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domenica 21 agosto 2016

ArcheOlbia - Il Re di bronzo



di Marcello Cabriolu



Leggendo tra le righe dei lavori relativi alla lingua sarda, tracciati dal Prof. Massimo Pittau, si è potuto individuare facilmente la composizione etnica dei gruppi umani presenti in Sardegna in epoca storica. Questa elaborazione è stata ampiamente supportata sia dall’epigrafia (es. nuraghe Aidu Entos di Mulargia) che dall’analisi relativa alla toponomastica sarda in piena concordanza con le fonti letterarie. L’elaborazione umana fatta dal prof. Pittau individua una cinquantina di populi e li distribuisce da nord a sud sul territorio insulare, con confini geografici molto precisi. Il prof. Raimondo Zucca, in un capitolo[1] pubblicato su “Storia della Sardegna Antica”, conferma la consistenza, durante l’epoca repubblicana e imperiale di Roma, dei gruppi umani e la localizzazione di ciascun populus. Un’altra traccia precisa è lasciata dalla letteratura classica, riportata dal prof. Giovanni Ugas[2], che individua la cinquantina di principi Tespiadi, come regnanti sugli altrettanti cantoni nuragici[3]. Questa divisione burocratica passa straordinariamente immutata e indenne attraverso i secoli tanto che la ritroviamo molto più tardi, in epoca giudicale, sotto un altro nome: curatorias[4], ovvero la definizione di aree amministrative sostanzialmente corrispondenti[5] ai cantoni nuragici. Possiamo serenamente rimandare tale forma amministrativa ad un’origine arcaica indigena riflettendo sul fatto che se questa avesse avuto origine dal governo di Roma o dal governo di Bisanzio - supposti dominatori della Sardegna - avrebbe avuto una più larga diffusione in altre regioni geografiche al di fuori della Sardegna stessa, cosa che invece non avviene. Possiamo però trovare delle corrispondenze a questa forma politica in Etruria e nella Creta Minoica - e successivamente Micenea - dove è possibile individuare delle “regioni” amministrative caratterizzate appunto da populi o tribù.
La società etrusca, mentre  impone questo ordinamento attraverso le curie alla Roma arcaica, risulta divisa in tribù costituite da cellule familiari definite covirie, stanziate in distretti[6]. La società cretese del XV sec. a.C. appare chiaramente anch’essa fondata sul principio del genoz (genos), ovvero del clan, formato da philai (philai), ovvero da famiglie, stanziato su un territorio ben preciso[7] e che attorno al XII sec. a.C. risulta ancora tale. A questo punto pare corretto elaborare che la forma amministrativa introdotta, relativa alle curatorias, appare come elemento comune tra le etnie Sarda, Etrusca e Cretese, costituenti anticamente la lega Micenea dei Popoli del Mare.
L’analisi amministrativa mostra che a capo dei gruppi umani sardi, etruschi e cretesi compare una figura in grado di ricoprire il doppio incarico di magistrato e di sacerdote. Le statuette bronzee sarde evidenziano la figura di un capo, abbigliato con calottina – berritta, spadone sulla spalla destra, bastone – scettro, mantello – sereniccu e “pugnaletto” ad elsa gammata rappresentante un’ascia bipenne incastonata su una colomba, tutte insegne e simboli della giustizia e della divinità. Precise similitudini e caratteristiche affini si presentano nelle figure e nelle rappresentazioni dei Lucumoni e dei Kosmoi (kosmoi), i magistrati – sacerdoti rispettivamente delle società etrusca e cretese[8]. Tali figure, identificate sia in Etruria che a Creta, appaiono di tipo elettivo e nominate da un organo che possiamo quasi comparare ad un’ “assemblea di capi famiglia”. Di tale assemblea conosciamo solamente il nome di quella etrusca: coviria, perciò supponiamo che il termine sardo coviadu, significante incontro di uomini[9], indichi la medesima organizzazione. Le emergenze archeologiche sarde, analizzate da numerosi studiosi, ci mostrano l’esistenza di luoghi di incontro e di discussione chiamati “capanne delle riunioni”.
Da Santa Vittoria di Serri a Palmavera di Alghero, da S’Ega Marteddu di Sant’Antioco a Losa di Abbasanta, da Serra Orrios di Dorgali a Serucci di Gonnesa le capanne delle riunioni si mostrano capillarmente diffuse in ogni angolo del territorio, a sancire, con la presenza al loro interno dell’ascia bipenne simbolo della giustizia, l’esercizio di potere da parte di un’assemblea. Si può facilmente elaborare che questo sistema amministrativo periferico fosse applicato persino ai grossi centri intercantonali quali Bruncu Su Nuraxi di Barumini oppure Santa Cristina di Paulilatino o Santa Vittoria di Serri, dove delle assemblee di rango più elevato elaboravano decisioni per gruppi umani più ampi. Esistono validi motivi per credere che le riunioni di rango elevato avvenissero ad esempio per l’elezione di un individuo importante, come poteva essere un sovrano: in questo caso facciamo riferimento al Sardus Pater. Tali motivi scaturiscono dall’attenta analisi sociale di civiltà affini sia amministrativamente che culturalmente alla nostra, quali quella etrusca, quella minoica e quella micenea. La società etrusca, nella fondazione di Roma, elaborò un sistema amministrativo basato sui comizi curiati i quali votavano una lex curiata de imperio che conferiva e rimuoveva i poteri del rex sacrorum[10]. Il sovrano insomma era eletto e investito o rimosso dal suo incarico solamente per mandato dell’assemblea dei rappresentanti delle tribù.

Nell’ambito cretese di cultura minoica è possibile individuare la stessa procedura relativamente al Wanax, il supersignore sovrano – sacerdote, il quale come tenente i poteri da un’investitura religiosa veniva eletto dall’assemblea, in una sola famiglia reale[11], con un mandato di nove anni[12]. Perciò perché non applicare questo criterio anche al popolo nuragico anch’esso componente la Lega dei Popoli del Mare? Precisiamo che in un continuum culturale questa forma politica talmente radicata e collaudata, sopravvive immutata in Sardegna sino all’Alto Medioevo, durante il quale studi accreditati individuano una componente amministrativa denominata Corona de Logu, assemblea composta da notabili del regno, a cui era demandato il potere di conferimento o di revoca del mandato del Giudice – sovrano[13]. Torniamo ora al XIV sec. a.C. dove possiamo individuare la figura del sovrano cretese in un vaso, proveniente da Knosso, detto del “Capo”, in cui è evidente un personaggio di statura elevata abbigliato con una tunica, calzante sul capo una corona di fiordalisi ornata di grandi piume[14], con il braccio destro steso per tutta la sua lunghezza[15]. A questa descrizione cosi particolareggiata e così familiare non possiamo non accostare la figura bronzea sarda proveniente da Genoni, raffigurante il Sardus Pater, senza notare che le somiglianze col sovrano del vaso cretese sono palesi e completano efficacemente un quadro di similitudini, culturali e tecnologiche, più che ampio. La rappresentazione del vaso cretese continua attraverso un’altra figura di dimensioni più piccole rispetto al sovrano e perciò supposta come subordinata. Questa figura  impugna con la destra una grande spada appoggiandola alla spalla e con la sinistra un grosso bastone nodoso più alto del copricapo – casco[16].
Spontaneo e scontato appare l’accostamento della figura descritta con la statuetta bronzea del Capotribù rinvenuta a Uta, la quale evidenzia le medesime caratteristiche: la grossa spada brandita con la destra e poggiata sulla spalla e un bastone nodoso brandito con la mano sinistra. E’ opportuno a questo punto riflettere sulle organizzazioni amministrative etrusca, minoica e micenea, le quali nonostante fossero organizzate in tribù ebbero la necessità di eleggere dei sovrani “federali” a guidare il popolo durante eventi particolari. L’impero miceneo, costituito da tanti principi e signorotti, durante la guerra di Troia ebbe la necessità di demandare i poteri ad un sovrano unico quale il leggendario Agamennone. Sembra ovvio quindi pensare che, durante l’attacco ai grossi imperi del Levante, anche i capi Shardana abbiano concentrato pieni poteri su un unico individuo il Sardus Pater, inteso quasi come un dictator della Roma arcaica, individuato come guida, del popolo e del Rennu  - regno nuragico, in situazioni contingenti.



[1] R. Zucca, Gli Oppida e i Populi della Sardinia in A. Mastino (a cura di), Storia della Sardegna antica, ed. Il Maestrale, Nuoro 2005, pp.306-307 fig.35
[2] G.Ugas, L’alba dei nuraghi, ed Fabula, Cagliari 2005, p. 80
[3] M. Cabriolu, Il Popolo Shardana – La cultura, la civiltà, le conquiste, Domusdejanas editore, Selargius 2010, p.36
[4] G.G. Ortu, La Sardegna dei Giudici, ed. Il Maestrale, Nuoro 2005, p.38 fig.1
[5] C. Mura, Palmas…alla ricerca delle radici civili e religiose, Litografia SUSIL, Carbonia 2006, p.7
[6] M. Torelli, La storia, in A.A.V.V. (a cura di), Rasenna. Storia e civiltà degli Etruschi, Collana Antica Madre, Garzanti Scheiwiller per Credito Italiano UTET, Milano 1986, p.35.
[7] G.Glotz, La Civiltà Egea, Giulio Einaudi, Torino 1980, p.119
[8] R.W.Hutchinson, L’antica civiltà cretese, Giulio Einaudi, Torino 1976, p.226
[9] P.Casu, Vocabolario Sardo Logudorese – Italiano, G.Paulis (a cura di), ed. ILISSO, Nuoro 2002, p.378
[10] G. Geraci, A. Marcone, Storia Romana, Le Monnier Università, Firenze 2004, p.24.
[11] R.W.Hutchinson, L’antica civiltà cretese, Giulio Einaudi, Torino 1976, p.226
[12] G.Glotz, La Civiltà Egea, Giulio Einaudi, Torino 1980, p.133
[13] G.G. Ortu, La Sardegna dei Giudici, ed. Il Maestrale, Nuoro 2005, p.146
[14] G.Glotz, La Civiltà Egea, Giulio Einaudi, Torino 1980, p.133
[15] G.Glotz, La Civiltà Egea, Giulio Einaudi, Torino 1980, p.137
[16] G.Glotz, La Civiltà Egea, Giulio Einaudi, Torino 1980, p.137

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