di Durdica Bacciu
L’opinione di Durdica Bacciu.
Da pochi giorni, ho terminato un progetto con il Primo Circolo Scolastico di Olbia, dal titolo “Identità ritrovate”, promosso dal Fai, Fondo per l’Ambiente Italiano allo scopo di “ritrovare” la storia, l’archeologia e le tradizione del proprio territorio attraverso le linee guida del progetto “Ti racconto un posto”.
Durante tutto il progetto, i bambini della scuola primaria, 7 classi in totale, hanno partecipato attivamente alla riscoperta della loro città, mostrando uno spiccato interesse per l’educazione civica. In particolar modo, durante il progetto che si è occupato dell’acquedotto romano di Olbia, i bambini hanno realizzato dei cartelli sulle regole base per la tutela e salvaguardia dei siti archeologici. Le regole elencate ricordavano quanto sia assolutamente sbagliato salire sui monumenti, quanto sia dannoso per l’ambiente e per il sito l’abbandono delle cartacce o lasciare liberi i cani di fare i propri bisogni e di come sia fortemente non indicato pasticciare o distruggere strutture, regole semplici ma che fanno parte del civile modo di vivere comune.
Tutto questo nasce dalla necessità di riappropriarsi del proprio territorio e del lungo periodo di isolamento al quale siamo stati costretti a seguito di questa pandemia mondiale. In questi anni ho seguito centinaia di ragazzi e numerose scolaresche alla scoperta del territorio olbiese (e non), alla scoperta o conoscenza della sua storia ed ho favorito l’affermarsi della consapevolezza del patrimonio archeologico, con particolare attenzione alla salvaguardia dei beni culturali. Ho cercato di fare questo non perché volessi imporre una mia passione o conoscenza ma in quanto mi è parso importante e doveroso responsabilizzare i ragazzi su ciò che ancora vediamo come fondamentale per il loro avvenire, sia dal punto di vista lavorativo che culturale e identitario. Ritengo che la città di Olbia sia ricca di stimoli e di spunti di ricerca storici i quali andrebbero maggiormente valorizzati.
Ultimamente però noto sempre di più una crescente serie di atti di vandalismo sia nei confronti degli spazi comunali, sia verso le aree culturali, di cui oggi è accaduto l’ultimo episodio, in occasione di “Olbia Sping 2021″ . Ho potuto notare questo solo quando sono andata a visitare la Tomba dei Giganti di Su Monte ‘e S’Abe, situata nelle immediate vicinanze del Castello di Pedres e raggiungibile alla fine di uno stradello che parte dal terzo chilometro della strada provinciale che da Olbia conduce a Loiri. La regione Casteddu, che ospita appunto la sepoltura, è stata frequentatissima dalla preistoria sino al medioevo. In questa località sorgono appunto, oltre al castello di Pedres e il borgo medievale conosciuto come Villa Pedresa, un nuraghe, un villaggio preistorico di capanne e la tomba a corridoio dolmenico. La sepoltura presenta un corpo lungo circa 28 mt e fa di questa, forse, una delle tombe di giganti più grandi della Sardegna. E’ importante ricordare però che non tutto il corpo allungato è occupato dal corridoio funerario e che quest’ultimo è un po’ più corto. Questa differenza è riconducibile al fatto che la tomba, per come è osservabile ora, è l’evoluzione di una tomba più antica. Un allée couverte o corridoio coperto era la sepoltura originaria, ampliata e inglobata nella tomba dei giganti come testimoniano appunto i rinvenimenti, fatti dall’archeologa Castoldi durante lo scavo condotto nel 1962, inquadrabili dall’Età del Bronzo Antico sino all’Età del Bronzo Recente. La sepoltura originaria era formata da lastre verticali infisse nel terreno e coperte da lastre orizzontali per tutta la sua lunghezza. Una sepoltura insomma dedicata ai personaggi importanti. In un secondo momento la sepoltura viene ripresa e rivestita di filari orizzontali di pietre e viene creata l’esedra, l’arco anteriore alla sepoltura, dotato di sedile e di lastre verticali rivolte con la faccia piana all’esterno.
Da queste poche righe, possiamo capire la grande testimonianza storica e archeologica della nostra tomba. Un sito frequentatissimo tutti i giorni, da turisti di ogni parte del mondo, da locali e dal turismo di prossimità. Un sito tenuto in ordine grazie all’impegno del Comune e dall’ufficio della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Sassari e Nuoro – sede distaccata di Olbia. Tutto questo impegno, spesso viene messo a dura prova da atti non proprio di benvenuto verso il visitatore o semplice cittadino, e anche per chi ci crede e continua a promuovere il territorio di Olbia senza nessun interesse personale se non quello di vedere l’apprezzamento e la considerazione la storia e i siti. Per questo motivo mi chiedo il perché del vandalismo verso i cartelli esplicativi del sito? Il pannello didattico relativo alla sepoltura è stato realizzato nella passata gestione dell’Associazione ArcheOlbia, sotto la guida della sottoscritta, nel 2011/2012, compilato in 6 lingue (compreso il russo, predisposto come nuovo flusso turistico nel nostro territorio da diverso tempo).
Il pannello è stato deturpato con firme di vandali, realizzate con bombolette spray di diversi colori e forme, senza poi un vero e proprio motivo ma unicamente per il gusto di pasticciare forse dettato della noia. Spesso penso e posso capire che questi ragazzi abbiano anche voglia di parlare, di gridare, di affermarsi, di farsi sentire…ma certamente non è questo il modo, non possiamo assolutamente accettare una mancanza di rispetto per il bene di tutti causata da una insofferenza personale. Dobbiamo veramente fermarci un attimo a riflettere e ascoltare questa nuova gioventù, diversa dal passato perché rinchiusa in uno schermo senza essere ascoltata, senza potersi affermare se non attraverso una firma. Quella firma non indica un passaggio o una conquista ma un regredire dal punto di vista civile e del rispetto verso il prossimo, in primis verso la storia e verso l’impegno sociale.
Come operatore culturale e archeologa propensa alla divulgazione archeologica, non posso che condannare questi atti ma non posso rimanere indifferente verso un bisogno di voce dei giovani. Basti pensare che in tanti anni che mi occupo della valorizzazione dei siti olbiesi, è la prima volta che vedo i giovani spingersi sino al sito di Su Monte ‘e S’Abe, elemento questo che mostra unicamente una forte voglia di evasione.
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