che pare
plausibile con l’utilizzo del sito per attingere l’ acqua[18].
Sul lato meridionale della piscina sono visibili ancora i resti del muro
che metteva in connessione la piscina con la struttura arcuata, sulla quale era
collocato lo “specus” e della quale ancora oggi si conservano due archi interi
e due integrati con una struttura in ferro, l’altezza massima della struttura
meglio conservata è di circa m. 2,20.
Il restante tratto è segnato
dall’ allineamento dei piedritti,
regolarmente distanti l’uno dall’altro reggenti la struttura arcuata, la quale
consentiva il superamento del dislivello del terreno degradante da N verso S.
A partire dal tratto in cui il terreno superato il dislivello assumeva un andamento non più degradante, è
possibile notare i resti di un muro pieno di circa m. 100 con un’ altezza massima di m. 1, 80 sul quale poggiava lo
“specus” dell’ acqua, realizzato in opera cementizia come la struttura arcuata,
dove però sono stati utilizzati anche mattoni sia nei pilastri che negli
estradossi[19].
Dopo il tratto su muro pieno la struttura è stata interrotta per la realizzazione
della linea ferroviaria Olbia - Golfo Aranci, negli anni 1860-70, sotto la
direzione dell’ ing. inglese Piercy.
Via Canova angolo Viale Aldo Moro (già nota come Solladas)
Oltrepassata la linea ferroviaria, l’acquedotto si presentava di nuovo con
la struttura arcuata a causa del dislivello del terreno che riprendeva a
degradare ( tale situazione di degradamento ci viene confermata dagli scavi
effettuati nel 1990 in Via Bernini per la costruzione di una casa privata, dove
sono stati messi in luce quattro basi di piedritti che dovevano sostenevano
l’opera arcuata. Nel tratto scavato non è stato possibile rinvenire elementi
utili per la datazione)[20].
Attualmente soltanto parte dei basamenti della struttura sono visibili,
mentre altri risultano interrati, fino alla periferia del centro urbano. In
prossimità del vecchio Ospedale “S. Giovanni di Dio”, tra Via Canova e Viale
Aldo Moro, riappaiono in luce alcuni piedritti come alcuni tronconi della massa
muraria in opera listata, in situazione di crollo. Su qualche tratto murario
possono rilevarsi i resti di due condotte, una delle quali obliterata
dall’altra. La parte dell’ acquedotto di cui si parla era stata minuziosamente
descritta dal Panedda[21].
Nel corso degli scavi effettuati nel 2003 sotto la direzione del Sanciu
nel cortile interno dell’ Ospedale, sono stati rinvenuti quattro piedritti
inseriti nella roccia opportunamente scavata, a testimonianza di una modifica
del tracciato dell’acquedotto, dovuta evidentemente ad errori di calcolo della
prima progettazione, modifica da porre in relazione alla obliterazione e
successiva ricostruzione dello specus, già notate in Via Canova[22].
Tutta la zona attraversata dal suddetto tratto di acquedotto era un’area
non ancora urbanizzata ai margini della zona palustre attorno alla città.
Via Nanni (già nota Via Circonvallazione)
Asx: tratti dei piè dritti dell'acquedottoromano |
L’acquedotto, superata l’area palustre, proseguiva all’interno dell’
antica cinta muraria, in loc. Porto romano. Qui troviamo oggi l’ultimo tratto
visibile della struttura, messo in luce dal Sanciu con la campagna di scavi del
2000[23].
Sono stati evidenziati nove basamenti di piedritti, che in media misurano m.
1,50 per lato, distanti tra loro circa m. 2,70-2,90, realizzati in opera
cementizia, mentre per il parametro esterno erano stati utilizzati massi
granitici, molto probabilmente prelevati da costruzioni più antiche
preesistenti nell’area, nella quale sono stati trovati ruderi di strutture
puniche e tardo-repubblicane[24].
Nel corso degli scavi, protrattisi per individuare esattamente la datazione
della struttura, al di sotto di uno strato di formazione recente, sono stati
rinvenuti resti di massa cementizia, con pietrame e pochi frammenti laterizi,
materiale riconducibile al crollo della struttura arcuata e utilizzato anche
per la realizzazione di una massicciata quale base di un viottolo che correva lungo l’antica struttura e di cui
si ha notizia fino al 1950[25].
In base agli studi effettuati sui ritrovamenti[26],
il Sanciu sostiene, come già il Panedda, (al quale egli rimanda anche per la descrizione
della tecnica costruttiva) che l’ intera costruzione sia stata realizzata tra
gli anni successivi al 125 e l’inizio del 200 d.C. e che gli stessi lavori di
rettifica del tracciato siano stati eseguiti subito dopo il primo collaudo
dell’opera[27].
Sempre in quest’ area, sul lato opposto della stessa Via Nanni, sono
visibili i resti dell’ultimo tratto in luce dell’acquedotto; originariamente dovevano raggiungere un’
altezza di m. 5 e che oggi, causa interri, sono visibili per un’ altezza di m.
2,50.
Tali ruderi sono ritenuti resti di un serbatoio per l’acqua o anche di
una torre per regolarne la pressione[28].
Da qui l’acquedotto doveva continuare per circa m. 200 sino alle terme,
come testimonia il Panedda, il quale scrive[29]
che nel 1889 il Tamponi[30] segnalava
un tratto di ben m. 135 di rovine della struttura, facenti capo alle terme,
situate nell’area oggi delimitata da Via S. Croce, Via delle Terme e Corso
Umberto I. Confermano tale percorso dell’ acquedotto i ritrovamenti effettuati
nel 1980[31], 1981[32] e
nel 1987[33].
Nel 1980, all’incrocio tra Via delle Terme e Via Acquedotto romano, è
stato ritrovato un troncone dell’acquedotto su muro pieno realizzato con la
tecnica a sacco e canaletta in cocciopesto.
Nel 1981 durante i lavori per la
rete idrica e fognaria del centro storico, in Via delle Terme vicolo “F” sono
stati evidenziati due tronconi dell’acquedotto, lunghi complessivamente circa
m. 7, realizzati con blocchi di granito legati tra loro con malta, formando
cosi una struttura a muro pieno che si collegava con il troncone messo in luce
l’anno precedente e con il pilastro originariamente alto m. 5, già esaminato,
in Via Nanni ( vedi pag. 7).
Nel 1987 i lavori per le fondamenta di una abitazione, sempre in Via
delle Terme vicolo “F”, hanno rimesso in evidenza un ulteriore tratto costituto
dalla base di un pilastro di arcata in connessione con il pilastro già noto al
Panedda e gli altri sopra citati.
Considerazioni finali sull’ acquedotto
L’ acquedotto di Olbia, monumento del periodo romano più significativo,
trasportava l’acqua dalle sorgenti delle falde granitiche di Cabu Abbas fino
alle terme della città, con un percorso rettilineo di oltre Km. 3, realizzato
interamente tra il II e l’inizio del III sec. d. C. , datazione confermata
anche dagli scavi più recenti[34].
Si deve ricordare che durante il secondo secolo d.C. in numerose aree
della Sardegna vengono realizzati nuove opere pubbliche oppure vengono
ristrutturate quelle preesistenti, come ad esempio le terme e il primo impianto
dell’acquedotto a Nora, l’acquedotto di Cagliari, di Tharros, l’acquedotto e le
terme di Neapolis e di Fordongianus, il restauro dell’ acquedotto di Porto
Torres. Pertanto è da inquadrarsi nello stesso periodo la costruzione dell’
acquedotto di Olbia; datazione supportata anche dai dati evidenziati nei
sondaggi stratigrafici[35].
Si può comunque affermare con sicurezza che la storia dell’acquedotto di Olbia
sia legata allo sviluppo della città in epoca imperiale, in un momento di
massima espansione dell’agro e di una maggiore floridezza economica,
testimoniata anche dalla costruzione nello stesso periodo delle terme. La
tecnica edilizia appare omogenea nell’intero percorso (utilizzo dell’opus
cementicium e dell’ opus signinum);
presenta una struttura a tratti in “opus arcuatum”, li dove necessitava
seguire l’andamento degradante da N a S del terreno, a tratti in muro pieno, là
dove il terreno riprendeva l’andamento non degradante.
Per oltre due chilometri l’opera proseguiva con struttura arcuata, ad
eccezione di un breve tratto con struttura a muro pieno, al di fuori della cinta muraria antica fino a
raggiungere l’area urbana, con una leggera pendenza che garantiva l’afflusso
dell’acqua; quando questo non è avvenuto regolarmente per errori di calcolo
nella progettazione, l’opera è stata opportunamente adeguata subito dopo il
primo collaudo ( vedi pag. 6 tratto Via Canova).
Il tratto urbano presenta sempre lo stesso tipo di struttura, in gran
parte arcuata. Particolarmente interessanti risultano, a mio modestissimo
avviso, i resti di una costruzione imponente (vedi pag. 7), ritenuta oggi un
torre che consentiva il regolamento della pressione dell’ acqua.
Come raggiungerlo:
I resti dell'acquedotto romano sono visibili in località Sa Rughittula (dal lungomare di via dei Lidi si svolta a s. e subito dopo il cavalcavia si percorre la strada asfaltata per circa 1 km). Per info: ArcheOlbia 3456328150 oppure archeolbia@gmail.com
Bibliografia:
D. Panedda, Olbia nel periodo punico e romano, Roma, 1953;
D. Panedda, L'agro di Olbia nel periodo preistorico, punico e romano, Roma, 1954;
R. D'Oriano, "Olbia: ascendenze puniche nell'impianto urbanistico romano", in L'Africa Romana. Atti del VII convegno di Studio (Sassari, 15-17 dicembre 1989), Sassari, Gallizzi, 1990, pp. 487-496;
Olbia e il suo territorio. Storia e archeologia, Ozieri, Il Torchietto, 1991;
D. Panedda, L'agro di Olbia nel periodo preistorico, punico e romano, Roma, 1954;
R. D'Oriano, "Olbia: ascendenze puniche nell'impianto urbanistico romano", in L'Africa Romana. Atti del VII convegno di Studio (Sassari, 15-17 dicembre 1989), Sassari, Gallizzi, 1990, pp. 487-496;
Olbia e il suo territorio. Storia e archeologia, Ozieri, Il Torchietto, 1991;
A. Sanciu, "Scavi all'acquedotto romano di Olbia", in Sardinia, Corsica
et Baleares antiquate. International Journal of Archaeology, I, 2003,
pp. 147-156;
A.R. Ghiotto, L'architettura romana nelle città della Sardegna, Roma, Quasar, 2004, pp. 194-195;
A. Mastino, Storia della Sardegna antica, Nuoro, Il Maestrale, 2005, pp. 286-289.
[1] PANEDDA 1953, pag. 54.
[3] ANGIUS , pag. 66.
[4] SPANO 1860, pp. 170-173.
[5] TAMPONI 1899.
[6] TARAMELLI 1939.
[7] PANEDDA 1954.
[8] D’ ORIANO 1992, pag. 212.
[9] SANCIU 1991, pp. 127-128; SANCIU
2003, pp. 147-152.
[10] D’ORIANO 1992, pag. 212.
La datazione è stata confermata dal materiale
archeologico ritrovato ai piedi della piscina limaria: si tratta di frammenti
di ceramica comune e terra sigillata africana tipo “A”.
[11] La sorgente principale era situata
presso la chiesa di S. Maria di Cabu Abbas, tutt’ ora esistente. Probabilmente
nei pressi si trovava un luogo di culto delle acque già dal periodo protosardo.
[12] SANCIU 2008, pag. 33.
[13] Il tratto ferroviario fu
realizzato tra il 1860 e il 187 dall’ing. Inglese Piercy.
[14] SANCIU 1991, pag. 127.
[15] PANEDDA 1953, pag. 54-56
[16] D’ ORIANO 1997, pp. 73
[17] SANCIU 2008, pag. 35.
[18] SANCIU 1991, pp. 127-128.
[19] SANCIU 2004, pag. 53.
[20] D’ORIANO 1997, pag. 136.
[21] PANEDDA 1953, pp. 115-116.
[22] SANCIU 2005, pag. 152.
[23] SANCIU 2003, pp. 147-152.
[24] SANCIU 2003, pag. 147, nota 3.
[25] PANEDDA 1953, pag. 56 e 109.
[27] SANCIU 2003, pag. 149.
[28] SANCIU 2004, pag. 54.
[29] PANEDDA 1953, pag. 58.
[30] TAMPONI 1889, pag. 2.
[31] SANCIU 1996, pag. 131.
[32] SANCIU 1996, pag. 133.
[33] SANCIU 1996, pag. 135.
[34] SANCIU 2004, pag. 54.
[35] SANCIU 2003, pag. 152.
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