di Marcello Cabriolu
Leggendo
tra le righe dei lavori relativi alla lingua sarda, tracciati dal Prof. Massimo
Pittau, si è potuto individuare facilmente la composizione etnica dei gruppi
umani presenti in Sardegna in epoca storica. Questa elaborazione è stata
ampiamente supportata sia dall’epigrafia (es. nuraghe Aidu Entos di Mulargia)
che dall’analisi relativa alla toponomastica sarda in piena concordanza con le
fonti letterarie. L’elaborazione umana fatta dal prof. Pittau individua una
cinquantina di populi e li
distribuisce da nord a sud sul territorio insulare, con confini geografici
molto precisi. Il prof. Raimondo Zucca, in un capitolo[1]
pubblicato su “Storia della Sardegna Antica”, conferma la consistenza, durante
l’epoca repubblicana e imperiale di Roma, dei gruppi umani e la localizzazione
di ciascun populus. Un’altra traccia
precisa è lasciata dalla letteratura classica, riportata dal prof. Giovanni
Ugas[2],
che individua la cinquantina di principi Tespiadi, come regnanti sugli
altrettanti cantoni nuragici[3].
Questa divisione burocratica passa straordinariamente immutata e indenne
attraverso i secoli tanto che la ritroviamo molto più tardi, in epoca giudicale,
sotto un altro nome: curatorias[4],
ovvero la definizione di aree amministrative sostanzialmente corrispondenti[5]
ai cantoni nuragici. Possiamo serenamente rimandare tale forma amministrativa
ad un’origine arcaica indigena riflettendo sul fatto che se questa avesse avuto
origine dal governo di Roma o dal governo di Bisanzio - supposti dominatori
della Sardegna - avrebbe avuto una più larga diffusione in altre regioni
geografiche al di fuori della Sardegna stessa, cosa che invece non avviene.
Possiamo però trovare delle corrispondenze a questa forma politica in Etruria e
nella Creta Minoica - e successivamente Micenea - dove è possibile individuare
delle “regioni” amministrative caratterizzate appunto da populi o tribù.
La società etrusca, mentre impone questo ordinamento attraverso le curie alla Roma arcaica, risulta divisa in
tribù costituite da cellule familiari definite covirie, stanziate in distretti[6].
La società cretese del XV sec. a.C. appare chiaramente anch’essa fondata sul
principio del genoz (genos), ovvero
del clan, formato da philai (philai), ovvero da
famiglie, stanziato su un territorio ben preciso[7]
e che attorno al XII sec. a.C. risulta ancora tale. A questo punto pare
corretto elaborare che la forma amministrativa introdotta, relativa alle
curatorias, appare come elemento comune tra le etnie Sarda, Etrusca e Cretese,
costituenti anticamente la lega Micenea dei Popoli del Mare.
L’analisi
amministrativa mostra che a capo dei gruppi umani sardi, etruschi e cretesi
compare una figura in grado di ricoprire il doppio incarico di magistrato e di
sacerdote. Le statuette bronzee sarde evidenziano la figura di un capo,
abbigliato con calottina – berritta, spadone sulla spalla destra, bastone –
scettro, mantello – sereniccu e
“pugnaletto” ad elsa gammata rappresentante un’ascia bipenne incastonata su una
colomba, tutte insegne e simboli della giustizia e della divinità. Precise
similitudini e caratteristiche affini si presentano nelle figure e nelle
rappresentazioni dei Lucumoni e dei Kosmoi (kosmoi), i magistrati –
sacerdoti rispettivamente delle società etrusca e cretese[8].
Tali figure, identificate sia in Etruria che a Creta, appaiono di tipo elettivo
e nominate da un organo che possiamo quasi comparare ad un’ “assemblea di capi
famiglia”. Di tale assemblea conosciamo solamente il nome di quella etrusca: coviria, perciò supponiamo che il
termine sardo coviadu, significante incontro
di uomini[9],
indichi la medesima organizzazione. Le emergenze archeologiche sarde,
analizzate da numerosi studiosi, ci mostrano l’esistenza di luoghi di incontro
e di discussione chiamati “capanne delle riunioni”.
Da Santa Vittoria di Serri
a Palmavera di Alghero, da S’Ega Marteddu di Sant’Antioco a Losa di Abbasanta,
da Serra Orrios di Dorgali a Serucci di Gonnesa le capanne delle riunioni si
mostrano capillarmente diffuse in ogni angolo del territorio, a sancire, con la
presenza al loro interno dell’ascia bipenne simbolo della giustizia,
l’esercizio di potere da parte di un’assemblea. Si può facilmente elaborare che
questo sistema amministrativo periferico fosse applicato persino ai grossi
centri intercantonali quali Bruncu Su Nuraxi di Barumini oppure Santa Cristina
di Paulilatino o Santa Vittoria di Serri, dove delle assemblee di rango più
elevato elaboravano decisioni per gruppi umani più ampi. Esistono validi motivi
per credere che le riunioni di rango elevato avvenissero ad esempio per
l’elezione di un individuo importante, come poteva essere un sovrano: in questo
caso facciamo riferimento al Sardus Pater. Tali motivi scaturiscono
dall’attenta analisi sociale di civiltà affini sia amministrativamente che
culturalmente alla nostra, quali quella etrusca, quella minoica e quella
micenea. La società etrusca, nella fondazione di Roma, elaborò un sistema
amministrativo basato sui comizi curiati
i quali votavano una lex curiata de
imperio che conferiva e rimuoveva i poteri del rex sacrorum[10].
Il sovrano insomma era eletto e investito o rimosso dal suo incarico solamente
per mandato dell’assemblea dei rappresentanti delle tribù.
Nell’ambito cretese
di cultura minoica è possibile individuare la stessa procedura relativamente al
Wanax, il supersignore sovrano –
sacerdote, il quale come tenente i poteri da un’investitura religiosa veniva
eletto dall’assemblea, in una sola famiglia reale[11],
con un mandato di nove anni[12].
Perciò perché non applicare questo criterio anche al popolo nuragico anch’esso
componente la Lega dei Popoli del Mare? Precisiamo che in un continuum
culturale questa forma politica talmente radicata e collaudata, sopravvive
immutata in Sardegna sino all’Alto Medioevo, durante il quale studi accreditati
individuano una componente amministrativa denominata Corona de Logu, assemblea composta da notabili del regno, a cui era
demandato il potere di conferimento o di revoca del mandato del Giudice –
sovrano[13].
Torniamo ora al XIV sec. a.C. dove possiamo individuare la figura del sovrano
cretese in un vaso, proveniente da Knosso, detto del “Capo”, in cui è evidente un
personaggio di statura elevata abbigliato con una tunica, calzante sul capo una
corona di fiordalisi ornata di grandi piume[14],
con il braccio destro steso per tutta la sua lunghezza[15].
A questa descrizione cosi particolareggiata e così familiare non possiamo non
accostare la figura bronzea sarda proveniente da Genoni, raffigurante il Sardus
Pater, senza notare che le somiglianze col sovrano del vaso cretese sono palesi
e completano efficacemente un quadro di similitudini, culturali e tecnologiche,
più che ampio. La rappresentazione del vaso cretese continua attraverso un’altra
figura di dimensioni più piccole rispetto al sovrano e perciò supposta come
subordinata. Questa figura impugna con
la destra una grande spada appoggiandola alla spalla e con la sinistra un
grosso bastone nodoso più alto del copricapo – casco[16].
Spontaneo e scontato appare l’accostamento della figura descritta con la
statuetta bronzea del Capotribù rinvenuta a Uta, la quale evidenzia le medesime
caratteristiche: la grossa spada brandita con la destra e poggiata sulla spalla
e un bastone nodoso brandito con la mano sinistra. E’ opportuno a questo punto
riflettere sulle organizzazioni amministrative etrusca, minoica e micenea, le
quali nonostante fossero organizzate in tribù ebbero la necessità di eleggere
dei sovrani “federali” a guidare il popolo durante eventi particolari. L’impero
miceneo, costituito da tanti principi e signorotti, durante la guerra di Troia
ebbe la necessità di demandare i poteri ad un sovrano unico quale il
leggendario Agamennone. Sembra ovvio quindi pensare che, durante l’attacco ai
grossi imperi del Levante, anche i capi Shardana abbiano concentrato pieni
poteri su un unico individuo il Sardus Pater, inteso
quasi come un dictator della Roma
arcaica, individuato come guida, del popolo e del Rennu - regno nuragico, in
situazioni contingenti.
[1]
R. Zucca, Gli Oppida e i Populi della
Sardinia in A. Mastino (a cura di), Storia della Sardegna antica, ed. Il
Maestrale, Nuoro 2005, pp.306-307 fig.35
[2]
G.Ugas, L’alba dei nuraghi, ed
Fabula, Cagliari 2005, p. 80
[3]
M. Cabriolu, Il Popolo Shardana – La
cultura, la civiltà, le conquiste, Domusdejanas editore, Selargius 2010,
p.36
[4]
G.G. Ortu, La Sardegna dei Giudici,
ed. Il Maestrale, Nuoro 2005, p.38 fig.1
[5]
C. Mura, Palmas…alla ricerca delle radici civili e religiose, Litografia SUSIL,
Carbonia 2006, p.7
[6] M.
Torelli, La storia, in
A.A.V.V. (a cura di), Rasenna. Storia e civiltà
degli Etruschi, Collana Antica Madre, Garzanti
Scheiwiller per Credito Italiano UTET, Milano 1986, p.35.
[7]
G.Glotz, La Civiltà Egea, Giulio
Einaudi, Torino 1980, p.119
[8]
R.W.Hutchinson, L’antica civiltà cretese,
Giulio Einaudi, Torino 1976, p.226
[9]
P.Casu, Vocabolario Sardo Logudorese –
Italiano, G.Paulis (a cura di), ed. ILISSO, Nuoro 2002, p.378
[11]
R.W.Hutchinson, L’antica civiltà cretese,
Giulio Einaudi, Torino 1976, p.226
[12]
G.Glotz, La Civiltà Egea, Giulio
Einaudi, Torino 1980, p.133
[13]
G.G. Ortu, La Sardegna dei Giudici,
ed. Il Maestrale, Nuoro 2005, p.146
[14]
G.Glotz, La Civiltà Egea, Giulio
Einaudi, Torino 1980, p.133
[15]
G.Glotz, La Civiltà Egea, Giulio
Einaudi, Torino 1980, p.137
[16]
G.Glotz, La Civiltà Egea, Giulio
Einaudi, Torino 1980, p.137
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