di Marcello Cabriolu
Da
diverso tempo sto elaborando uno studio relativo alla localizzazioni di quelle
che in gergo si chiamano incisioni astiformi. Sono lunghe incisioni che sino a
poco tempo fà venivano erroneamente inquadrate come segni lasciati
dall’attività agricola, in virtù della prevalente segnalazione in massi posti
sul terreno, ma il successivo rinvenimento di altri contesti, legati a varie indicazioni,
ha permesso di individuare dei segni astiformi persino nelle pareti di antichi
monumenti. A sommi capi si può affermare che, tramite lo studio dell’arte
rupestre e delle incisioni preistoriche, le popolazioni dell’Europa occidentale
erano in possesso di un bagaglio culturale molto omogeneo derivato da continui
scambi commerciali-culturali e da uno stretto legame di sangue. Nel progredire
dello sviluppo “civile” di queste popolazioni si possono osservare delle
manifestazioni, sempre più evidenti, dove scaturisce la necessità di esprimere
dei concetti religiosi/cultuali.
Esplode quindi il fenomeno delle pitture
rupestri ma forse non tutti sanno che questo è forse una sfaccettatura del
fenomeno più ampio delle incisioni rupestri. Cogliamo appena adesso quanto
l’abitudine delle popolazioni europee occidentali, provenendo dal Paleolitico
Superiore, sia arcaica ma forse cogliamo ancora meno quanto questa si protragga
nel tempo e penetri nella storia delle singole regioni: Iberia, Bretagna,
Dordogna, Penisola italiana, Corsica, Sardegna, Atlante e Nord Africa.
Sorprendente vedere queste manifestazioni “artistiche” protrarsi almeno sino al
1000 a.C. ed iniziare a cogliere/elaborare in queste delle
espressioni/formulazioni ben precise, probabilmente legate agli ambiti
cultuali/funerari. Considerando la notevole “presenza” e la variegata
distribuzione geografica delle incisioni possiamo quasi cogliere la volontà di
esprimere, da parte dei popoli preistorici, dei concetti veri e propri e
considerarli una sorta di codice proto espressivo. Quest’oggi porto, come una
delle diverse anticipazioni che ho pubblicato in quest’ultimo periodo, due
testimonianze: una individuabile in Sardegna e l’altra nella penisola iberica.
La testimonianza della penisola iberica è individuabile nella comunità autonoma
dell’Estremadura, un territorio posto
nella parte occidentale della penisola iberica quasi alle porte del Portogallo,
e si colloca tra la zona di Molino
Manzanez e la riva sinistra del fiume Guadiana,
una regione caratterizzata da vegetazione di tipo mediterraneo e dalle
esondazioni stagionali, dovute ad una diga sul fiume, dove le popolazioni hanno
sempre esercitato l’uso tradizionale della terra attraverso la caccia, la pesca
e la pastorizia. I tre insiemi principali, di incisioni, consistono in pareti
verticali a cielo aperto, poste sull’immediata riva del fiume, ad una discreta
distanza e molto lontane dalle
esondazioni. Varie “stazioni”: La Antena, Bonito dià, Sete, El Boceto,
Cangrejos, Hiperlavado, El Paletìn, Muflon sono caratterizzate da incisioni
raffiguranti animali, complessi di linee e motivi geometrici cronologicamente
inquadrati tra Maddaleniano (Paleolitico Superiore n.d.r.) e III millennio.a.C. L’altra testimonianza che
porto riguarda la Sardegna ed è il sito di Chercos di Usini (SS). Si tratta di un
ipogeo a stele centina inquadrato nell’Età del Bronzo per via dell’ambiente
navetiforme che lo caratterizza a differenza delle svariate Domus de janas
utilizzate nell’Età dei Nuraghi. Di conseguenza ad Usini vengono inquadrate
nell’Età del Bronzo sia la decorazione esterna, che riporta la guisa di una
stele da Tomba dei giganti, che quella interna relativa alla nicchia in fondo
alla camera mentre gli ampi pannelli, ovest ed est internamente all’ipogeo,
vengono inquadrati, relativamente alle incisioni, tra l’età romana e l’Alto
medioevo.
Nel formulare queste ipotesi i vari ricercatori susseguitisi
(Castaldi, Tanda, Robin) hanno tenuto conto esclusivamente della tecnica
incisoria (secondo Robin differente dalla tecnica delle popolazioni atlantiche
in contesti megalitici) senza approcciare come complesso omogeneo l’insieme
preistorico dell’Europa occidentale e senza porsi il minimo problema relativo
all’esistenza/persistenza di eventuali complessi di simbologie preistoriche.
Chiaramente nell’ipogeo di Usini compaiono alcuni elementi tali da far
ricondurre alcuni segni all’epoca moderna ma si coglie molta imprecisione
nell’inquadramento di ciò (parecchi elementi) che è arcaico. A questo invito
alla riflessione allego delle immagini relative ai rilievi così da spronare il
lettore ad una personale valutazione e considerazione sottolineando una piccola
crespa nella ricerca in Sardegna: ancora una volta si verifica la sostanziale e
ostinata divergenza degli studi sardi da quelle che sono le linee seguite dalla
ricerca internazionale. Errore o
perseverazione? To be continued....
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