di Marcello Cabriolu
L’emergere
di aristocrazie o di famiglie, definite arereus
e legate allo sfruttamento delle risorse o ai meccanismi di scambio, genera
prestigio sociale, rompendo l’equilibrio comunitario e dando origine a nuove
forze soprattutto in ambito militare. L’esempio lampante che meglio descrive
questo evento lo possiamo trovare nell’analisi dei defunti della Domus di
Sant’Iroxi dove, tra i 183 inumati della facies Bonnanaro A2, ne ritroviamo 13
di sesso maschile, indubbiamente guerrieri, il cui corredo era costituito da
spade e pugnali. Si
evince che all’interno del gruppo familiare solo alcuni individui raggiunsero
elevati ranghi sociali tali da poter avere armi da guerra ed esibire armi da
parata, mentre circa un centinaio di inumati portavano corredi costituiti
unicamente da vasellame seppure di alta qualità. L’archeologo Giovanni Ugas
interpreta le sepolture, in cui sono assenti oggetti di lusso quali gioielli e
metalli preziosi, come voluta e mirata all’esaltazione dello status di
guerrieri, supponendo che tra essi magari si celi un Juyghi, la massima autorità. Secondo lo scrivente invece questa
ipotesi svanisce facilmente, in quanto, in virtù dell’esaltazione delle figure
di comando, la deposizione di un capo sarebbe stata corredata, oltre ai simboli
di potere militare, anche da beni di lusso quali gioielli ecc…, oltre ad
occupare una sepoltura megalitica ben più imponente, quale poteva essere una
Tomba dei Giganti, oppure un alleé couverte, piuttosto che una più semplice
Domus.
Probabilmente è in questo contesto che si crea il processo di
privatizzazione della terra attuato anche attraverso forme di colonizzazione o
di fondazione di centri secondari, come probabilmente era successo nel Delta
del Nilo, quando Ramses III (cfr 4) diede agli Shardana grandi proprietà
terriere al fine di assicurare ai soldati un vitalizio successivo alla carriera
militare. Nella caratterizzazione dell’esercito appare impossibile non tener
conto della produzione bronzistica della Sardegna del XII sec.a.C, così florida
e capace di evidenziare varie figure guerriere con le relative caratteristiche.
Attraverso un’osservazione attenta e uno studio accurato della bronzistica e
delle sue interpretazioni sia tecniche che figurative, lo scrivente è riuscito
a tracciare alcune linee guida in materia di vestizione e appartenenza dei
soggetti figurati. La bronzistica sarda ricalca alla perfezione l’armamento
oplitico, ideato tra i micenei, di cui tuttora abbiamo valide testimonianze
nella Roma arcaica solo per riflesso etrusco
.
Questo armamento, trasmesso dagli etruschi – Tursha ai latini
,
era formato da elmo, corazza o anche corsale, e schinieri di bronzo; scudo
rotondo di legno, foderato di bronzo; lancia di legno con puntale in bronzo o
in ferro; spadone in ferro o in bronzo, e la micidiale
virga sardescha.
Il primo elemento valutabile è l’elmo,
descrivibile come fatto di strisce orizzontali di cuoio, coronato da corna
lunghe o corte e fissato al capo da fasce passanti sulla nuca, legate sotto il
mento e poggiate su spalle e petto, tali da sembrare delle trecce, finora appunto
erroneamente classificate come ciocche o trecce di capelli a scriminatura
mediana molto larga.
Le varianti rispetto al modello descritto sono diverse e
vanno dalla semplice calottina – indossata ad esempio dall’arciere di Sardara
con gonnello borchiato - al copricapo con pennacchio - come l’arciere di
Urzulei - all’elmo con cresta, ed infine all’elmo piumato, in questo caso
indossato verosimilmente da un guerriero Pheleset, come ci mostra la statuetta
proveniente da Decimoputzu e interpretata invece come il Sardus Pater. Al
modello base provvisto di corna vennero aggiunte decorazioni facciali circolari
riproducenti diverse coppie di occhi - come è il caso dei guerrieri quattro
occhi e quattro braccia di Abini/Teti e di Padria -
al solo scopo di impressionare e spaventare
il nemico, mentre vennero applicati dei guanciali lunghi sino al mento. Lo
scrivente sostiene fortemente che le varie tipologie di elmo, legate a
differenti tipologie di armamento, siano specifiche non della località di
provenienza bensì del gruppo umano di utilizzo.
Esempi pratici sono quelli del
bronzetto citato precedentemente legato ai Phelesets, oppure l’elmo conico
decorato geometricamente a zanne di cinghiale e proveniente da Teti, calzato da
un guerriero con stocco e scudo alle spalle
che identifica un Tjekker, grazie al particolare fortuito evidenziato dal portamento
del pugnale alla cintura - usanza tipica dei Cretesi
- e che trova precisi raffronti con una statuetta d’avorio proveniente da Mitza
Purdia di Decimoputzu. Si è già discusso su quale fosse la situazione umana al
termine della colonizzazione del Levantino (cfr 4) e su quali fossero gli
spostamenti umani legati ai diversi interessi commerciali o di sopravvivenza
attorno al XI sec.a.C.,
per ribadire a
questo punto quali fossero i gruppi umani
micenei
presenti in Sardegna e “reduci” del Levantino. Le differenze di elmo - alla
luce dell’uso dello stesso armamento come ad esempio possiamo osservare nei
“commilitoni” rinvenuti a Teti – mostrano, secondo lo scrivente, i vari
individui facenti parte della Lega dei Popoli del Mare instauratisi nel
territorio sardo. Lo scrivente, nell’analisi formulata, sostiene inoltre che
gli elmi siano legati alla tipologia di soldato e al suo opportuno armamento,
affermando perciò che l’esercito si possa dividere in armate pesanti di scarsa
mobilità e armate leggere con una notevole capacità di movimento.
Le armate
pesanti, costituite da guerrieri “corazzati” con virga sardescha
(Senorbì – Teti - Padria) o grande arco pesante (come ad esempio l’arciere
custodito a Sant’Antioco
),
vestono elmi a corna lunghe, e per sopperire al disagio nello spostamento hanno
a disposizione pugnaletti o stocchi portatili annessi direttamente al dorso
dello scudo. Le armate definite leggere, formate da guerrieri leggeri (come ad
esempio il guerriero di Uta), usano invece lo spadone, grazie alla libertà nel
poter sguainare e mulinare l’arma senza l’intralcio delle corna, in questo cosa
molto corte, protese in avanti e chiuse verso l’interno. Così gli arcieri
leggeri con arco a delta presentano la spada media ad elsa biforcuta,come ad
esempio quello di Serri, e gonnella Shardana, indossando elmi con piccole
corna, rivolte in avanti, per facilitare l’estrazione dell’arma. Tracce
storiche delle corazze o corsali Shardana usate nell’Egitto si possono trovare
tra le tavolette di Cnosso, che studiate e analizzate da Sir Arthur Evans,
descrivono corsali con cinque file di placche di bronzo cucite su una fodera di
cuoio e gli spallacci
rimovibili, raffigurati con precisione quasi maniacale sia nelle statue menhir
di Filitosa in Corsica che nelle fedeli rappresentazioni di Medinet Habu. A
dovere di cronaca si riporta il rinvenimento di un corsale a Dendra, a sud est
di Micene, costituito da busto e gonnellina congiunte su un lato da una
cerniera. Quest’ultimo componente, formato da tre bande orizzontali di metallo,
se analizzato, risulta molto più antico delle sopra citate tavolette di Cnosso,
e si potrebbe supporre appartenere ad un aristocratico o ad un guerriero scelto
.
Il corsale, introdotto anche a Cipro nel XII sec.a.C. insieme allo scudo tondo
,
veniva fissato al busto tramite bande sfrangiate posizionate anteriormente
all’altezza del bacino - lo stesso punto dove in Sardegna è uso mettere su
Muccaroi -, oppure pendenti lungo la
schiena, e a cui si fissavano la faretra porta frecce o ancora il fodero della
spada. Al corsale, riprodotto anche nella statuaria, vennero sovrapposti altri
accessori, che a seconda del bronzetto potevano essere: la bandoliera compresa
di fodero, per sistemare
su stoccu;
il pugnale, distintivo del
Juyghi; su
corru da richiamo; oppure la sacca porta frecce degli arcieri. Inoltre,
integrati sempre al corsale, i guantoni e gli snodi per proteggere gomiti ed
avambracci - come è possibile osservare nel guerriero di Padria
- o goliere a più anelli per proteggere il collo.
Ci si vuole soffermare ora
sulla particolare forma rettangolare presente sul petto degli arcieri, da
sempre ostinatamente ritenuta una piastra per la protezione dell’addome o del
torace del guerriero. In effetti questa particolare definizione ci appare
piuttosto superficiale se si dedica qualche istante all’osservazione accurata
dell’oggetto in questione.
A causa delle sue dimensioni, a volte piuttosto
ridotte, quest’elemento non è infatti sufficiente a proteggere un individuo da
una freccia scagliata anche da distanza notevole. Vista la forma dell’oggetto
in esame e la dimensione riprodotta nell’arciere con arco a spalla
,
custodito nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, o ancora in quello
orante rinvenuto a Teti
,
e viste le riflessioni di cui sopra, ci appare a questo punto più indicato
conferire a quest’oggetto la funzione di sacca contenitore delle punte di ricambio,
testimoniate perfino nei ripostigli bronzei tuttora conosciuti. In alcuni
individui, chiaramente riconoscibili come guerrieri pesanti, vennero
posizionati dei supporti laterali all’altezza delle ascelle, al solo scopo di
sostenere gli scudi. Questa elaborazione viene ampiamente sostenuta attraverso
le testimonianze della serie di esseri demoniaci rinvenuti a Teti con quattro
braccia e quattro occhi
,
i quali pur montando degli scudi a protezione del bacino e busto mantengono
ampia libertà, avendo le braccia libere, nell’utilizzo delle armi. La parte
inferiore della corazza, ovvero quella che va a coprire l’addome, è spesso
ricavata da bande - descritte dagli studi sugli egei come realizzate in metallo
- mentre in alcuni elementi questa specie di gonnellino viene riportato come
una sorta di arcaico frac dove la parte posteriore si presenta a punta e quella
anteriore aperta a triangolo - come è possibile vedere ad esempio nella
statuaria di Monti Prama, nell’arciere saettante di Serri
e nel pugilatore di Dorgali
-
con
precisi riferimenti alle sculture del VII pilone del Tempio di Ramses III, in
cui il Faraone viene riprodotto mentre combatte contro i Popoli del Mare,
schierando nel suo esercito un contingente di Shardana.
Riferimenti a questo
tipo di abbigliamento si possono ritrovare ancore nella Tomba del Visir
Rechmire, addosso ai messaggeri Keftiu recanti gli Ox-hide di rame. Un elemento
tanto vistoso quanto importante è rappresentato, nei bronzetti, dallo scudo
rigorosamente circolare, caratterizzato, da nord a sud della Sardegna, da un
marcato umbone centrale decorativo ma soprattutto importante dal punto di vista
difensivo. Il rinvenimento di decorazioni caratteristiche sulla facciata
esterna dello scudo, verosimilmente realizzato in legno a cui vennero
sovrapposte dei fogli di metallo, ci aiuta ad individuare, per raggruppamento
dei vari fregi e motivi osservabili, un’appartenenza territoriale. A partire
dal Nord, il rinvenimento a Ossi (Sassarese) di un soldato con stocco e scudo perfettamente
liscio sistemato sulla schiena, ci permette di stabilire che tale decorazione è
tipica proprio del gruppo umano stanziatosi nel Sassarese, salvo il
rinvenimento di un altro scudo decorato a motivi triangolari umbone centrale e
barra orizzontale, custodito al Museo Archeologico di Sassari. La decorazione
con motivo cosiddetto a “pintadera” invece accomuna i rinvenimenti - appena
differenziati da qualche impercettibile particolare - di Padria (Meilogu),
Sorgono (Mandrolisai), Teti (Barbagia Ollollai), Alà dei Sardi (Logudoro),
Baunei (Ogliastra), individuando quasi una regione geografica culturalmente
omogenea. I rinvenimenti di Senorbì - guerriero con stocco - e di Uta - guerriero
con spadone - mostrano degli scudi con una decorazione resa con pannelle
circolari a trifoglio e barra orizzontale, rivelando straordinariamente i
confini culturali a settentrione e a meridione del Campidano. Questa
elaborazione è facilmente sostenibile dalla dimostrazione che basterebbe
oltrepassare il Monte Arcosu, ovvero il confine meridionale del Campidano, per
scoprire nel rinvenimento di Santadi, nel Sulcis, un guerriero con mano chiusa
a cilindro (probabilmente brandiva una spada) e scudo decorato con un bifoglio
di pannelle e una banda orizzontale. La protezione degli arti inferiori veniva
attraverso gli schinieri, ossia elementi abbastanza semplici che presentano
anteriormente una placca probabilmente in bronzo - come quelli prodotti a Cipro
nel XII sec.a.C. -,
anche con costolatura rinforzante, che segue l’andamento della gamba dal
ginocchio fino allo stinco o anche alla caviglia, con la presenza - in alcuni
individui -, a scopo offensivo, di rostri, come ad esempio il capo con stocchi
e scudo di Teti oppure
ancora l’arciere orante di Usellus.
A fermare posteriormente gli schinieri compaiono delle fasce, probabilmente
elastiche, rese in stoffa oppure in pelle, che cingono il cavo popliteo della
gamba e il polpaccio e che vengono chiuse da due fermagli (vedere come esempio i
due guerrieri di Uta).
Un’unica testimonianza, quella dell’arciere orante di Usellus, ci
mostra degli schinieri integrali dall’inguine sino alla caviglia. Le armi più
diffuse sono generalmente armi bianche scindibili in pugnali, spade corte,
spade medie leggere e spade lunghe pesanti,
create rispettando fedelmente l’unità di misura di 5,5 cm od i sui multipli,
misura già verificata in altri contesti per creare forme e stabilire sezioni.
Si ritiene doveroso sottolineare che anche a Creta le armi, che ricalcavano le
dimensioni delle punte in ossidiana, hanno come base l’unità modulo di 5,5 cm.
Le armi rinvenute nella Domus di Sant’Iroxi si presentano fondamentalmente di
un unico tipo: a lama triangolare,
doppio filo e base semplice arcuata e provvista di rivetti per assemblare
l’elsa, con precisi riscontri nelle lame della regione di El Argar e nel Midì francese.
Il Vivanet alla fine del 1800 elenca una
lunga serie di pugnali e spade di svariati tipi rinvenuti nel ripostiglio di
Abini -Teti. Dalla relazione di Ettore Pais
su questo deposito di bronzi si evince che oltre alle spade di bronzo votive
della lunghezza di 1,30 mt, si rinvennero circa 130 spade lunghe, nove spade a
lama quadrangolare, venti pugnali con lama a foglia decorati con motivi
geometrici, centoventi pugnali di varia forma e tre pugnali completi di manico
in metallo (uno dei quali portava ornato in rilievo un guerriero cornuto),
oltre a tantissimi frammenti di spade e pugnali non ricostruibili.
Mentre il
rinvenimento del Taramelli, datato Gennaio 1915, mostra tredici else di spade,
cinquantuno frammenti di spade e due pugnali a lama triangolare con fori per i
rivetti, oltre a una cinquantina tra accette, falci e scalpelli ad uso agricolo
ed estrattivo. I pugnali, “is stoccus”,
come i simili fabbricati a Creta ,
hanno forma triangolare, una base tonda e larga e fori per i ribadini. Questo
tipo di arma venne presto sostituita dai pugnali a foglia di salice con codolo,
anche a uncino, e lama a nervatura mediana testimoniati sia a Ottana, Gonnosnò
che a Creta.
Simboli di potere e insegna dei Juyghi, vengono portati, fissati alla
bandoliera, all’altezza del petto, in contrapposizione all’abitudine degli egei
che li portano alla cintura.
La bronzistica ci indica due tipi di arco in possesso dell’esercito sardo: uno
semplice e uno bilobato rettangolare composito. Se il primo poteva trovare
applicazioni anche nella vita quotidiana - come per esempio nella caccia - il
secondo, viste le dimensioni notevoli, doveva essere sicuramente un’arma parabellum, probabilmente realizzata da
legni rafforzati con cheratina di corna
di muflone. E’ testimoniato, per il momento solo attraverso la bronzistica, l’uso
di frecce provviste di penna direzionale, a differenza dei giavellotti
testimoniati non attraverso l’arte figurativa ma dal reale rinvenimento di
teste di lancia con cannone ottagonale.
Secondo lo scrivente questa elaborazione pare modesta se raffrontata alla
complessità sia delle strutture abitative in sé sia dei centri rurali che di
quelli urbani. Una struttura sociale specializzata, all’interno della quale si svolgono
diversi mestieri resi alla fruizione pubblica, manifesta sempre la necessità di
figure professionali che si occupino di mantenere l’ordine e regolino la vita
civile, curino l’approvvigionamento annonario e la manutenzione delle strade e
degli edifici pubblici. In un contesto sociale come quello sardo si può
affermare che per la complessità sociale e la specializzazione degli individui
ci fosse l’esigenza collettiva di figure che soprintendessero ai servizi appena
citati. Naturalmente nell’adempimento di tali compiti è d’obbligo individuare
diverse figure: quelle dirigenti e quelle eseguenti e non è inverosimile
ipotizzare che a questo compito concorressero anche le “forze armate” del Bronzo
Medio, esattamente come accade al giorno d’oggi, in cui le attuali forze armate
intervengono anche nelle missioni di pubblico interesse.
Ancora, la bronzistica non ci
testimonia né alcuna figura portatrice d’ascia nè figure di frombolieri,
nonostante all’interno di alcuni nuraghi siano stati rinvenuti parecchi
elementi in pietra interpretati dagli archeologi come fromboli per fionda.
Nella Roma arcaica o verosimilmente nel contesto del Bronzo Recente e Bronzo Finale,
i magistrati o Lucumoni etruschi, che abbiamo già identificato come Sardi nei
capitoli precedenti, strutturarono l’esercito in gruppi da 100 fanti e 10
cavalieri per curia creando così la base dell’esercito imperiale. E’ verosimile
applicare questo modello all’esercito sardo in quanto le esperienze militari
dei Tursha provenivano, come già anticipato, dalle elaborazioni strategiche dei
Popoli del Mare a cui attingevano anche gli Shardana.
Alcuni studiosi, tra i quali il Prof. Giovanni Ugas, elaborano invece una
diversa configurazione militare più modesta, come limitata al cantone e dettata
forse dalla forma politica concepita sinora, individuando unicamente
contingenti formati da circa 90 individui, che alternandosi in ore di servizio
e di riposo coprivano l’intera giornata vigilando sui bastioni e sugli ingressi
di ciascuna Reggia.