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ph Gigi Murru |
In merito a tale figura si veda il seguente articolo: https://archeolbia.blogspot.it/2016/05/pier-giacomo-pala-e-il-museo.html
Una volta sopraggiunta la morte, i parenti più stretti del defunto si lasciavano andare alla più grande disperazione con pianti struggenti, urla. In alcuni paesi, come Orune e Bitti, si arrivava persino a strapparsi i capelli e a graffiarsi in faccia nella celebrazione del dolore. In alcuni paesi come Bonorva, Muravera o Orotelli, questa pratica era talmente sentita e violenta che le donne che la praticavano dovevano rimanere diversi giorni a letto per riprendersi dalle ferite. A Siniscola invece si usava battersi le mani sulle cosce e sul petto. Questo rito aveva una durata ben precisa dopo la quale si ritornava al silenzio ossequioso e alla tranquillità.
In quel momento preciso, il parente più vicino aveva il compito di eseguire tutto il rituale per la cura del defunto: veniva acceso un cero benedetto e fatto il segno della croce (su signale; sa gruxi). Con il sopraggiungimento della morte, prima del fenomeno del rigor mortis, i tendini e le muscolature si rilassano e perdono il loro compito di contenimento, in tal momento veniva serrata la bocca (si credeva che in questo modo il morto non rivelasse i segreti di famiglia) usando solitamente un fazzoletto legato intorno al viso e venivano chiusi gli occhi. Questo è il momento dove le persone uscivano dalla stanza e alcune prescelte si dedicavano alla cura del corpo del defunto. Per chi aveva la possibilità il corpo veniva lavato con il vino mentre chi non era abbiente viene usata semplicemente l'acqua. Sono rare le testimonianze che riportano l'abitudine di porre un catino colmo d'acqua sotto la bara durante il periodo di veglia, con la considerazione che, essendo una sorta di mezzo di collegamento con altre dimensioni, l'acqua avrebbe permesso il passaggio dell'anima verso l'aldilà. Il trattamento dedicato all'uomo prevedeva la cura nel fare la barba e i capelli ed essere vestito solitamente con l'abito migliore ovvero quello del giorno del matrimonio. Alla donna invece venivano lavati e tagliati i capelli e le unghie delle mani, queste venivano conservate per essere donate o al coniuge o al figlio più grande, che aveva il compito di costudire il ricordo. Paesi come Onanì, Lula e Orune conservano ancora tutt'oggi questa tradizione.
Il momento più atteso di tutta la giornata nonchè quello più sentito era l'arrivo delle Attitadoras che avevano il compito di cantare le lodi del morto ovvero celebrare tutte le azioni buone e i pregi che egli aveva compiuto o avuto in vita. Queste figure erano legate al defunto, quasi sempre per parentela, e non cantavano le lodi per essere pagate o rimborsate in alcun modo ma solo ed esclusivamente per rende omaggio al caro estinto.
Anche la loro entrata, nella camera del defunto, era regolata da un rito ben preciso: capo basso, mani giunte e viso teso. Passavano davanti al letto senza rivolgervi nessuno sguardo e vi prendevano posizione intorno. In questo momento si udiva un grido acuto e iniziavano i pianti e le urla di disperazione e memoria. Finito di tessere le lodi, le Attitadoras si avvolgevano dentro il loro lungo scialle nero e si ricomponevano con eleganza e postura. A fine rito si alzava una di esse, si avvicina al defunto e iniziava a cantare la storia della famiglia, dal padre al nonno come ad indicare che era stato di buona stirpe, che aveva una famiglia e che aveva avuto una origine rispettabile. Spesso durante questi canti si trovava anche il momento di esternare, sotto forma di ironia, qualche diverbio degno di nota che c'era stato in vita relativo anche a qualcuno presente in sala. Si racconta ad esempio di una attitadora che intonava un canto per la morte di una giovane donna, sposatasi con un giovane della comunità nuorese ma contro la volontà della famiglia dello sposo: "...suona la campana...torna il figlio solo come ella desiderava..." oppure, in caso di morte violenta le parole erano feroci contro l'assassino e si chiedeva vendetta per il defunto: "...presto si vada a cercar...in sangue del vile traditore...solo il sangue potrà cancellare", come ad esempio venne recitato a Bortigali per un particolare episodio
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Per uso e costumi, gli uomini stanno in una stanza mentre le donne si dispongono intorno al caro defunto posizionato al centro della stanza, su un rialzo, con i piedi in direzione della porta. Vicino al defunto si siede sempre il parente più stretto e rimane sino a quando il corpo non verrà portato via per l'ultimo saluto. Tutti questi riti avevano il compito di dare una pace definitiva al morto.
Vi ricordiamo che nell'opera "La via del Male" di Grazia Deledda, viene descritto perfettamento questo rituale.
Questo rituale venne condannato dalla chiesa sin dal 1553 dove le figure ecclesiastiche minacciarono di scomunicare chiunque le avesse messe in pratica.
Come esperienza personale, mi ricordo la morte di mio zio in una paesino della provincia di Olbia. Ricordo una delle sorelle, forse la maggiore, una figura imponente vestita di nero con i capelli raccolti che, messasi accanto alla bara del defunto, aveva iniziato a tesserne le lodi. Era la prima volta che assistevo ad un rito del genere di una certa impressione, difatti mio padre mi porto via perchè reputò non fosse una visione addatta ad una bambina. Uscendo dalla casa, tenendo la mano di mio padre gli chiesi: "Papà perchè quella persona si disperava cosi tanto? Perchè urlava cosi?" e lui mi disse "E' un modo per manifestare il proprio dolore e per raccontare la vita del defunto in modo che tutti possano conoscere le cose buone che ha fatto in vita". Continuammo a camminare ma quel ricordo è ben fisso nella mia mente nonostante siano passati tanti anni. Da allora non ho più avuto occasione di assistere ad un' esperienza del genere. Forse i tempi sono cambiati, forse siamo cambiati anche noi!
Bibliografia:
- Stefania Mattana, "Ritualità della morte in Barbagia" Ed. Zènia, 2012
- Grazia Deledda, "La via del Male", Ed. Speirani e figli, Torino, 1906
- Francesco Poggi, "Usi natalizi nuziali e funebri della Sardegna", Ed.Forni, rist.1897
- Andrea Romanazzi, "Antropologia del lutto e morte rituale nelle tradizioni",ACAIM, 2017
- Domenica Chighine, "Il lamento doloroso de sas atitadoras", Meilogunotizie.it, 2014
- Simone Pietro Eupili, "Morte e riti funebri nella cultura popolare sarda", Tesi di laurea in Sociologia, Sapeinza Università di Roma, A.A. 2013/2014
- Ilenia Atzori, "Culto dei defunti e simbologia della morte in Sardegna", academia.edu
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