di Marcello Cabriolu
ph Durdica Bacciu
ph Durdica Bacciu
Il fattore che rende omogenei i centri del Bronzo Medio consta nell’edificazione e nell’espansione degli stessi tendenzialmente su giare, altipiani o rilievi dominanti il territorio. Tale criterio venne attuato anche in prossimità della costa in quei luoghi dediti alle concentrazioni di beni e prodotti da esportare, quali ad esempio i metalli di cui la Sardegna è ricchissima, oppure appena approvvigionati e da distribuire nel territorio circostante. Il contesto marino caratterizzante Bronzo Medio, Bronzo Recente e Bronzo Finale è sicuramente diverso dalla situazione attuale e ciò è testimoniato dalle varie attività di studio condotte nel Mediterraneo Occidentale, le quali disegnano, per l’epoca in esame, delle condizioni di regressione marina comprese tra i -10 e i -5 mt rispetto al livello marino attuale[1]. La scelta di promontori - pratica testimoniata anche dai gruppi umani stanziati nell’Egeo[2] -, ma anche dell’interno di foci (quali ad esempio il Rio Palmas a Masainas, contesto denominato in epoca romana Sulcitanum Portus), opportunamente riparati ai venti dominanti e già anticamente sfruttati per le esportazioni di legname, ossidiana, rame e argento, favorì l’evolversi e il consolidarsi degli antichi punti di concentrazione dei prodotti in grossi scali marittimi. E’ verosimilmente corretto dichiarare che nei contesti portuali del Bronzo Medio, oltre alle operazioni di imbarco e sbarco, trovavano luogo anche tante altre attività quali i cantieri navali, l’industria conserviera del pescato e quella di lavorazione ed estrazione delle tinture. Ricalcando un’abitudine di origine probabilmente neolitica, i grossi insediamenti quali Tharros, Othoca, Sulky, Nora, Karalis, Nure ebbero i loro sistemi portuali opportunamente orientati e basati sul criterio del doppio approdo da sfruttarsi alternativamente a seconda delle stagioni e dei venti dominanti. Naturalmente questa predisposizione non era prerogativa esclusiva dei grandi centri ma si dimostrò carattere comune di parecchi insediamenti, anche secondari, dediti all’imbarco di merci e soprattutto metalli verso il Levantino. Percorrendo in senso orario le coste della Sardegna si possono osservare, a partire dall’Ogliastra, i seguenti Nuraghi, che individueremo semplicemente con “N.”: alle spalle del sistema minerario del Monte Albo il N. Muriè, l’insediamento di Santa Maria del Mare, alla foce del Cedrino, e il N. D’Ordignai, i quali controllavano l’imbarco dei minerali, quali argento, piombo e zinco provenienti dai giacimenti di Guzzurra, Argentaria e Sos Enattolos[3] e delle merci provenienti dall’entroterra.
La zona di Cala Gonone più a sud era controllata dal sistema portuale facente capo al N. Arvu, sistemato allo sbocco della Valle di Lanaitho. Alle spalle dei giacimenti del Gennargentu si può rinvenire Porto Quao, letteralmente “porto nascosto”, nel quale veniva concentrato il materiale proveniente da Genna Arramene (porta del Rame) e dal giacimento di argento e piombo di Corr’e Boi[4], sul Monte Arbu. Tra lo stagno di Tortolì e Girasole sorse il centro di Surci, con il chiaro intento di sfruttare i prodotti minerari, quali argento, piombo e zinco, provenienti da Corr’e Boi[5] e dall’Ogliastra (nello specifico da Baunei) dove si sfruttavano i giacimenti di Genna Olidoni ricchi di piombo, zinco e argento[6]. Per imbarcare il materiale si sfruttavano le insenature con torri costiere come quella del N. Moru a Barisardo o ancora il piccolo centro ora conosciuto come N.S. del Buoncammino, poco a nord di Marina di Gairo. Nella Quirra, alle spalle del sistema minerario omonimo, si rivelano diversi insediamenti dediti al controllo della costa e allo sfruttamento della zona mineraria di Baccu Talentinu a Tertenia, ricca di piombo, argento e rame[7]. Essi sono: Nuraghe Sa Foxi Manna e N. Aleri a Foxi Manna; N. Anastasi e N. Punta Moros, a controllare Porto Santoru. Il porto di Quirra era controllato dai N. D. Murtas e N. Serbiola, alla foce del Frumini Durci. Alla foce del Flumendosa, nel Sarrabus, si presentano i N. Franzesu e Perda su Luaxu, a soprintendere al commercio marittimo dei prodotti della miniera di Baccu Locci, quali piombo, argento, rame e arsenico. Mentre più a sud, tra lo stagno di Colostrai e il Monti Ferru, punti minerari locali, sorgeva Porto Pirastu con riferimento all’approdo nel N. Pirastu. Questo porto verosimilmente imbarcava i materiali, quali piombo, zinco e argento, provenienti dai giacimenti di Brecca e Monte Narba di San Vito. A sud della Costa Rey si apre Cala Sinzias, coi N. Sinzias e Figu Niedda, a controllare l’approdo dell’ennesimo giacimento sistemato sull’ennesimo Monte Arbu. Cala Piras e Punta Molentis, coi N. Porceddus e Punta Molentis delimitano il profilo est del Golfo degli Angeli, creando insieme al sito dell’isola dei Cavoli, con il N. Isola dei Cavoli, un punto nave per l’atterraggio a Karaly. Solanas e Carbonara coi N. Manunzas, Giardone e Cuccureddu, e ancora Geremeas col N. Genn’e Mari, verosimilmente favorivano la funzione descritta per i contesti precedenti, intuibile anche analizzando proprio il toponimo di quest’ultimo Nuraghe, Genn’e Mari, ovvero “Porta del Mare”. Is Mortorius, coi N. Diana e N. Capitana, rappresentava probabilmente il finale per l’atterraggio al porto di Karali, forse sistemato dentro lo Stagno de Santa Illa (l’Isola Santa) dove tuttora si trova Sa Illetta, “l’Isoletta”. Il centro urbano di Nora trova con Porto Agurnu uno scalo favorevole, supportato inoltre, a Sarrok, dai N. Sa Dom’e s’Orku e Antigori, e a Perd’e Sali dal N. Mereu, per la gestione del materiale proveniente dall’entroterra e per la distribuzione dei prodotti provenienti dal Levantino. Tuerredda coi N. Tuerredda e Nuraxi de Mesu e Capo Malfatano col N. de sa Canna costituivano il punto d’attracco e di inoltro verso il cuore del Sulcis. Al centro del contesto sulcitano si possono trovare insediamenti quali ad esempio il contesto di Su Benatzu, di Monte Cerbu e di Mont’Ega dove si estraeva argento, piombo argentifero e rame[8], e ancora i contesti di fruizione dei giacimenti delle miniere di Monte Orbai e di Monte Rosas, le quali fornivano piombo zinco e argento. Porto Tramatzu col N. Maxinas, Porto Zaffaranu coi N. Zaffaranu e N. Antiogu, alle spalle del Sulcitanum Portus, dovevano verosimilmente instradare verso il Golfo di Palmas e le sue saline, tramite anche i N. Turritta, Sa Guardia Nuragoga e Sa Perda. Il porto di Coacuaddus (Sant’Antioco), realizzato per sfruttare i giacimenti di argento e piombo argentifero dell’isola di Sant’Antioco, si basava sul sistema di atterraggio creato dai N. Montarveddu, Cala Bianca, N. ‘e Mori e S’Acqua ‘e sa Canna, mentre il porto estivo di Cala Saponi, sempre sull’Isola di Sant’Antioco, coi N. Sa Cipudditta e Gianni Efis, consentiva l’accesso alla piana degli antichi vigneti (edotto dal toponimo Triga) e permetteva lo sviluppo della mattanza durante il periodo della luna crescente di maggio. Il Nuraghe di San Vittorio, sull’omonima isoletta vicina all’isola di San Pietro, controllava la salina e le cave di ocra. Il porto di Gonnesa coi N. Serucci e Su Arci aveva la responsabilità dell’approdo per lo sfruttamento della lignite, del piombo, dello zinco e dell’argento estratti dai giacimenti di Monti Onixeddu, Sedda Moddizzis e Monti Sinni[9], oltre ad ospitare una tonnara per la mattanza dei tonni. Il N. Conca Muscioni a Capo Pecora controllava l’approdo per le miniere d’argento di Monte Argentu e per quelle di stagno di Fluminimaggiore, oltre ai giacimenti di piombo e zinco di Su Zurfuru, Candiazzus, Gutturu Pala, S’Acqua Bona e is Arenas o ancora il materiale proveniente dai giacimenti di Perda Pibera e Fenugu Sibiri, come ad esempio il ferro[10]. I N. S’Enna ‘e s’Arka e Ingroni Santadi di Capo Frasca fornivano l’instradamento per il porto di Neapolis, che verosimilmente doveva concentrare le risorse minerarie del guspinese. I N. Boboe Cabitza e quello sottostante alla Torre di San Giovanni gestivano il doppio approdo di Tharros. Il N. Malu Entu sull’isola omonima e i N. Uracheddu Piudu e Abilis di Putzu Idu verosimilmente proteggevano il contesto del Montiferru e instradavano verso il porto di Cornus, a S’Archittu, con i N. Cornus e Crostachesu, terminali di un porto dedito all’imbarco dei prodotti dell’entroterra. Con il N. Foghe, nell’omonima località (la foce del Rio Mannu vicino Cuglieri), trovava sbocco al mare il sito del N. Nuracale, mentre nel contesto di Magomadas con l’attuale Santa Maria del Mare si apriva la via dell’altipiano di Campeda e del Marghine. I N. Palmavera e Sant’Imbenia controllavano l’imbarco di Porto Conte (Alghero) ed insieme a Porto Palmas costituivano i punti d’imbarco del minerale estratto dall’Argentiera quale piombo, argento, zinco, rame e ferro[11] . La conformazione tipica di un porto nuragico del Bronzo Medio si può osservare in quei contesti dove si presentano strutture a strapiombo sul mare, quali i nuraghi e i segnalatori, disposti in maniera tale da delineare il profilo costiero. L’utilizzo di queste strutture sistemate a distanza ravvicinata tra loro, conduce indiscutibilmente ad un contesto portuale, in cui la navigazione e l’atterraggio sono permessi da combinazioni di allineamenti tra edifici - come ad esempio il “Nuraghe ‘e Mori” con Cala Bianca a Sant’Antioco oppure ancora “Lu Brandali” a Santa Teresa di Gallura - atti alla segnalazione di condizioni di pericolo oppure di varchi aperti per la fruizione portuale. Questi antichi porti offrivano dei doppi approdi, al riparo da qualsiasi vento, in modo sia da controllare il tratto di costa antistante sia da difendere in maniera efficace l’entroterra prossimo al punto di atterraggio, offrendo inoltre la possibilità di sfruttare la pescosità dei litorali e l’accumulo di sale negli stagni costieri. E’ doveroso segnalare che le ricognizioni subacquee nei siti di Nora e di Tharros, tra loro molto simili, stanno rivelando ora quelli che erano gli antichi contesti portuali, con banchine e approdi e la relativa funzionalità di questi, oltre ad un gran numero di ancore in pietra di forma trapezoidale con angoli smussati, un foro sul lato minore e due perforazioni inferiori per accogliere i puntali in bronzo per l’ancoraggio al fondo marino. In modo particolare il contesto norense mostra la complessità del promontorio segnato da moli paralleli in grado di offrire più approdi anche per imbarcazioni di diverso cabotaggio[12]. Anche il complesso di Sulky, probabilmente basato su una grossa penisola, di dimensioni senz’altro maggiori dell’attuale Isola di Sant’Antioco, mostra numerose strutture sommerse sia nell’attuale laguna che nel Golfo di Palmas - all’altezza della arcaica foce del complesso fluviale formato dal Riu Maquarba/ Santu Milanu, entrambi confluenti nel Rio Palmas - dimostrando che nell’epoca indagata la laguna e parte del Golfo erano terre emerse. Si può asserire, con un buon margine di precisione, che il Sulcitanum Portus articolasse il suo doppio approdo tra le attuali insenature di Coecuaddu e Porto Botte - riparate rispettivamente al maestrale e allo scirocco, ovvero i venti dominanti nell’ampio bacino del Sud Ovest - per la presenza in questi due contesti di moli d’approdo, acqua dolce in riva al mare, fornaci per l’estrazione dei metalli e di un retroterra ricco di risorse agricole e minerarie facilmente fruibile per le comode vie di collegamento. Naturalmente l’approccio marino riguardava anche le isole che fanno da corollario alla Tyrrenide, come appunto vengono testimoniati approdi e capisaldi sistemati in contesti quali ad esempio l’isola di Maluentu o anche l’isola di San Pietro[13], dove vicino a punti d’imbarco vengono testimoniati le prime tonnare. Un gruppo etnico come i Sardi, in costante contatto con l’elemento acquatico e con una profonda cultura marinara, avrà sicuramente sfruttato il movimento circolatorio delle correnti superficiali e la predominanza di particolari venti che caratterizzano le stagioni nel bacino del Mediterraneo per spostarsi e commerciare o anche dominare sulle acque del Levantino. La presenza di bassi fondali in qualche modo ci dà un’indicazione su quali fossero le caratteristiche che contraddistinguevano le imbarcazioni dell’epoca - ad esempio una chiglia piatta -, come d’altronde viene testimoniato pure da alcuni modelli di navicelle bronzee, che pur costituendo un oggetto votivo rappresentano uno modellino in scala delle reali imbarcazioni e quindi una testimonianza di confidenza con il mezzo acquatico. Tutt’ora permangono in Sardegna dei veri e propri “fossili guida” quali “is Cius” e “is Fassonis”, imbarcazioni tipiche rispettivamente della laguna di Sant’Antioco e dello Stagno di Cabras, accostabili, in modo particolare i secondi, alle imbarcazioni che percorrevano il fiume Nilo. Rimane inoltre un altro particolare arcaico legato alla navigazione, quale l’uso della vela “trina”, ridefinita erroneamente come vela latina, a cui viene imputata un’origine in epoca storica. Tuttavia essa è indubbiamente molto più antica tanto che trova riscontro nelle feluche egizie. L’analisi dei sistemi portuali ha indotto a considerare questi come inseriti nel contesto rurale e territoriale e non semplicemente cittadino.
[1]
M. Tzoroddu,
Kirkandesossardos – Sardegna, ricerca
dell’origine, Zoroddu Editore, Fiumicino 2008, p.101, fig.7, p.102, fig.8
[2]
R.
W. Hutchinson, L’Antica civiltà cretese,
Einaudi, Torino 1976, p.78
[3]
M. Cabriolu,
G. Vargiu, Cercando Metalla. La geografia antica del Sulci, Envisual,
2005, p.21 tav. 1
[4]
Cabriolu,
Vargiu, Cercando Metalla. La geografia antica del Sulci, p.21 tav. 1
[5]
Cabriolu,
Vargiu, Cercando Metalla. La geografia antica del Sulci, p.21 tav. 1
[6]
Cabriolu,
Vargiu, Cercando Metalla. La geografia antica del Sulci, p.21 tav. 1
[7]
Cabriolu,
Vargiu, Cercando Metalla. La geografia antica del Sulci, p.21 tav. 1
[8]
Cabriolu,
Vargiu, Cercando Metalla. La geografia antica del Sulci, p.21 tav. 1
[9]
Cabriolu,
Vargiu, Cercando Metalla. La geografia antica del Sulci, p.21 tav. 1
[10]
Cabriolu,
Vargiu, Cercando Metalla. La geografia antica del Sulci, p.21 tav. 1
[11]
Cabriolu,
Vargiu, Cercando Metalla. La geografia antica del Sulci, p.21 tav. 1
[12]
S. Moscati, Fenici e
Cartaginesi in Sardegna, in Piero Bartoloni (a cura di), ILISSO Edizioni,
Nuoro 1968, pag.138
[13]
P.
Bartoloni, I Fenici e Cartaginesi in Sardegna,
Carlo Delfino Editore, Sassari 2009, p.92
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