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sabato 16 luglio 2016

Imbarchi e porti nuragici nel Sulcis - Relazione di M.Cabriolu


di Marcello Cabriolu
Ph D.Bacciu - GF Palmas

Analizzando la geomorfologia e la batimetria dell'attuale arcipelago sulcitano, si possono ancora individuare quelli che in un passato remoto erano i confini naturali dell'Isola di Sant'Antioco. Considerando che durante il secondo pleniglaciale di Wurm, dal 28.000 B.P. al 14.000 B.P., il mare si ritirò toccando i -110 mt rispetto al livello attuale[1], possiamo, data la profondità del Golfo di Palmas e del Canale di San Pietro e individuate le linee batimetriche dei -20 mt, verosimilmente dichiarare che durante la preistoria e gran parte del periodo storico, non esistesse un arcipelago sulcitano ma un unico promontorio legato alla Sardegna. Tale considerazione si è resa possibile grazie allo studio della cartografia storica relativa al Golfo di Palmas, all’osservazione della progressiva ingressione delle acque e all’occlusione e al graduale arretramento delle foci del Rio Palmas e dell’arcaico Rio Maqarba – Santu Millanu[2]. Gli ulteriori interventi di antropizzazione hanno dato origine ad un impaludamento compreso tra le località di Corrulongu e Cruccianas e alla formazione di numerose lagune costiere ampliatesi, a seguito dell’impianto della Salina, sino al comune di Sant’Anna Arresi.
La prolungata presenza dell’uomo nell’area è testimoniata in maniera efficace da innumerevoli siti preistorici e protostorici di lunga durata e notevole estensione. I gruppi umani che si sono succeduti, in epoca preistorica e storica, nell'Isola, hanno avuto, nello sviluppo della propria cultura e per complessi fattori esistenziali, la necessità di navigare. Il bisogno si è creato quando le materie prime locali non sono state più in grado di soddisfare i fabbisogni delle comunità. Vecchie credenze portano a pensare che il popolo dei Nuraghi non amasse il mare, ma ciò non è vero anzi è piuttosto vero il contrario.

Sono diverse infatti, le strutture arcaiche presenti sull'isola la cui articolazione e complessità, legate a una collocazione costiera, fanno pensare ad un utilizzo prettamente marino. Gli uomini Sardi del passato scelsero appunto dei promontori o l’interno di foci - pratica testimoniata anche da gruppi umani stanziati nell’Egeo[3] -, opportunamente riparati dai venti dominanti e dai marosi, per sviluppare dei sistemi d’approdo definibili porti a tutti gli effetti. Forse il più conosciuto della zona, di cui rimane traccia nella letteratura, è il Sulcitanum Portus, un ampio tratto formato da fiumi, terra e litorale inclusi ora nelle pertinenze dei comuni di San Giovanni Suergiu e Masainas e già anticamente sfruttato per l’imbarco di legname, metalli, sale e carbone vegetale[4].
L’analisi fornita dall’articolo invece è mirata alla rivalutazione di una particolare insenatura presente sull’Isola di Sant’Antioco, su Portu de Co’e Cuaddu, opportunamente riparato ai venti dominanti della zona, e che ricalca un’abitudine insediativa di probabile origine neolitica. Tramite lo studio di questa installazione, correlata a su Portu de Cal’e Saboni, intendiamo definire appunto il criterio del doppio approdo da sfruttarsi alternativamente a seconda delle stagioni e dei venti dominanti. Le insenature preannunciate si dispongono geograficamente a Oriente e a Occidente della Piana di Cannai, una pianura coltivabile di origine alluvionale solcata da diversi sistemi idrici e chiusa a 360° da alcuni gruppi collinari popolati anticamente da svariati insediamenti. Descrivendo la località denominata Porto di Co’e Cuaddu possiamo inquadrare un grosso arenile risultato dalla polverizzazione di una antichissima e più avanzata spiaggia fatta di fossili di molluschi impastati nella roccia effusiva[5].
Questo arenile esposto ai quadranti orientali è costellato, a partire dall’estremità settentrionale, da strutture turrite e affini le quali si elevano ben oltre il limite meridionale dell’insenatura, giungendo alla non lontana estremità sud dell’Isola di Sant’Antioco. Partendo da settentrione le emergenze si possono enumerare in un Nuraghe, sistemato a 42 mt s.l.m., denominato di Cala Bianca e costituito da macigni di calcare.
Ancora seminterrato nella collina, visti i resti che spuntano dal piano di campagna, il Nuraghe di Cala Bianca doveva originariamente avere una struttura complessa. Scendendo di quota verso l’insenatura scavalchiamo un rio che sfocia in spiaggia e costeggia delle fornaci rifasciate di basalto. Si giunge quindi, percorrendo un sentiero, al Pozzo de S'Acqua Durci, sistemato in pianura. A circa 50 mt di distanza ai piedi della collina mesozoica di Cala Bianca si trova un'altra fornace rifasciata di basalto e, da questa, in direzione sud, percorrendo meno di cento metri, si giunge ad una terza fornace di basalto interrata dalla sabbia.
Abbiamo sottolineato la componente litica delle fornaci per evidenziare che in passato non vi cossero del calcare ma furono impiegate nella metallurgia. Vista la concentrazione di fornaci e l'abitudine, da parte dei fochisti dei secoli scorsi, di demolire i forni dopo le cotture del materiale, si suggerisce la corretta interpretazione del toponimo di Co’e Cuaddu anziché con l’inflazionata ma insostenibile "coda di cavallo”, con una più probabile  "cuocilo e nascondilo"
. Ad Occidente si eleva un gruppo collinare di più cime, residuo di una caldera vulcanica, denominato Monte Arbus. Su una di queste cime insiste un Nuraghe trilobato, parte di un contesto estrattivo, denominato di Montarveddu, costituito da megaliti in andesite basaltica. Un’altra cima ancora, sistemata a Sud Ovest rispetto all’insenatura, ospita un altro Nuraghe trilobato, di nostra scoperta, detto S’Acqua e sa Canna, in collegamento visivo con la costa. A spezzare la linea di costa appena a sud dell’insenatura di Co’e Cuaddu si allunga in mare un promontorio dalle pareti scoscese detto Turri ospitante una torre spagnola edificata ristrutturando, nel 1757, il già Nuraghe ‘e Mori. Nel promontorio insistono tuttora una tomba dei giganti, un tempietto con antis e diverse strutture abitative da noi scoperte.
I promontori a seguire, Bithia e sa Pispisia, mostrano rispettivamente toponimi e strutture a precipizio sul mare facenti da corollario al complesso. Il toponimo Bithia indica nella variante locale della lingua sarda una figura femminile che guarda o, riallacciandoci agli studi di Massimo Pittau, una figura sacerdotale in grado di ammaliare con lo sguardo. Archeologicamente parlando, nella località denominata Bithia, possiamo rinvenire una struttura di forma sub rettangolare situata fronte mare. Il toponimo sa Pispisia mostra una località dove si colloca, integro, un braciere - fanale del diametro di un metro e quaranta compreso di un macigno ortostatico, il quale presenta, fronte mare, un lato abraso da ripetuti e intensi fuochi. Un’altra emergenza compare infine nell’estremità Sud dell’isola, denominata Su Portu de S’acqua ‘e sa Canna, che si concretizza in un secondo fanale semi distrutto del diametro di un metro e sessanta. Sino al secolo scorso questa insenatura veniva frequentata da vaporiere e velieri per il carico dei derivati dalla lavorazione del calcare nonché dei metalli provenienti dal Sulcis. Le testimonianze portate dagli anziani ci raccontano dell’abitudine di segnalare con dei fuochi il contorno della terraferma al fine di permettere l’attracco dei natanti persino in condizioni di scarsa visibilità. Questo sistema di instradamento marino, in seguito ottimizzato dalla sostituzione dei fanali con fari alimentati da bombole a gas, trova origine nella preistoria ed è pratica comune ai Popoli del Mare. Tuttora l’impianto segnalatore residua di pochi fari sistemati sull’adiacente isolotto del Toro e lungo il Golfo di Palmas ma nonostante ciò l’insenatura offre ancora un valido ed efficace riparo ai mercantili in transito quando si verificano condizioni di burrasca di maestrale. Come avveniva l’atterraggio nell’insenatura chiaramente diversa rispetto a oggi? Ipotizzando per il periodo nuragico prevalentemente una navigazione di piccolo cabotaggio la penetrazione nel Golfo di Palmas avveniva più che altro da Sud.
Credo che l’avvicinamento al litorale fosse eseguito tenendo conto di riferimenti terrestri, in questo caso mirando quindi i fanali e i Nuraghi. Provenendo da Sud si possono tenere come riferimenti terrestri gli allineamenti e le sovrapposizioni prospettiche, in un supposto punto “a”, delle due coppie Nuraghe Montarveddu – fanale Sa Pispisia e Nuraghe Cala BiancaNuraghe‘e Mori. Ad un certo punto della navigazione sarebbe possibile osservare che alle spalle del Nuraghe‘e Mori inizia ad aprirsi la vista del Portu di Co’e Cuaddu in quanto sarebbero ben visibili le fornaci sopra elencate in piena attività. Proseguendo in direzione NE, supposta conosciuta la conformazione del fondale, si può fare tappa verso un punto “b”, tenendo a mira due coppie di sovrapposizioni prospettiche: quella del Nuraghe S’acqua ‘e sa Canna – fanale Sa Pispisia e del Nuraghe MontarvedduNuraghe’e Mori. Il percorso di atterraggio ci mostra un altro punto definibile come “c”, dal quale è possibile osservare l’allineamento fisico di altre due coppie quali Nuraghe S’Acqua’e sa Canna - Nuraghe’e Mori e delle due fornaci nel costone settentrionale dell’arenile. Per la precisione si può affermare che accostando a riva seguendo questo allineamento un navigatore della preistoria sarebbe atterrato direttamente in spiaggia, con la propria imbarcazione, aiutandosi attraverso altre due coppie di allineamenti. Il finale di questo approdo, punto “d”, viene infatti segnalato dalle coppie di allineamenti date da Nuraghe Montarveddu – fornace in spiaggia e dalle fornaci sul costone settentrionale. Dopo questa breve simulazione possiamo riflettere sul fatto che i punti tracciati si collocano tutti quanti in un mare più profondo di -15 mt, quindi già presente nonostante i livelli inferiori dell’Età del Bronzo. Possiamo osservare che se non avessimo rispettato questi allineamenti saremmo andati incontro a diversi incagliamenti, vista la presenza di altine appena sotto il pelo dell’acqua, considerando inoltre che queste altine sarebbero stati scogli emersi durante il II millen. a.C.
Queste simulazioni mostrano che l’edificazione delle torri e dei fanali è mirata senza dubbio ad un uso marittimo visto che si coglie l’utilità delle strutture solo se apprezzate dal mare. Il Nuraghe trilobato de
S'Acqua ‘e sa Canna, costituente l'ultimo baluardo preistorico a Sud dell'Isola, svolgeva una triplice funzione. La prima era quella di avvistamento e instradamento: vista la sua elevazione era in grado di vedere i due porti e quindi di instradare eventuali imbarcazioni verso entrambe le comunità portuali a seconda delle condizioni meteo. La seconda funzione, quella del controllo dell'orizzonte derivata dall’elevazione geografica, mostrava un orizzonte più vasto di vedute più ampie. In terzo luogo esso assolveva ad una funzione meteorologica, presunta dalla favorevole osservazione delle condizioni marine. Infine la considerazione che il porto di Co’e Cuaddu fosse un porto vero e proprio sin da epoca preistorica scaturisce da due elementi fondamentali legati all’antico culto della Dea Madre: la presenza nella toponomastica di una figura religiosa quale la Bithia (ripresa in tempi moderni in una sorta di sincretismo religioso[6] e rinominata in altri contesti come Domus de Maria); la presenza di un tempio con antis votato alla Dea Madre nel promontorio di Turri[7],  proprio come era uso erigere nei principali sistemi portuali della fine del II millenio a.C..






[1] M. TZORODDU, Kirkandesossardos sardegna ricerca dell’orogine, Zoroddu editore, Fiumicino 2008, pag. 91 fig.4
[2] P.ORRU’ A.ULZEGA, Carta Geomorfologica della piattaforma continentale e delle coste del Sulcis, 1:100.000, N.O. 11/89, Istituto Idrografico della Marina - Genova
[3] R.W.HUTCHINSON, L’antica civiltà cretese, Giulio Einaudi editore, Torino 1976, pag.78
[4] M.CABRIOLU, Il Popolo Shardana – La Civiltà, la cultura, le conquiste, Domusdejanas editore, Selargius 2010, pag. 164
[5] AA.VV. Torre Canai a Sant’Antioco – Ambiente e storia, Edizioni Stef, Cagliari 1994, p. 13
[6] M.CABRIOLU, Il popolo Shardana, La cultura, la civiltà, le conquiste, Ed Domus de Janas, Selargius 2010, p. 212
[7] M.CABRIOLU, Il popolo Shardana, La cultura, la civiltà, le conquiste, Ed Domus de janas, Selargius 2010, p. 212

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