di Marcello Cabriolu
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Fin da epoche
remote, e per via delle sue innumerevoli risorse, la Sardegna fu verosimilmente
un crocevia di beni e di ricchezze provenienti dai commerci e dalla
navigazione. Probabilmente culla della più antica marineria, l’isola riuscì,
come prima testimonianza di floridi commerci, a distribuire l’ossidiana estratta
sul Monte Arci e nell’Isola di Sant’Antioco[1]
dalle coste del Golfo del
Leone sino alle coste della Puglia e poi fino in fondo alle foci del Danubio[2].
Grazie a studi accurati sono stati indagati i circa 300 punti di estrazione del
“vetro vulcanico” collocati sul Monte Arci e sono stati individuati diversi
tipi di ossidiana più o meno fragili probabilmente indicati per diversi usi.
Naturalmente l’ossidiana è testimoniata anche
in altri contesti estranei alla Sardegna collocati nel Mediterraneo Occidentale
quali le Isole Pontine, Lipari e Pantelleria. Degna di riflessione è la
constatazione che in questi ultimi contesti lo sviluppo della vita - o di una
comunità in grado di estrarre e distribuire il materiale – si manifestò solamente
in epoca storica, ponendo il dubbio su chi realmente fosse lo sfruttatore delle
risorse. La distribuzione del materiale dei quattro principali giacimenti vede,
nell’ambito dei contesti di fruizione sparsi tra l’arco franco ligure, la
Corsica, l’Italia Centrale e l’Europa Danubiana, una spiccata preferenza per il
materiale Sardo nelle sue quattro varianti. Pare doveroso chiedersi, in virtù
dell’assenza di forme civili negli altri contesti produttivi, quale altro
gruppo umano distribuì il materiale dando preferenza a quello Sardo. Lo
scrivente, stimolato da altri studiosi quali ad esempio Mikkelj Tzoroddu, è
portato a ipotizzare che solo la marineria sarda fosse in grado, in epoca
preistorica, di distribuire da sola sia il proprio materiale che quello
estratto dai siti precedentemente citati fissando perciò un vero e proprio
controllo sul traffico di ossidiana[3].
La distribuzione del materiale, avvenuta in percentuali a favore del prodotto
sardo (almeno il 50% del prodotto rilevato in ciascun sito di distribuzione), è
riconducibile almeno al 12.200 + 400 BP ( Before Present – prima del
presente), periodo indicato dalle datazioni ottenute dall’ossidiana rinvenuta
nel Riparo Mochi (Egeo). Grazie a queste indelebili tracce nella storia è
possibile testimoniare la capacità dei sardi, tacciati di isolamento, di
muoversi al di fuori del contesto isolano.
L’elemento marino e la felice posizione geografica della Sardegna, al centro del Mediterraneo Occidentale, hanno costituito da sempre degli elementi di coesione anziché di isolamento. Basta riflettere su esempi quali il fiorire della Cultura campaniforme in Sardegna contemporaneamente a quella dell’Europa Centrale per capire quanto la Sardegna preistorica fosse in contatto con l’Europa continentale. Si può ancora studiare il successivo fenomeno dell’ipogeismo e ascoltare Giovanni Lilliu imputare l’origine degli ipogei eneolitici francesi della conca di Parigi ad una matrice sarda di cultura Abealzu – Filigosa[4], per avere altre testimonianze relative agli spostamenti dei Sardi. In merito al rapporto profondo e assodato tra i Sardi ed il Mediterraneo è possibile osservare l’arrivo precoce della metallurgia in Sardegna, congettura sostenuta pienamente dalle relative datazioni fatte da Tykot sulle lame di bronzo della necropoli di Mesu ‘e Montes (Ossi – Tomba II), imputate attorno al 3200 a.C e la spatola di Monte Baranta (Olmedo) del 2700 a.C.[5]. Grazie all’elemento marino le popolazioni nuragiche si rivelano esportatrici, sotto molti punti di vista, di elementi quali ad esempio la cultura materiale legata alla produzione del vino, oppure la cultura materiale legata alla produzione di armi, oppure ancora delle tecniche relative all’edilizia. Tra le regioni che condividono con la Sardegna del Bronzo Medio e del Bronzo Finale similitudini nell’edilizia abitativa e in quella religiosa troviamo la Penisola Iberica, la Francia, la Corsica e le Baleari, tutte regioni raggiungibili unicamente attraverso il mezzo marino. Si possono inoltre riscontrare somiglianze marcate, in ambito culturale, tra la Sardegna nuragica e svariati contesti umani oltre mare quali l’Etruria, il basso Tirreno, la Sicilia, le regioni ioniche e Creta, sia per quanto riguarda la ceramica della facies eoliana di Capo Graziano sia per la presenza in tutti questi territori di brocche askoidi esclusivamente sarde[6]. A prova della familiarità con l’ambiente acquatico si possono inoltre citare le ceramiche nuragiche testimoniate a Cadice, Huelva, Sevilla e sull’Atlantico iberico a dimostrazione di una capacità commerciale di tutto rispetto[7]. La padronanza del mezzo acquatico permise ai Sardi di esportare l’attività edilizia e gli stili esclusivamente indigeni sino al Mediterraneo Orientale. La conferma di tale affermazione possiamo trovarla se analizziamo le capanne circolari del Levantino:
strutture abitative e di vario genere caratterizzate nell’architettura[8]
[9]
da elementi nostrani ravvisabili nell’inconfondibile paramento murario a
sacco tipico delle architetture sarde. La Grecia micenea richiese l’intervento
di mastri edili Sardi per edificare l’Unterburg di Tirinto come per la fonte
Perseia di Micene; le sepolture ipogeiche a cassone litico circondate da
circoli di pietre del diametro di 8 mt circa, create nella penisola greca [10],
richiamano fortemente i circoli tombali di Arzachena e di Goni.
Monte Arci |
L’elemento marino e la felice posizione geografica della Sardegna, al centro del Mediterraneo Occidentale, hanno costituito da sempre degli elementi di coesione anziché di isolamento. Basta riflettere su esempi quali il fiorire della Cultura campaniforme in Sardegna contemporaneamente a quella dell’Europa Centrale per capire quanto la Sardegna preistorica fosse in contatto con l’Europa continentale. Si può ancora studiare il successivo fenomeno dell’ipogeismo e ascoltare Giovanni Lilliu imputare l’origine degli ipogei eneolitici francesi della conca di Parigi ad una matrice sarda di cultura Abealzu – Filigosa[4], per avere altre testimonianze relative agli spostamenti dei Sardi. In merito al rapporto profondo e assodato tra i Sardi ed il Mediterraneo è possibile osservare l’arrivo precoce della metallurgia in Sardegna, congettura sostenuta pienamente dalle relative datazioni fatte da Tykot sulle lame di bronzo della necropoli di Mesu ‘e Montes (Ossi – Tomba II), imputate attorno al 3200 a.C e la spatola di Monte Baranta (Olmedo) del 2700 a.C.[5]. Grazie all’elemento marino le popolazioni nuragiche si rivelano esportatrici, sotto molti punti di vista, di elementi quali ad esempio la cultura materiale legata alla produzione del vino, oppure la cultura materiale legata alla produzione di armi, oppure ancora delle tecniche relative all’edilizia. Tra le regioni che condividono con la Sardegna del Bronzo Medio e del Bronzo Finale similitudini nell’edilizia abitativa e in quella religiosa troviamo la Penisola Iberica, la Francia, la Corsica e le Baleari, tutte regioni raggiungibili unicamente attraverso il mezzo marino. Si possono inoltre riscontrare somiglianze marcate, in ambito culturale, tra la Sardegna nuragica e svariati contesti umani oltre mare quali l’Etruria, il basso Tirreno, la Sicilia, le regioni ioniche e Creta, sia per quanto riguarda la ceramica della facies eoliana di Capo Graziano sia per la presenza in tutti questi territori di brocche askoidi esclusivamente sarde[6]. A prova della familiarità con l’ambiente acquatico si possono inoltre citare le ceramiche nuragiche testimoniate a Cadice, Huelva, Sevilla e sull’Atlantico iberico a dimostrazione di una capacità commerciale di tutto rispetto[7]. La padronanza del mezzo acquatico permise ai Sardi di esportare l’attività edilizia e gli stili esclusivamente indigeni sino al Mediterraneo Orientale. La conferma di tale affermazione possiamo trovarla se analizziamo le capanne circolari del Levantino:
Capograziano - Sicilia |
Goni - Circolo tombale |
In aggiunta
alle già numerose testimonianze si possono citare gli Hittiti come committenti di
una muraglia favolosa per le città di Hattusha e di Buyukkake, oppure di un
favoloso tunnel ad Alacha Huyuk in Anatolia[11],
tutte prove di un’edilizia sarda giunta molto lontano. Infine sembra doveroso
citare i contatti tenuti con l’antico Egitto grazie allo sfruttamento delle
reti commerciali. I traffici di merci e di uomini, avvenuti attraverso il
Mediterraneo, sono ora testimoniati nei dipinti raffiguranti l’aspetto dei
principi delle Isole del Cuore del Verde Grande “recanti doni” ai faraoni
Ashepsut e Tuthmosis III o verosimilmente commercianti con il regno Egizio. I caratteri
somatici e le armi raffigurate nei dipinti egizi ci dimostrano che i principi
delle Isole del Cuore del Verde Grande non sono Micenei, bensì appartengono al
gruppo etnico dei Sardi o definiremmo meglio degli Shardana[12],
citati persino nelle cronache a El Amarna tra il XIII e il XII secolo a.C.. Gli
Shardana si rivelano tra i protagonisti di quella lega definita “dei Popoli del
Mare” e delle vicende ad essa legate quali ad esempio l’invasione del
Mediterraneo Orientale. L’antropologia ci fornisce ora i dati che ci supportano
nell’elaborazione di chi fossero i Popoli del Mare ed in particolar modo su chi
fossero gli Shardana e la loro identità Sarda.
Ramses III contro i popoli del mare |
La produzione Sarda testimonia infatti che tali
armi hanno una matrice indigena e che solo grazie al rapporto uomo sardo - mare
questa produzione è potuta giungere oltre le sponde del Mediterraneo e portate
alla forgiatura di modelli come quelli individuabili nel Midì francese, nella
regione di El Argar, a Filitosa, Castaldu e Cauria in Corsica. Ancora si può
affermare che l’esportazione della metallurgia, avvenuta nel Bronzo Medio ad
opera di agenti nostrani, ci permette di individuare forme bronzee tipiche
esclusive sarde anche nella penisola Iberica, nella Locride, sull’isola di
Creta e nell’attuale Israele. In conclusione si può asserire che dal Bronzo Medio
alla fine dell’età del Ferro, i Sardi gestissero rapporti commerciali e tecnologici
navigando in lungo e in largo nel Mediterraneo, anziché stare isolati nel
proprio contesto geografico, entrando in contatto con diverse civiltà, scambiandone
i prodotti e cogliendone il Know – How o gli elementi che consideravano a
proprio vantaggio.
[1]
M.
Cabriolu, La Preistoria a Sant’Antioco, Gruppo Ed. L’Espresso, 2008
[2]
M.
Tzoroddu, Kircandesossardos – Sardegna,
ricerca dell’origine, Zoroddu
Editore, Fiumicino 2008, p. 58
[3]
D.Binder,
J.Courtin, Un point sur la circolation de
l’obsidienne dans le domaine provencal, in “Gallia Prehistoire”, 36 (1994),
p.310 – 322
[4]
G.Lilliu,
Aspetti e problemi dell’ipogeismo Mediterraneo, serie IX vol. X fasc. 2, in A.
Moravetti (a cura di) Sardegna e
Mediterraneo negli scritti di Giovanni Lilliu, Carlo Delfino Editore,
Sassari1998, p.2450
[5] R.H.Tykot,
Radiocarbon dating and absolute
chronology in Sardinia and Corsica, Skeates & Whitehouse, London 1994, p.115-145
[6]
P.
Bartoloni, I Fenici e i Cartaginesi in
Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 2009, p.37
[7]
Bartoloni,
I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna,
p.37
[8]
L.
Bernabò Brea, Gli Eoli e l’inizio
dell’Età del Bronzo nelle Isole Eolie e nell’Italia meridionale: archeologia e
leggende, Arte Tipografica, Napoli 1985, pp.151-201
[9]
G.
Ugas, L’Alba dei Nuraghi, Fabula, Cagliari
2005, p.199
[10]
F.
Matz, Creta Micene Troia, Primato, Collana
Le grandi civiltà del passato, Roma 1958, p. 31
[11]
Ugas,
L’Alba dei Nuraghi, p. 200
[12]
W. Wolf,
Il mondo degli Egizi, Collana Le
grandi civiltà del passato, Primato, Trieste 1958, p.153
[13]
Ugas,
L’Alba dei Nuraghi, p.254
[14]
Ugas,
L’Alba dei Nuraghi, p.254
[15]
Ugas,
L’Alba dei Nuraghi, pp.205-206