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mercoledì 7 settembre 2016

ArcheOlbia - Economia e società nel Bronzo Medio

di Marcello Cabriolu

marcello cabriolu
Le tecnologie sviluppate, quali quella metallurgica e quella edile, incrementatesi a seguito dello sfruttamento delle rilevanti risorse naturali sarde combinate con la rete di scambi e contatti instauratasi nel Mediterraneo, portarono la Civiltà Nuragica, durante il Bronzo Antico, ad evolversi e raggiungere nel Bronzo Medio  un sistema sociale definibile “stato”. La Tyrrhenia, o paese delle torri, abbracciava nel Bronzo Medio un’area molto più vasta della Sardegna comprendendo il sud della Corsica e le Baleari[1]. Questo contesto, definibile come regno (rennu), al cui comando doveva soprintendere una sorta di re – magistrato (Juyghi), era frazionato in cantoni che avrebbero in seguito coinciso con le curatorie medievali.
marcello cabriolu
Tale elaborazione è il frutto della rilettura attenta di due testimonianze storiche ben precise. La prima testimonianza riguarda l’analisi della divisione amministrativa in epoca  giudicale. Essa constava allora di circa 55 curatorias[2], ovvero comunità o cantoni governati da un Curadori, una sorta di figura notabile. La seconda testimonianza, individuabile nel Bronzo Recente e Ferro I, riguarda la consistenza delle tribù nuragiche, stanziate in cantoni come autonome, quantificabili attorno alle cinquanta unità e leggendariamente legate ai mitici prìncipi Tespiadi[3], anch’essi supposti in un numero compreso tra 43 e 51. L’identificazione delle tribù è facilmente sostenuta sia dal rinvenimento di miliari lungo argini di fiumi o vie di comunicazione sia dalla presenza di architravi in edifici nuragici sparsi per l’agro sardo, i quali testimoniano i confini tra i vari gruppi.
A questa conclusione si è giunti sia grazie all’analisi condotta da Massimo Pittau - che attraverso i suoi studi di glottologia e toponomastica è giunto ad identificare i gruppi umani dell’epoca - sia analizzando individualmente la toponomastica sarda ed altri studi in circolazione. Lo scrivente propone ora una riflessione sulla situazione abitativa del contesto di villaggi del Bronzo Finale e Bronzo Recente stanziati sui colli romani. L’analisi prende in esame le cime Germalo e Palazio sul colle Palatino; le cime di Oppio, Cispio e Fagutale sull’Esquilino; e ancora i colli Velia e Celio[4] che circondavano la piana acquitrinosa corrispondente all’attuale Foro Italico. Sopra ognuna di queste alture erano presenti insediamenti umani, i cui abitanti professavano il culto del Giano Bifronte e interpretavano l’ascia bipenne come simbolo della Divinità e della Giustizia. Questi villaggi, sotto la forte pressione etrusca, votarono per l’unificazione in un unico agglomerato urbano. Quest’unificazione, attuatasi leggendariamente sotto il comando del personaggio mitico di Romolo, diede origine, attorno all’anno 753 a.C., alla città di Roma. Il nuovo insediamento vide la sua fase arcaica caratterizzata da uno sviluppo notevole derivante da un forte influsso (se non dal completo controllo) della civiltà etrusca[5]. 
Attraverso i Lucumoni, figure politiche etrusche ricalcanti i re, ormai riconosciuti dalle testimonianze classiche come di origine sarda[6], Roma ricevette un ordinamento giuridico, l’uso dell’alfabeto e della scrittura, un ordinamento militare e un inquadramento religioso. La società etrusca era costituita da tribù, proprio come la società Sarda, le quali erano composte da cellule familiari, frazionate in distretti o curiae[7]. Come un continuum di tradizioni, anche nella Roma arcaica vennero impostati gli stessi criteri civili dividendo la popolazione in gruppi religiosi e militari appartenenti allo stesso territorio, detti curie. Le curie, termine etrusco per individuare un gruppo di uomini, raggruppavano le tribù del territorio. Questo criterio di raggruppamento, verosimilmente comune ai Popoli del Mare tra i quali si riscontrano gli Etruschi e i Sardi, venne trasmesso anche ai latini, i quali resero le curie il fondamento delle più antiche assemblee politiche cittadine, i comizi curiati. E’ curioso verificare che nel vocabolario sardo il termine coviadu presenta lo stesso significato dell’etrusco curia o coviria - cioè gruppo di uomini - ma ancor più colpisce vedere questa stessa struttura politica presente in un territorio diviso in tribù quale era la Sardegna del Bronzo Medio. I comizi curiati avevano la funzione di regolamentare la vita civile e di votare la lex curiata de imperio, ovvero la legge che conferiva i poteri al magistrato eletto[8]. Indagando sugli aspetti politici sardi durante il periodo giudicale si può incontrare lo stesso tipo di organo politico al quale è demandato lo stesso identico potere.
L’organismo individuato corrisponde al nome di Corona de Logu, organo dei Giudicati, che è un consiglio formato da Curatoris e notabili, che aveva il potere di conferire oppure togliere al Giudice (Su Juyghi) il governo del regno. Attraverso un piccolo passo indietro nel tempo si suggerisce al lettore di riflettere sui grossi santuari federali, come Santa Vittoria di Serri o Santa Cristina di Paulilatino. I suddetti contesti costituiti da specifiche capanne delle riunioni e luoghi di affluenza di massa avrebbero rappresentato delle “locations”  ottimali allo svolgimento di consigli federali di elevata importanza politica, quali potevano essere appunto le riunioni della Corona de Logu. La frammentazione politica delle tribù sarde in grossi cantoni, desunta dall’indagine degli insediamenti[9], ci mostra altri raggruppamenti amministrativi di importanza inferiore ai cantoni stessi. Con insediamenti minori, fondati su strutture di uso civile e religioso, questi raggruppamenti (definibili comunità) controllavano sistematicamente e intensivamente tutto il territorio isolano[10]. All’interno di ogni singola comunità, estesa anche per un centinaio di kmq, ogni insediamento per grande o piccolo che fosse rivelava la presenza di una capanna delle riunioni, suggerendo che la manifestazione politica da parte di un consiglio avvenisse anche ai più bassi livelli urbani.
L’esistenza di un sistema di consigli “regionali”, ci dà l’idea di un’assemblea popolare a cui partecipavano i notabili e gli anziani (s’etzus in sardo e senex forse in etrusco) appartenenti a is arereus,  le famiglie patrizie dei cantoni. I consigli o assemblee dei notabili (sinotu o probabilmente coviàdu) eleggevano, tra i propri componenti, i capi militari - magistrati del territorio, come avveniva in epoca medievale. A capo di questa struttura piramidale ma fortemente federale e quasi “repubblicana”, lo scrivente elabora la figura del re – sacerdote (che noi successivamente definiremo Sardus Pater), individuabile anche nel rex sacrorum  a capo dello stato romano o ancora nel Lucumone a capo della città – stato etrusca o ancora nel Wanax egeo a capo della comunità greca. Il re – sacerdote distinto da insegne ben precise, con funzioni di magister federale, nominato e revocato dall’assemblea delle tribù, governava il Regno (su Rennu)  per conto del popolo sovrano. Allo stesso modo poteva agire in epoca medioevale Su Juyghi eletto tramite mandato da parte della Corona de Logu. In conclusione di questa elaborazione amministrativa, si può facilmente sostenere che essa rappresenti una realtà unica della Sardegna e quindi verosimile.
In un continuum politico e culturale - esclusivo del territorio riassumibile come Tyrrenide - al crollo dell’Impero romano d’Occidente, troviamo la stessa situazione politica non individuabile in nessuna altra regione dell’Impero, segnale dell’originalità e dell’identità politica specifica della sola Sardegna. Nell’epoca medievale si sviluppa infatti un sistema politico molto simile a quello sopraccitato e a cui abbiamo già accennato in precedenza: i Giudicati. Se tale modello politico fosse stato dipendente dal processo di romanizzazione, avrebbe mostrato sviluppi e risvolti anche nelle altre regioni interessate dal fenomeno. Allo stesso modo se il sistema politico fosse stato di origine medievale avrebbe attecchito in altri contesti interessati, come la regione Sarda, dalle invasioni barbariche di Vandali e Bizantini, mentre  manifesta caratteri di originalità esclusivamente in Sardegna. Grazie ai bronzetti finora pervenutici è possibile capire che la società del Bronzo Medio si articolava attraverso diversi livelli sociali. Dall’osservazione attenta dei manufatti si distinguono le classi più elevate, comprendenti le figure aristocratiche, quelle delle sacerdotesse e quelle dei soldati; da quelle medie costituite da offerenti e artigiani; fino a quelle più basse di cui facevano parte is theràccus – i servi[11]. Tornando per un attimo all’analisi del re – sacerdote, descriviamone ora brevemente gli elementi che ne caratterizzano le insegne regali: il primo elemento contrassegnante il re – sacerdote e i capi minori è su sereniccu, il mantello di panno a tessuto doppio bordato e ricamato.
Su Sereniccu, che trova ancora precisi riscontri nel costume maschile di Sant’Antioco, veniva chiuso sul collo da un fermaglio o da bande[12] tenute su petto e pendenti all’altezza della cinta come gli attuali muccarois, oppure veniva tenuto con le bande “sbracate” sulle spalle, riscontrabile nel bronzetto nuragico del Capo tribù di Uta. Il secondo elemento caratterizzante un capo è la bandoliera, sistemata di traverso sul petto e che porta appeso su stoccu  - il pugnaletto.
La bandoliera invece viene assemblata al busto anch’essa da bande sfrangiate tenute legate sulla schiena. Completano il corredo regale sa berritta - calzata dal bronzetto del Capo tribù di Teti - e su bastoni nodoso, entrambi elementi di forte riscontro negli attuali costumi sardi. Elaborata la figura del Capo o verosimilmente del re - sacerdote e magistrato si può facilmente dichiarare che tale personaggio appare assai diffuso e radicato sia nella produzione bronzea che nelle considerazioni di talune strutture come ad esempio la capanna del capo di vari siti: Santa Vittoria di Serri, Su Nuraxi di Barumini o Serucci di Gonnesa solo per citarne alcuni. Pare doveroso riflettere sul frazionamento e sulla capillarizzazione dello Stato Nuragico a tal punto da considerare necessarie delle figure di comando ai vari livelli territoriali al fine di gestire il contesto amministrativo.
A legare questo sistema capillare di insediamenti venne realizzata, durante il II millennio a.C., una rete viaria, ripresa poi in epoca romana imperiale attraverso rifacimenti e ammodernamenti celebrati da cippi e miliari. I rinvenimenti di alcuni di questi cippi hanno indicato l’intervento di manutenzione, di epoca romana, su strade già antiche da gran tempo quali per esempio la Karales – Sulci in regione Corongiu[13], arteria di già sospetta origine nuragica[14]. La rete viaria appena consolidata favorì, durante il II millennio a.C., l’attività estrattiva e i processi di trasformazione di ingenti quantità di argento e rame[15], probabilmente utilizzati come base delle transazioni commerciali nel Mediterraneo Orientale. La presenza di giacimenti d’argento, posseduti e sfruttati esclusivamente dal popolo nuragico, collocati in prossimità delle coste facilitava il trasporto del materiale verso i punti d’imbarco.
Il minerale estratto dai principali giacimenti collocati nell’Argentiera, in Ogliastra, nel Guspinese, nel Sulcis e nella Quirra veniva trasportato e trasformato direttamente nel porto d’imbarco come ad esempio avveniva nel Porto di Coe’cuaddu, nell’Isola di Sant’Antioco, relativamente al materiale estratto nei giacimenti presenti sull’Isola stessa (Sa Scrocchitta, Rocca Sa Guardia, Monti Oliena, Is Pruinis e una località con toponimo ancora da verificare Monte Arbu) o nella vicinissima miniera di Monte Rosas. L’utilizzo dell’argento, da parte dei nuragici, come moneta sonante nei processi commerciali tenuti in oriente, deve aver interessato, attorno alla metà del II millennio a.C., i componenti della Lega dei micenei. Le tracce dei primi “contatti” (le perplessità su questi contatti saranno discusse nei capitoli successivi), sono riscontrabili nell’immediato entroterra delle aree minerarie sopra citate. In contesti databili attorno al XV sec. a.C., quali la tholos centrale del Nuraghe Arrubiu di Orroli oppure l’Antigori di Sarroch, sono state rinvenute delle ceramiche qualificate come micenee. Anche nell’abitato di Tharros, per l’esattezza all’interno delle capanne circolari di Muru Mannu, sono stati rinvenuti alcuni pezzi fittili della seconda metà del XVI sec. a.C. definiti caratteristici della cultura micenea.
I segnali di frequentazioni, presso i porti sardi, di altre popolazioni oltre le micenee sono assenti, il che fa supporre, in alternativa agli arrivi micenei, che parecchi prodotti di origine africana oppure medio orientale venissero approvvigionati direttamente dalla marineria nuragica oppure addirittura venissero prodotti in Sardegna. Osservando nel suo insieme il quadro offerto dal Mediterraneo durante il II millen. a.C., non si possono considerare movimenti precoloniali di genti egee verso occidente ma sono invece ben apprezzabili dinamiche complesse di merci, uomini e Know – How da Ovest verso Est che vanno ad incrociare le rotte commerciali del Mediterraneo Orientale[16]. E’ doveroso ricordare a questo punto un elemento di riflessione che lascia profondi dubbi. L’oggetto in questione è il piatto in steatite di Locoe - Orgosolo[17]  decorato con motivi spiraleggianti, il quale trova precisi riscontri nelle varie pissidi con decorazioni spiraliformi rinvenute in Sardegna. Tale riflessione ci porta a considerare la matrice di queste ceramiche esclusivamente in Sardegna. Le perplessità scaturiscono impetuose quando a queste produzioni si affiancano quelle egee, identiche nel motivo spiraliforme, come ad esempio la padella d’argilla proveniente da Siros (Cicladico Antico II circa metà del III millennio a.C.)[18]. Esse si rivelano spie di contatti con l’Egeo in epoche precedenti ai contesti appena descritti, ma al tempo stesso prove inconfutabili di scambi commerciali.



[1] G. Ugas, L’Alba dei Nuraghi, Fabula, Cagliari 2005, p.159, tav XV
[2] G.G. Ortu, La Sardegna dei Giudici, Il Maestrale, Nuoro 2005, p.38, fig.1
[3] Ugas,  L’Alba dei Nuraghi, p.80
[4] P. Meloni, Mediterranea. Corso di Storia, D’Anna, Firenze 1967, pp.41-42
[5] G. Geraci, A. Marcone, Storia Romana, Le Monnier Università, Firenze 2008, p.26
[6] Strabone: da "Ludi Capitolini" (Festo 473-4) "Reges soliti sunt esse etruscorum, qui Sardi appellantur. Quia Gens etrusca, Horta est Sardibus" (sono soliti essere re degli Etruschi, coloro che si chiamano Sardi, quindi la Gente etrusca è originaria dai Sardi, in Wikipedia
[7] M. Torelli, La storia, in A.A.V.V. ( a cura di), Rasenna. Storia e civiltà degli Etruschi, Collana Antica Madre, Garzanti Scheiwiller per Credito Italiano UTET, Milano 1986, p.35
[8] G. Geraci, A. Marcone, Storia Romana, Le Monnier Università, Firenze 2004, p.24
[9] M. Cabriolu, La Preistoria a Sant’Antioco, Gruppo Ed. L’Espresso, 2007
[10] Ugas,  L’Alba dei Nuraghi, p.146 tav II
[11] Torelli, La storia, p.41
[12] A.M. Colombo, G.Speziale, I costumi della Sardegna. Il vestiario tradizionale di 108 città e paesi della nostra isola, Archivio fotografico sardo, Nuoro 2007, p.277
[13] A. Taramelli, Scavi e scoperte 1911 – 1917, Carlo Delfino Editore, Sassari 1983, pp.335–338
[14] Cabriolu, La Preistoria a Sant’Antioco
[15] J. E. Dayton, Sardinia, the Sherden and Bronze Ages routes, in Annali dell’Istituto Universitario Orientale, Napoli 1984, vol 44, fasc 3, p.364
[16] G. Pugliese Carratelli, I primi coloni greci in Italia, 1981, rist. 1961, p.18
[17] G. Lilliu, Arte e religione della Sardegna prenuragica. Idoletti, ceramiche, oggetti d’ornamento, Carlo Delfino Editore, Sassari 1999, p.85
[18] F. Matz, Creta Micene Troia, Collana Le grandi civiltà del passato, Primato, Roma 1958, tav 12

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