Alla luce degli ultimi rinvenimenti fatti dalla Soprintendenza a Olbia, in via G.D'Annunzio, pare doveroso pubblicare il capitolo I, relativo alle mura puniche, della tesi di laurea in Sc. dei Beni Culturali con indirizzo Storico-Artistico e Archeologico, dal titolo "L'urbanistica di Olbia in età romana", A.A. 2007/2008, discussa da Durdica Bacciu, sulle mura antiche della città, relatore prof. G.P. Pianu e correlatore A. Sanciu. Il nuovo tratto delle mura è stato scoperto durante i lavori per la rete del gas, si presenta con blocchi squadrati e separava la città dalla zona della necropoli.
Le mura antiche
Oggi non è più possibile vedere l’intera cinta muraria di Olbia, ma gli
studi del Tamponi[1] (fine 800) e in seguito
del Taramelli[2] (primi del 900), hanno
consentito al Panedda[3] di ricostruire l’originario
tracciato ancora in parte riconfermato, ma talvolta modificato ( come verrà
chiarito più avanti) o meglio precisato in seguito alle ricerche effettuate
negli ultimi decenni del ‘900 e nei primi anni del 2000 soprattutto dal dott.
R. D’Oriano e dal dott. A. Sanciu.
Il tratto murario, tutt’ oggi meglio conservato, è situato tra Via regina
Elena e Via Mameli e precisamente in Via Torino.
Lungo circa m. 64 appartiene al settore occidentale delle mura ed è
caratterizzato da un torrione, da una apertura e da una doppia cortina.
Il torrione ha una forma quadrangolare ed è stato costruito con blocchi
di grosse dimensioni, ben levigati nella sola faccia a vista appena sbozzati
all’interno. Tale torrione, corrisponderebbe a uno di quelli ricordati dal
Panedda e denominato “Torre B”, ma già il Taramelli nel 1911, con il
ritrovamento di un tratto murario pari a m. 100, ne segnalava altre 4,
descrivendo in maniera precisa la torre “A”, che presentava una suddivisione
interna in due sezioni una delle quali a sua volta era suddivisa in tre
comparti. Tra la torre “A” e la torre “B”, oggi ancora visibile, abbiamo
un’apertura che corrispondeva ad una porta del tratto occidentale, larga m. 3,45
dove sono ancora visibili i basamenti degli stipiti. Oggi, come nel momento in
cui il Panedda[4] ne parla, non sono
rintracciabili tracce di fori per poter capire il sistema di chiusura.
Dopo l’apertura riprende per m. 28 l’andamento del tratto murario, largo
m. 6 e costituito da due paramenti, ottenendo così la doppia cortina,
certamente più sicura come difesa dagli attacchi alla città nel versante
occidentale.
Durante gli scavi eseguiti nell’ultimo decennio del ‘900, a scopo di
tutela dal degrado in cui versava e rendere fruibile a tutti questo
importantissimo tratto murario, è stata rinvenuta una cisterna ellittica, ora
ricoperta, rivestita di malta impermeabile, per la raccolta delle acque piovane
da utilizzare come riserva idrica da coloro che erano preposti alla difesa.
Nel corso degli stessi scavi, sono state evidenziate tecniche di
rafforzamento murario a scopo difensivo in caso di attacco con macchine
belliche. Questo rafforzamento è stato realizzato attraverso trincee ortogonali
riempite di terra e pietre e di mura trasversali all’interno della cortina[5]. I
materiali rinvenuti confermano la datazione al IV sec. a.C. per tutta la cinta
muraria e smentiscono la convinzione che faceva risalire le mura ad epoca
romana[6].
A poca distanza da questo sito, nel corso di uno scavo per la
realizzazione di un complesso residenziale in Via Acquedotto, nell’anno 2000,
sono riemersi altri resti della cortina occidentale e più precisamente un muro
di m. 9 circa, alto m. 0,76, costruito con blocchi granitici, lavorati nella
sola faccia a vista e inserito nello scavo effettuato nella roccia granitica
sottostante.
Nella parte esterna sono stati trovati scarti di pietra di diverse
dimensioni, che creavano uno strato di riempimento tra l’unità stratigrafica
muraria e la roccia granitica. Nello stesso orientamento delle mura, in
direzione Nord sempre nel 2000, sono state trovate tracce di un probabile
fossato che in alcuni punti supera i m. 3 di larghezza e profondità.
All’interno di questo fossato erano presenti parti di mura o crollate o
abbattute, probabilmente tra la fine del II°
e l’inizio del III° sec. d.C., in base ai frammenti ceramici di
sigillata africana di tipo “A” e di ceramica africana da cucina rinvenuti
soprattuto in qualche particolare settore.
Negli scavi effettuati all’interno delle mura sono state rinvenute tracce
di un’altra struttura muraria sempre di epoca punica in base ai materiali ritrovati,
e una cisterna a “bagnarola”, ottenuta scavando direttamente il piano roccioso
e rivestita di coccio pesto. In base al ritrovamento del su detto tratto
murario l’andamento delle mura occidentali non sarebbe rettilineo, come
ipotizzato dal Panedda[7], ma risulterebbe spostato
un po’ più a Ovest, sempre che tale tratto non risultasse la cortina esterna di
un corpo avanzato[8]. Nel lato occidentale la
cinta muraria doveva proseguire sino ad arrivare a Est della dorsale granitica
di San Simplicio, nel tratto posto a ovest del Cimitero Vecchio. In località “Idazzonedda” Taramelli, nel 1911, segnala dei
ruderi di una torre rettangolare che apparivano in connessione sui lati Nord e
Sud con due bracci di mura di uguale struttura e che per dimensione e tecnica
costruttiva (nonostante le tracce di restauro posteriori) ricordavano la
tecnica edilizia dei tratti murari situati in Via Torino; perciò pensò
trattarsi della continuazione della cinta muraria, precisamente dell’ultimo
tratto del lato occidentale e dell’inizio del lato settentrionale.
Questi resti in località “Idazzonedda”
testimoniano un percorso rettilineo di tutto il tratto occidentale della
cinta, ed inoltre evidenziano una
struttura tecnico-difensiva che determinava l’impossibilità di accedere al porto “extra-moenia”. In questo
tratto di 580 m ( fra Via Torino e il tratto sino al Cimitero Vecchio) non sono
stati trovati, ancora oggi, resti attestanti la presenza di un’altra porta. Da
Idazzonedda la cinta doveva svoltare quasi ad angolo retto (da Ovest a Est) per
procedere in direzione della località “Oltu Mannu” nel quartiere denominato
“Porto romano”. In località “Oltu Mannu”, delimitata a Nord dalla spiaggia e a
Sud dal binario ferroviario che conduceva all’Isola Bianca, nel 1890 il Tamponi[9]
ritrovava le fondamenta di un tratto di mura pari a m 360; inizialmente il muro
presentava un proseguimento di m. 160 e quasi rasenti alla spiaggia se ne
notavano altri m. 200, che svoltando come a gomito si ricollegavano con il
fronte orientale.
Nel lato settentrionale, considerato dal Panedda come il vecchio “Porto
Romano”[10],
sono visibili resti di strutture quadrangolari molto simili a quelle di Via
Torino per le dimensioni e tecnica. Situate ad una distanza di m. 5,20 l’una dall’altra, spazio che il
D’Oriano considera come una porta nord della cinta in base al catasto del
secolo scorso, denominato “Catasto De Candia”, dove si vede una strada che esce
dal lato settentrionale e viene chiamata “strada de Parau” (l’odierna strada
per Palau), quindi ieri come oggi l’arteria più importante per il Nord Sardegna[11].
Infine, il tratto orientale delle mura è conservato per una cinquantina
di metri all’interno del cortile della Villa Tamponi, costruita nel 1874 da
Pietro Tamponi. Questo tratto seguiva l’andamento della costa e presentava due
aperture, la prima apertura è di m. 4,43 e qui terminava la strada denominata
“Karalibus-Olbiam per Hafa”, le cui tracce sono state attestate anche dal
Tamponi[12] e
dai rinvenimenti di due cippi miliari scoperti in località “Su Cuguttu[13]”.
A circa m. 120 da questa “interruzione”, ancora il Tamponi aveva notato
un’altra apertura che, secondo il Panedda, giustamente il Taramelli aveva
definito una “posterla”[14].
Il lato orientale, infine continuava, fuori dalla villa Tamponi, in località
denominata “Regione Mulino” esattamente dietro l’ex scolastico e il Comune.
Diventa invece più difficile ricostruire il tracciato delle mura da “Regione Mulino” sino ad
“Isciamariana”, ma il Panedda[15]
ritiene che le mura,anche nella prosecuzione del lato orientale e in quello
meridionale, si accostassero sempre all’ antico limite di spiaggia. Per
avvalorare tale ipotesi osserva che,
fino ai primi del ‘900, il mare appariva vicino ai ruderi delle due
torri situate a Nord e Sud del lato occidentale della cinta muraria, cinta che
impediva l’accesso al porto via terra.
Datazione della cinta muraria
In relazione alla cronologia delle mura già il Taramelli nel 1911
osservava che gli elementi
architettonici dei ruderi ritrovati. erano scarsi per poter dedurne un
sicuro criterio cronologico. Pur avendo trovato riscontri tra i resti murari di
Olbia e quelli di città fenicie e fenicio-puniche, sosteneva la teoria
dell’origine romana della cinta olbiese, soprattutto per le analogie con quelle
di Aosta e Torino. Il Panedda condivide pienamente la teoria del Taramelli,
avvalorandola con la citazione di ritrovamenti della necropoli di
“Isciamariana”, del monumento funerario scoperto nel 1911, (tutti posti a poca
distanza dalla cinta muraria e di epoca romana) ed ancora della zona
cimiteriale di “Juanne Canu” contigua a “Isciamariana”, che il Levi[16]
colloca tra la metà del III sec. a.C. e la metà del II sec. a.C.. In base a
questi dati il Panedda sostiene che le mura furono costruite dai Romani non
appena poterono porre piede su questo tratto della Sardegna, così importante
non solo come porto, ma come base per il dominio di questa isola, la quale
isola nel 238 a.C., cadde in loro potere. Appare tuttavia probabile anche al
Panedda che ci fosse stata una precedente cinta muraria punica, della quale
però non sono state trovate tracce fino ad oggi, nonostante le numerose
indagini di scavo, quasi tutte effettuate per necessità di tutela, soprattutto
ad opera di dott. R. D’Oriano direttore della sezione distaccata di Olbia della
Soprintendenza dei Beni culturali per le province di Sassari e Nuoro e del
dott. A. Sanciu[17]. Il dott. D’Oriano[18]
sostiene la cronologia di fase punica per le mura di Olbia rispetto alla
precedente datazione romana. Egli osserva che
l’area dell’abitato punico coincideva con lo spazio racchiuso dalle mura
ritenute romane e non essendo state rinvenute alcune tracce di un’altra cerchia
muraria, appare possibile retrodatare le mura ad epoca punica e precisamente,
attorno alla metà del IV sec. a.C., al momento della nascita della città.
Non è infatti pensabile una città punica non murata dato che Olbia
rappresentava un baluardo punico nel Nord Sardegna, di fronte alla crescente
potenza di Roma e all’espansionismo di Siracusa. Si potrebbe ipotizzare la
distruzione delle mura puniche da parte romana per poi ricostruirle; ma tutti i
dati archeologici fanno ritenere che ci sia stato un passaggio “indolore” di
potere tra Cartagine e Roma[19].
La datazione si fonda inoltre su diversi fattori: il materiale ritrovato in
prossimità delle mura (ceramica punica e Attica) le strutture abitative, i
materiali scoperti nella necropoli punica e le caratteristiche strutturali e
edilizie delle mura stesse[20].
La tesi di D’Oriano viene contraddetta dall’Azzena[21],
il quale sostiene che questa è basata principalmente sul confronto della
tecnica edilizia e ricorda la revisione della cronologia delle mura di Sulci,
di quelle settentrionali di Tharros, la diffusione dell’opera quadrata nella
“romanissima” Porto Torres e il suo uso in Sardegna fino oltre il
Medioevo.
Considerazioni finali sulla cinta muraria
Il poligono che si veniva a creare, secondo il Panedda, aveva una
superficie di ettari 23,7. I recenti studi compiuti in primis dal dott.
D’Oriano hanno dato una ampiezza ancora maggiore rispetto alle idee del
Panedda, per un totale di ettari 36[22].
La città si presentava con un tessuto urbano ortogonale, orientato nord-sud,
est-ovest; il lato occidentale appare l’unico non condizionato dalla linea di costa.
Per quanto riguarda la tecnica edilizia della cinta, possiamo notare che
il circuito delle mura non ha la tipica forma a quadrilatero del “Castrum”, nel
quale veniva racchiusa la città romana. Secondo quanto riportato dagli studi
sui primi ritrovamenti, non erano presenti torri lungo i tre lati che davano
sul mare[23] e non risultava nessuna
doppia cortina, ma una sola, che andava da un massimo di m. 3,50 a un minimo di
m. 2,30. Invece, nella parte occidentale la situazione era totalmente diversa,
in quanto erano presenti torri equidistanti tra loro m. 58 l’una dall’altra e
due cortine che superavano i cm. 65 di profondità, costituendo un solo insieme
dello spessore di m. 5,50.
Il fatto che il fronte occidentale fosse totalmente diverso dagli altri
per la presenza delle torri quadrangolari, nonché la realizzazione della duplice cortina di cui
abbiamo ancora oggi i resti, evidenziano la volontà di difendersi più che dal
mare dall’entroterra, dove sicuramente si trovavano gruppi di indigeni non
ancora riusciti ad integrarsi con i nuovi conquistatori, che presentavano una
costante minaccia per la città.
Il Tamponi[24] sottolinea la differente tecnica costruttiva
ed edilizia degli altri fronti dove esisteva un semplice paramento, ( minimo m.
2,30 massimo m. 3,50) con blocchi di medie dimensioni (cm 50 x cm 25 ) e una
lavorazione poco curata.
La totale mancanza di tracce di torri, nei lati confinanti col mare
(escluso il lato settentrionale come abbiamo visto prima) fece supporre che da
questi lati non si temessero attacchi, anche perché le manovre militari
dovevano svolgersi in uno spazio abbastanza ristretto che rendevano impossibili
manovre di sbarco, in uno spazio che Panedda riporta a m. 10[25].
[1] TAMPONI, 1890, pp. 224-225.
[2] TARAMELLI 1911, pp. 22-235.
[3]
PANEDDA 1953, pp. 42-46.
[4] PANEDDA 1953, pag. 119.
[5] D’ORIANO 1997, pag. 71.
[6] TARAMELLI 1911, p. 234; PANEDDA
1953, pp. 45-46; D’ ORIANO 1990, pp. 487-495; SANCIU 1995, pp. 366-375.
[7] PANEDDA 1951
[8] SANCIU 2000, pp. 447-448.
[9]
TAMPONI 1890, pag. 224.
[10] PANEDDA 1953, pag. 44.
[11] D’ ORIANO1996, pp. 806 - 808.
[12] TAMPONI 1889, pag. 26.
[13] PANEDDA 1953, pag. 97.
[14] TARAMELLI 1939, fogli 181-182,
pag. 65, n° 13.
[15] PANEDDA, 1954, pag. 44.
[16] LEVI 1950, pp. 35-36.
[17] SANCIU 1995, pp. 366-375.
[18] D’ORIANO 1989, pp. 487-494.;
D’ORIANO 1991, pp. 55-73.; D’ORIANO 1991, pp. 11 ss.; D’ORIANO 1992, pp.
937-948.; D’ORIANO 2005, pp. 71-74.
[19] D’ORIANO 1989, p. 491 sg.
[20] D’ORIANO 1989, pp. 487-494.
[21] AZZENA 2002, pp. 1099-1110.
[22] D’ORIANO 1989, pag. 491.
[23] Testimoniato dal Tamponi quando
studiò i m. 885 del fronte settentrionale e orientale delle mura.
[24] TAMPONI 1890, pp. 224 - 225.
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