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domenica 24 aprile 2016

Chercos e Estremadura



di Marcello Cabriolu
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Da diverso tempo sto elaborando uno studio relativo alla localizzazioni di quelle che in gergo si chiamano incisioni astiformi. Sono lunghe incisioni che sino a poco tempo fà venivano erroneamente inquadrate come segni lasciati dall’attività agricola, in virtù della prevalente segnalazione in massi posti sul terreno, ma il successivo rinvenimento di altri contesti, legati a varie indicazioni, ha permesso di individuare dei segni astiformi persino nelle pareti di antichi monumenti. A sommi capi si può affermare che, tramite lo studio dell’arte rupestre e delle incisioni preistoriche, le popolazioni dell’Europa occidentale erano in possesso di un bagaglio culturale molto omogeneo derivato da continui scambi commerciali-culturali e da uno stretto legame di sangue. Nel progredire dello sviluppo “civile” di queste popolazioni si possono osservare delle manifestazioni, sempre più evidenti, dove scaturisce la necessità di esprimere dei concetti religiosi/cultuali. 
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Esplode quindi il fenomeno delle pitture rupestri ma forse non tutti sanno che questo è forse una sfaccettatura del fenomeno più ampio delle incisioni rupestri. Cogliamo appena adesso quanto l’abitudine delle popolazioni europee occidentali, provenendo dal Paleolitico Superiore, sia arcaica ma forse cogliamo ancora meno quanto questa si protragga nel tempo e penetri nella storia delle singole regioni: Iberia, Bretagna, Dordogna, Penisola italiana, Corsica, Sardegna, Atlante e Nord Africa. Sorprendente vedere queste manifestazioni “artistiche” protrarsi almeno sino al 1000 a.C. ed iniziare a cogliere/elaborare in queste delle espressioni/formulazioni ben precise, probabilmente legate agli ambiti cultuali/funerari. Considerando la notevole “presenza” e la variegata distribuzione geografica delle incisioni possiamo quasi cogliere la volontà di esprimere, da parte dei popoli preistorici, dei concetti veri e propri e considerarli una sorta di codice proto espressivo. Quest’oggi porto, come una delle diverse anticipazioni che ho pubblicato in quest’ultimo periodo, due testimonianze: una individuabile in Sardegna e l’altra nella penisola iberica. 
La testimonianza della penisola iberica è individuabile nella comunità autonoma dell’Estremadura, un territorio posto nella parte occidentale della penisola iberica quasi alle porte del Portogallo, e si colloca tra la zona di Molino Manzanez e la riva sinistra del fiume Guadiana, una regione caratterizzata da vegetazione di tipo mediterraneo e dalle esondazioni stagionali, dovute ad una diga sul fiume, dove le popolazioni hanno sempre esercitato l’uso tradizionale della terra attraverso la caccia, la pesca e la pastorizia. I tre insiemi principali, di incisioni, consistono in pareti verticali a cielo aperto, poste sull’immediata riva del fiume, ad una discreta distanza e molto lontane  dalle esondazioni. Varie “stazioni”: La Antena, Bonito dià, Sete, El Boceto, Cangrejos, Hiperlavado, El Paletìn, Muflon sono caratterizzate da incisioni raffiguranti animali, complessi di linee e motivi geometrici cronologicamente inquadrati tra Maddaleniano (Paleolitico Superiore n.d.r.) e III millennio.a.C. L’altra testimonianza che porto riguarda la Sardegna ed è il sito di Chercos di Usini (SS). Si tratta di un ipogeo a stele centina inquadrato nell’Età del Bronzo per via dell’ambiente navetiforme che lo caratterizza a differenza delle svariate Domus de janas utilizzate nell’Età dei Nuraghi. Di conseguenza ad Usini vengono inquadrate nell’Età del Bronzo sia la decorazione esterna, che riporta la guisa di una stele da Tomba dei giganti, che quella interna relativa alla nicchia in fondo alla camera mentre gli ampi pannelli, ovest ed est internamente all’ipogeo, vengono inquadrati, relativamente alle incisioni, tra l’età romana e l’Alto medioevo. 
Nel formulare queste ipotesi i vari ricercatori susseguitisi (Castaldi, Tanda, Robin) hanno tenuto conto esclusivamente della tecnica incisoria (secondo Robin differente dalla tecnica delle popolazioni atlantiche in contesti megalitici) senza approcciare come complesso omogeneo l’insieme preistorico dell’Europa occidentale e senza porsi il minimo problema relativo all’esistenza/persistenza di eventuali complessi di simbologie preistoriche. Chiaramente nell’ipogeo di Usini compaiono alcuni elementi tali da far ricondurre alcuni segni all’epoca moderna ma si coglie molta imprecisione nell’inquadramento di ciò (parecchi elementi) che è arcaico. A questo invito alla riflessione allego delle immagini relative ai rilievi così da spronare il lettore ad una personale valutazione e considerazione sottolineando una piccola crespa nella ricerca in Sardegna: ancora una volta si verifica la sostanziale e ostinata divergenza degli studi sardi da quelle che sono le linee seguite dalla ricerca internazionale.  Errore o perseverazione? To be continued....

venerdì 11 marzo 2016

Parco Archeologico di Pranu Mutteddu a Goni



di Marcello Cabriolu
Ph: Durdica Bacciu
durdica bacciu
L’area archeologica, tagliata in due settori dalla strada che conduce a Senorbì, sorge sopra un tavolato di arenaria e scisto e corona a oriente un insediamento preistorico. La collocazione cronologica la inquadra nella facies di San Michele di Ozieri che va dal 3200 al 2850 a.C., ma nulla esclude, per alcune sepolture dalla tipologia monocellulare, che siano più antiche. I reperti rinvenuti ci mostrano un utilizzo dell’area funeraria e una tumulazione di defunti almeno sino al 1900 a.C.. Il settore settentrionale, caratterizzato dalle tombe a circolo, ospita un allineamento di menhir, di dubbia arcaicità, alcuni aniconici e alcuni antropomorfi, molti dei quali erano sul terreno e sono stati eretti recentemente.
durdica bacciu
Tra questo tipo di sepolture spiccano la II, la IV e la V denominata “Nuraxeddu”. Le tombe a circolo sono costituite da una cista; da una parte interna in cui veniva deposto il defunto in posizione fetale o anche seduto, accompagnato dal corredo, e che in origine risultava coperta da un tumulo di terra; e dal peristilio, il circolo di pietre che segnala e circonda la sepoltura vera e propria. La curiosità del peristilio dei circoli tombali sardi - quello di Goni come quello di Sa Serra ‘e Su Paroni di Sant’Antioco - è che il muro si presenta legato a “sacco”, dimostrando quanto la tecnica edilizia tipica dei nuraghi abbia un’alta antichità. La sepoltura II si evidenzia per la cista centrale - creata da un blocco in arenaria scavato in due ambienti e trasportata da lontano sino al centro del circolo funerario - e per un altro macigno scavato a creare un portello di ingresso.
durdica bacciu
Frontalmente alla cista si apre un corridoio che taglia il peristilio e vede nell’ingresso, sulla destra, un grosso menhir eretto, simboleggiante un antenato. Attorno a questa sepoltura, che per tipologia e bellezza doveva appartenere ad un aristocratico, ne sorgono delle altre, simili sotto l’aspetto formale ma un po’ più semplici, con la cista ricavata da piccole pietre accostate a cassone. La sepoltura V in particolare, detta Nuraxeddu, forse più recente, mostra che al circolo originario venne aggiunto un corridoio di lastre ortostatiche, che poteva essere coperto da piattabande, dando origine ad un allé couverte. La tomba IV invece, dal profilo circolare, viene detta la “Triade” per la presenza di tre menhir infissi nel terreno e tangenti al peristilio.
durdica bacciu
Il resto della necropoli si estende sul roccione di Genna Accas ed è formata principalmente da Domus de Janas. Forse ad accogliere la componente sociale più povera, in confronto alla magnificenza dell’altro tipo tombale, l’insieme di queste domus venne scavato accanto alle sepolture a cista, in prossimità di un roccione su cui venne sagomata una testa antropomorfa:
durdica bacciu
quella Dea Madre, usanza praticata anche nelle necropoli di Filigosa a Macomer o di Locci Santus a San Giovanni Suergiu. La cima di Genna Accas ospita, tra le altre strutture, una “roda”, ovvero un circolo di pietre dove is attittadoras, le piangenti, officiavano il rituale di veglia e sepoltura.
durdica bacciu
Le tombe qui descritte presentano consistenti tracce di umidità, come se fossero state scavate in prossimità di acque sorgive o come se fosse stato desiderio voluto quello di far concentrare al loro interno le acque piovane. Nelle camere, di forma uterina o semicircolare, gli individui (in numero di uno o più) vennero deposti in posizione fetale proprio in prossimità dell’accumulo idrico, quasi a riprodurre una forma di grembo materno con tanto di liquido amniotico. A rappresentare una nuova nascita dopo la morte.
 
Per richiedere informazioni e per prenotazioni:
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